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Ugo Volli
Cartoline
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Trappole e speranze 02/02/2014

Trappole e speranze
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

 Cari amici,

non è esagerato dire che siamo vicini a un momento storico per Israele. L'amministrazione americana ha annunciato molte volte la pubblicazione del suo “framework plan”, per fine novembre, poi alla fine dell'anno e alla fine di gennaio; il ritardo è segno di evidente disagio, ma adesso sembra che questo piano sia destinato ad uscire preso.
E' un passo fondamentale, perché si tratta dello schema di accordo che dovrebbe, se non concludere le trattative fra Israele e Autorità Palestinese, almeno tracciare in maniera abbastanza precisa le linee di un accordo futuro, mettendo fuori dal tavolo le richieste delle due parti e stabilendo degli impegni vincolanti.
Le indiscrezioni si sono moltiplicate, per esempio in questo articolo di un giornalista americano che sulla questione israelo-palestinese funge da qualche tempo da portavoce dell'amministrazione Obama, Thomas Friedman (http://www.nytimes.com/2014/01/29/opinion/friedman-why-kerry-is-scary.html?hp&rref=opinion&_r=1,
una traduzione parziale si trova qui:
http://moked.it/blog/2014/01/31/israele-negoziati-banco-di-prova-per-il-governo/
 E' uscito qualcosa anche sui contenuti di questo schema di accordo: Israele accetterebbe di considerare le linee armistiziali del '49 come la base per la definizione dei confini del nuovo stato palestinese, con correzioni che consentirebbero di mantenere nei confini dello stato ebraico il 75 o l'80% della popolazione che vive oggi oltre quelle linee, con la necessità di spostare quindi almeno 120.000 persone: in proporzione al territorio sarebbe come dover dare casa e lavoro a un milione di persone, avendo ceduto il Friuli e il Trentino.


L'Anp otterrebbe la pulizia etnica forzata degli ebrei (fra parentesi: un vero e proprio crimine contro l'umanità proibito da quella convenzione di Ginevra che si invoca contro Israele) in cambio della rinuncia del tutto teorica a cercare di introdurre in Israele alcuni milioni di “rifugiati”.
Israele peraltro compenserebbe i territori ottenuti al di là della linea verde con un o spazio analogo distaccato dal suo territorio; rinuncerebbe a presidiare il confine strategico della Valle del Giordano, con qualche improbabile protezione militare, dovrebbe compiere lo sgombero in alcuni anni.
I Palestinesi avrebbero la capitale a Gerusalemme Est, non si capisce se ottenendo anche tutta la città vecchia o  parte di essa, ma comunque riproducendo la divisione in vigore fra il '49 e il '67: un nuovo “muro” in mezzo alla città: bel risultato di chi dice di voler abbattere i muri.


E' in sostanza il vecchio piano della sinistra già presentato da un “accordo privato” a Ginevra, un disastro per Israele: frontiere indifendibili, di nuovo Gerusalemme divisa, l'impatto sociale di uno sradicamento di popolazione dieci volte più grande di quello di Gaza, tutta la vicinanza di cui i terroristi hanno bisogno per trasformare la condizione di Tel Aviv in quella di Sderot, grave diminuzione della profondità strategica necessaria a difendersi da un attacco dai paesi arabi, garanzie americane fasulle, come si è visto di recenti in tanti casi, intromissioni internazionali inutili come quelle delle forze dell'Onu che non hanno affatto impedito il montare del terrorismo alle frontiere col Libano, con la Siria, con il Sinai.


Nessun vantaggio vero in cambio, se non la promessa di una rinuncia dell'Europa e degli Usa a fare quei danni a Israele che già fanno per quel che possono.
Nessuna risposta sul fatto che metà dei sudditi dell'Anp in realtà dipende da Hamas, che rifiuta qualunque concessione e continua la guerra di attrito coi razzi; nessuna garanzia della fine di quel terrorismo a bassa intensità ma spesso mortale, che gli arabi hanno sempre rivolto contro Israele e che si è intensificato di recente; la garanzia di una divisione interna profondissima in Israele, ai limiti delle guerra civile.
Insomma, il frutto di una posizione di Obama che è ben deciso a conquistare gloria ai danni di Israele e ad abbandonare i vecchi amici in favore dei vecchi nemici, come ha già fatto tante volte. Il tutto anche ai danni della popolazione araba, che verrebbe privata del lavoro che le viene oggi dalle industrie israeliane (l'obiettivo inconfessabile dei boicottatori) e cadrebbe per sempre nelle mani delle bande terroriste di Fatah e Hamas.
La ricetta di una prossima guerra futura, quando Israele dovrebbe intervenire sul territorio sgomberato come ha già dovuto fare due volte con Gaza e una col Libano meridionale http://www.jewishworldreview.com/0114/glick013114.php3#.UuuxBBB5OAU
Un disastro, insomma.
Per fortuna l'elettorato israeliano ha negato da due elezioni la maggioranza a quelli che sostenevano piani del genere (gli arabi e i loro alleati dell'estrema sinistra di Meretz, i resti dei laburisti e di Kadima).
Il popolo israeliano, avendone visto le conseguenze, non vuole un nuovo disastro come Oslo, questo è chiarissimo dalle ultime elezioni e anche dai sondaggi che si succedono, sempre col risultato di una prevalenza del centrodestra. Il problema è che fin dalle elezioni quasi contemporanee di cinque anni fa, Obama non ha affatto gradito che alla testa di Israele ci fosse Netanyahu, come Netanyahu non ha apprezzato che  leader della superpotenza  fosse Obama e i due hanno cercato in vari modi di appoggiare i rispettivi avversari quando sono stati entrambi rieletti.
Ora il momento è storico perché sembra che il duello fra i due sia arrivato all'ora della verità.
La missione di Kerry, tutto il suo ostentato ottimismo e la sua insistenza, non avrà nessun risultato se sia Netanyahu sia Abbas non prenderanno quello che il Segretario di Stato americano definisce “l'ultimo treno per la pace” (anche nell'articolo di Friedman che ho citato sopra).
Che Abbas e soprattutto la sua base non voglia, è del tuitto chiaro (si veda per esempio qui: http://www.timesofisrael.com/fatah-official-calls-for-coordinated-armed-resistance/
la rinuncia a fare entrare in Israele i “rifugiati”, cioè i nipoti e i pronipoti di coloro che (forse) abbandonarono il territorio dello Stato di Israele nel '48, una delle “concessioni” chiave di Kerry, è proibita addirittura da una legge promulgata dallo stesso Abbas; il riconoscimento di Israele come stato nazionale del popolo ebraico è stato rifiutato dall'Anp come una “linea rossa”, cioè una condizione non trattabile. La chiusura della vertenza, che riconoscerebbe a Israele il governo de iure del suo stato, sia pure nei ristretti “confini di Auschwitz” del '49, è ritenuto dai palestinesi -e non solo da loro- contrario alla legge islamica e potrebbe al massimo essere oggetto di una tregua tattica.
Ma il fatto è che anche le concessioni territoriali che ho esposto sopra sono inaccettabili alla maggioranza dell'elettorato israeliano e sono stati escluse più volte dallo stesso Netanyahu.
Un partito della coalizione, quello di Bennett, ha già annunciato che uscirebbe dalla maggioranza nel caso dell'approvazione di questo pacchetto e lo stesso farebbe probabilmente la maggioranza del partito di Netanyahu, in cui si è affermato uno schieramento contrario che comprende anche diversi ministri. Sempre più chiaramente, però, le fonti filo-Obama, anche l'articolo di Friedman, immaginano un rovesciamento di maggioranza interno, analogo a quello con cui Sharon realizzò il ritiro da Gaza: Bennett e la maggioranza del Likud fuori dal governo, un nuovo partito di Netanyahu, l'ingresso di quel che rersta dei laburisti, un accordo alla Knesset che avrebbe la maggioranza comprendendo sia i “diversamente sionisti” di Meretz, sia i partiti arabi nemici dichiarati di Israele.
La cosa non è impossibile. In fondo Rabin fece approvare gli accordi di Oslo con una maggioranza analoga, completandone la maggioranza, alla fine risultata di un voto solo, con l'acquisto di un paio di parlamentari di secondo piano, gratificati con posti di governo – e  questa maggioranza raccogliticcia pesa purtroppo ancora sul destino di Israele, dopo essere stata la concausa di migliaia di morti di un terrorismo armato da quegli accordi.
Oggi le cose sono diverse. La forzatura di Rabin e quella di Sharon hanno mostrato le loro conseguenze negative. Ma alla Casa Bianca c'è un nemico determinato come non ce n'erano mai stati, ben più pericoloso del povero Carter. Tutto, insomma, dipende da Netanyahu, dalla sua volontà di resistere alle pressioni e alla minacce http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/176963
 dell'amministrazione Obama (che però ha perso parte del suo potere di ricatto avendo già ceduto all'Iran sulla questione nucleare http://www.breitbart.com/Big-Peace/2014/01/30/Clapper-Iran-Can-Now-Build-Nukes
 e alla Russia su quella siriana). O dalla sua illusione di passare alla storia come l'artefice della pace, un'illusione che fu già di Rabin e Sharon. Difficile capire quel che ha deciso di fare. Difficile capire per esempio se il conflitto esploso la settimana scorsa con Bennett e settori del suo partito intorno alla proposta di far diventare parte dei coloni cittadini del nuovo stato palestinese, lasciata emergere dall'ufficio del primo ministro, fosse una trappola diplomatica per mettere in luce il razzismo e la volontà di pulizia etnica dell'Anp, puntualmente emersa con rifiuti sdegnati di convivere con gli ebrei nel loro territorio, o una provocazione per Bennett, che puntualmente ha reagito con molta durezza, facendo poi una marcia indietro di fronte alla perentoria richiesta di smentita o dimissioni presentatagli da Netanyahu, o tutt'e due assieme. Difficile cioè sapere se Netanyahu sta giocando come un abile torero con la straripante potenza economica, diplomatica e militare esibita dall'amministrazione americana, e non voglia essere sgambettato in questo difficilissimo esercizio, o se invece stia ponendo le premesse politiche per il rovesciamento delle alleanze interne, per salvare quelle internazionali.
Per il momento la nebbia è fitta, i giochi sono complessi, non sono chiari né i programmi né i protagonisti. Ma è chiaro che la partita per un nuovo Medio Oriente si sta giocando in queste settimane ed è decisiva per il futuro di Israele. Da lontano, senza la pretesa ridicola dei diversamente sionisti di impartire lezioni a Israele e al suo popolo, che è il solo titolato a decidere di se stesso, possiamo solo sperare nella fedeltà di chi rappresenta in Israele gli ideali del sionismo e l'amore per il proprio popolo.

Ugo Volli


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