Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 04/02/2014, a pag. 17, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "Il piano di Abu Mazen: 'La Nato protegga la Palestina' ".
Maurizio Molinari Abu Mazen
Scrive Maurizio Molinari «Non se ne parla neanche - sono le parole di Abu Mazen - perché neanche Mubarak o re Hussein lo hanno fatto alla sigla dei trattati di pace». Abu Mazen ciurla nel manico, la pace con Israele l'ha fatta Sadat, ammazzato poi dagli estremisti islamici. Abu Mazen si comporti come Sadat, e la pace può arrivare, al massimo dovrà guardarsi dai suoi, non certo da Israele.
Abu Mazen propone le truppe della Nato per proteggere i futuri confini dello Stato di Palestina ma è uno scenario sul quale i suoi concittadini si dividono.
La mossa del presidente palestinese è affidata a un’intervista al «New York Times» che radio e tv rilanciano da Ramallah durante l’intera giornata. Abu Mazen parla di una Palestina «smilitarizzata», con «solo polizia» e nessun esercito, affidando la difesa dei confini «a truppe Nato per un tempo indeterminato» dopo il ritiro degli israeliani «nel corso di cinque anni». È un modo per far capire al Segretario di Stato Usa John Kerry e al premier israeliano Benjamin Netanyahu di essere pronto alla concessione sulla smilitarizzazione in cambio del ritiro israeliano dalla Valle del Giordano. Il Dipartimento di Stato evita commenti mentre Gerusalemme attacca Abu Mazen, per via del fatto che ha escluso il riconoscimento di Israele come «Stato ebraico». «Non se ne parla neanche - sono le parole di Abu Mazen - perché neanche Mubarak o re Hussein lo hanno fatto alla sigla dei trattati di pace».
Per Netanyahu «tale rifiuto di Abu Mazen testimonia che non vuole un accordo di pace» ma il botta e risposta fra i due leader ha scarsa eco nelle città palestinesi. Sulla piazza di Gerico imbandierata con i drappi di Al Fatah ciò che conta è attestare il sostegno al presidente. «Lui è il nostro leader, stiamo con lui perché Gerico è pronta per la pace nella Valle del Giordano» spiega Walid, titolare di un negozio di abbigliamento sotto il porticato. Da queste parti vive Saeb Erakat, il negoziatore palestinese che più si batte per «riguadagnare il controllo della Valle del Giordano». A suo avviso «Israele vuole continuare a occuparla non per ragioni di sicurezza ma per controllarne le fonti d’acqua».
Basta aggirarsi fra i banchi del mercato di Gerico per comprendere come si tratti di un argomento molto condiviso in una popolazione composta in gran parte da coltivatori, venditori e commercianti di prodotti agricoli per i quali ciò che più conta delle parole di Abu Mazen è la determinazione a riavere la «valle dell’acqua» come la definisce Erekat. Ma a Ramallah l’atmosfera è tutt’altra. Sulla centrale strada Al Ersal, il grande magazzino El Nijmeh al pomeriggio vede famiglie e giovani affollare negozi illuminati e vetrine multicolori. Siamo nella città più laica e ricca dello Stato di Palestina di Abu Mazen, la cui Muqata dista poche centinaia di metri, ma qui la Nato interessa poco o nulla. «Nato o non Nato - afferma Isam, quarant’anni, in compagnia di moglie e figlie - il problema è la debolezza di Abu Mazen, che è pronto a dire tutto pur far contenti gli Usa».
Arriva un gruppo di ventenni, ragazzi col gel e ragazze con i capelli sciolti, e quasi in coro ripetono «Abu Mazen è il passato, la Palestina ha bisogno di un leader forte come Marwan Barghouti» detenuto da Israele. E Halil, ristoratore con i capelli grigi e la nostalgia di Arafat, dice ad alta voce ciò che molti pensano: «Fino a quando Abu Mazen tratterrà facendo concessioni non otterrà la pace. Non convincerà Israele a ridarci Gerusalemme. Avrebbe piuttosto dovuto dire che non farà accordi fino a quando Israele non inizierà a smantellare gli insediamenti costruiti sulle nostre terre dal 1967».
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