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Corriere della Sera Rassegna Stampa
07.02.2014 Stati islamici, perché non possono essere laici e democratici
la risposta incompleta di Sergio Romano

Testata: Corriere della Sera
Data: 07 febbraio 2014
Pagina: 53
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Crisi degli Stati musulmani, ritorno alle tradizioni religiose»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 07/02/2014, a pag. 53, la risposta di Sergio Romano ad un lettore dal titolo " Crisi degli Stati musulmani, ritorno alle tradizioni religiose".


Sergio Romano

Nell'analisi di Sergio Romano manca il riferimento alla natura stessa dell'islam che, comunque, contrassegna il pensiero sia del fanatismo religioso islamico che quello -  erroneamente definito dalla cultura occidentale - 'laico'.
Il timore di apparire islamofobi pregiudica gravemente ogni tipo di analisi corretta sul rapporto indissolubile in uno Stato islamico tra religione e stato.
Impensabile che da questa unione possa prodursi la democrazia.
Ecco lettera e risposta di Sergio Romano:

Riguardo alla sua risposta «I militari in Medio Oriente sono soltanto tiranni?», penso anch’io che i militari, soprattutto nei due Paesi da lei citati, Egitto e Turchia, siano stati anche una garanzia d’ordine o d’indipendenza. Ma colpisce il fatto che, sempre i quei due Paesi e, forse, in altri, non appena i militari hanno accettato d’indire le elezioni, sono stati sorpresi da maggioranze islamiste. Ciò sembra dimostrare che i responsabili militari, fin dai tempi di Nasser e Sadat e fin dai tempi di Atatürk, non si siano minimamente curati di sradicare l’estremismo religioso e di diffondere una cultura di governo laica, valori ai quali s’ispiravano. Quali sono le cause di tanta impreveggenza?
Franco Pettini
pettini@skynet.be  

Caro Pettini,
Le propongo una lettura diversa. La nascita di una classe dirigente laica nei Paesi arabi del Mediterraneo coincide con la progressiva colonizzazione europea dell’Africa del Nord fra l’Ottocento e il Novecento, dalla conquista francese dell’Algeria nel 1830 a quella italiana della Libia nel 1911. Il fenomeno diviene più rapido con le due guerre mondiali del Novecento. Dopo la disintegrazione dell’Impero Ottomano, mentre l’influenza europea si estende all’intero Medio Oriente, Kemal Atatürk, in Turchia, abolisce il Califfato e crea uno Stato laico in cui esistono istituzioni non ancora adottate in tutti i Paesi europei: il voto alle donne, il divorzio, l’aborto. La decolonizzazione, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, trasferisce il potere a gruppi sociali — militari, funzionari della pubblica amministrazione, esponenti delle professioni liberali — che sono stati esposti alla cultura occidentale. Là dove l’indipendenza è conquistata con le armi, come in Algeria, i militanti politici e i combattenti della «guerra di liberazione» hanno generalmente una formazione culturale modellata da ideologie occidentali: nazionalismo, marxismo, fascismo, socialismo democratico.
Quasi tutti i leader che conquistano il potere dopo la rivoluzione egiziana di Nasser, sono militari e cercano di adattare alle tradizioni locali programmi sociali e istituzionali non troppo diversi da quello di Atatürk. Ma questi tentativi falliscono, con molte varianti da un Paese all’altro, per alcune ragioni. I sistemi politici sono spesso oligarchie dinastiche che sfruttano le risorse nazionali, là dove esistono, all’interno di una ristretta cerca di familiari e amici. Gli apparati statali sono corrotti, clientelari e tribali. Le sconfitte subite durante le guerre contro Israele sono umilianti e lasciano una macchia di discredito sulla reputazione delle classi dirigenti di formazione occidentale. Quanto più queste classi deludono le società nazionali, tanto più cresce l’autorità morale dei gruppi che predicane il ritorno alle tradizioni culturali e religiose. La Fratellanza musulmana, in particolare, riesce spesso a colmare, con le sue iniziative assistenziali, il vuoto lasciato dalle politiche dei governi.
I mali di questi Stati cominciano a manifestarsi verso la metà degli anni Settanta con la guerra civile libanese e con la rivoluzione iraniana del 1979. Non vi è crisi, da quel momento, in cui i movimenti islamici non abbiano una crescente influenza. E non vi è guerra, dall’invasione sovietica dell’Afghanistan ai conflitti più recenti, in cui l’Islam radicale non colga l’occasione per meglio reclutare e addestrare i suoi militanti. Persino le rivolte arabe del 2011 (forse l’evento più “occidentale” della regione dopo la decolonizzazione) hanno aperto spazi che l’islamismo ha cercato di riempire. Credo che la nuova modernizzazione dei Paesi arabo-musulmani, quando comincerà, non potrà avere luogo senza la partecipazione e la collaborazione dei movimenti religiosi.

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