Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 05/02/2014, a pag. 13, l'intervista di Alix Van Buren a Nabil Fahmi, ministro degli Esteri egiziano, dal titolo "La rivoluzione non è morta, così nasce il nuovo Egitto".
Nabil Fahmi
ROMA — «Voi europei vi dite perplessi per quel che accade in Egitto? Forse iniziate a percepire l’enorme complessità della transizione nel mio Paese. Tutti vorremmo che filasse alla perfezione, in un battibaleno, ma neppure da voi storicamente è andata così». Nabil Fahmi, il ministro degli Esteri egiziano, ha l’accento di chi è vissuto in America per un ventennio e l’abitudine a frequentare la dialettica democratica.
Signor ministro, la rivolta del 2011 prometteva la dissoluzione dell’apparato militare, e invece le forze armate restano al di sopra dello Stato?
«Niente affatto: la nuova Costituzione ne limita il ruolo a due tornate elettorali. L’intervento è avvenuto a furor di popolo e in circostanze straordinarie per impedire il caos: prima con Mubarak, poi con Morsi. Non è la normalità, e la carta fondamentale è chiara».
Già, ma si profila una candidatura del Feldmaresciallo Al Sisi alla presidenza. L’Egitto appunta di nuovo le sue speranze su un solo salvatore, un altro Nasser?
«Non si riscrive la storia. Però, è vero: all’euforia del 2011 è subentrata l’esasperazione verso un sistema politico incapace del cambiamento. Tanto entusiasmo era irragionevole in un Paese privo da 60 anni di partiti democratici. In più, in Egitto è in corso un cambiamento epocale: l’intera società sta cercando di definire la propria identità nel XXI secolo, e in cui tutti siano rappresentati. Abbiamo commesso errori, altri ne faremo».
Quali, ad esempio?
«Avremmo dovuto partire dalla Costituzione, dal ruolo della fede e dei militari, da quel che unisce il Paese anziché spaccarlo come fa la politica elettorale, e s’è visto nella rivolta del 2013. Ora abbiamo fissato almeno i pilastri: uno Stato civile, la parità di diritti di uomo e donna, etnie, fedi, la libertà d’espressione. Già so che lei obietterà...».
Infatti, come spiega l’arresto di Ahmed Maher e altri attivisti, simboli della rivolta del 25 gennaio?
«Le leggi vanno riesaminate alla luce della Costituzione, alcune vecchie di 5 generazioni. Nell’attesa i gruppi d’interesse premono ciascuno per i propri fini: è naturale, fa parte del percorso. Alcuni sfidano i divieti di manifestare senza autorizzazione, la polizia applica comunque le leggi, che vanno riviste».
Il presidente deposto Morsi rischia la pena capitale, il suo partito è fuorilegge. Come reagiranno i Fratelli musulmani?
«Per 5 mesi abbiamo offerto loro un dialogo politico, la partecipazione al governo, un comitato di riconciliazione. Per tutta risposta hanno scelto la violenza. Il governo non poteva condonarla. La riconciliazione politica avverrà, ma col tempo: prima dovrà stemperarsi l’ira popolare, infatti di quella si tratta, non di governo ».
Signor ministro, cosa s’aspetta dal suo viaggio in Europa?
«Io vorrei semplicemente ricordare agli europei la loro storia, quanto siano state difficili le vostre trasformazioni, quale peso i traumi del passato abbiano tuttora nelle vostre leggi — la proibizione di certe attività o partiti dopo la Seconda guerra mondiale. Vorrei presentare la nostra road map, tanto più all’Italia, un importante partner storico. Procederemo verso un Egitto moderno. Gli egiziani l’hanno ripetuto nel 2011 e nel 2013: vogliono partecipare al proprio futuro. Non si torna più indietro».
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