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La Stampa Rassegna Stampa
02.02.2014 Teheran: un buon pezzo di costume con accanto un commento inaccettabile
L'articolo di Francesco Rigatelli, il commento di Roberto Toscano

Testata: La Stampa
Data: 02 febbraio 2014
Pagina: 11
Autore: Francesco Rigatelli- Roberto Toscano
Titolo: «Sotto il velo, la Teheran ribelle-Teodemocrazia al femminile, non solo regime»

Sulla STAMPA di oggi, 02/02/2014, a pagina 11, due articoli sull'Iran. Un buon pezzo di costume di Francesco Rigatelli e un commento di Roberto Toscano. Li commentiamo entrambi.

Francesco Rigatelli: " Sotto il velo, la Teheran ribelle "

Interessante, un ritratto della vita a Teheran, vista soprattutto dalla parte della condizione femminile. Ci auguriamo ne segua un prossimo che descriva il terrore nel quale vive chiunque esprima opinioni contrarie all'ayatollah Khamenei, pena la prigione e, spesso, la vita.

Si spengono le luci dell’aereo. Al riaccendersi per l’atterraggio a Teheran le ragazze sono velate. Gli stessi capelli liberi fino a poco prima vengono celati da foulard a fiori, con i loghi di case di moda parigine, mai semplicemente neri come succede nelle periferie iraniane, e tenuti un po’ indietro, come sciarpe tenute larghe per coprirsi dalla neve che scende fuori dalla cabina. Da Torino a Teheran andata e ritorno, questo è un viaggio alla ricerca della vita giovanile nel paese proibito. Nella capitale, come a Esfahan e Shiraz, non ci sono solo gli iraniani che viaggiano, ma emerge ovunque la virtù dell’Iran: l’ospitalità di un popolo indoeuropeo, non arabo, multireligioso e ansioso di riaprirsi al mondo. Al ristorante Gilac una delle gemme della capitale, il suo nome Shokoufeh significa fiore di primavera, racconta il dramma quotidiano visto da una studentessa: «In pubblico bisogna coprire parte del capo, niente baci, fumo, alcol, né uscire tra ragazze la sera, zero discoteche. L’unica regola che non mi dispiace è che sui mezzi pubblici uomini e donne devono sedersi separati: si evitano certi farfalloni!». Un’altra ragazza, Pantea, rivela la doppiezza della situazione: «In casa non portiamo il velo, ma nei film le attrici sono obbligate a indossarlo anche nelle scene di interni. Ormai è una questione di facciata per mantenere la Repubblica islamica sovrapponendo fede e politica. Solo le famiglie integraliste non permettono ai giovani di comportarsi liberamente ». L’insofferenza delle nuove iraniane nei confronti di questa doppiezza la esemplifica una ragazza dal di dietro poco coperto come il capo, che mangiando datteri e yogurt all’hotel Laleh svela: «La rivoluzione la faremo noi donne portando il velo sempre più indietro, il maglione meno a coprire il fondoschiena e i pantaloni più attillati». Per intanto a sorvegliare la popolazione ci pensa la polizia islamica, braccio armato della teocrazia che regna sull’Iran occupando tutte le cariche pubbliche. In realtà i controlli si sono ammorbiditi e la reale difficoltà è superare l’impasse tra la parte evoluta quanto minoritaria della società e quella integralista. Perché se i ragazzi di Teheran nord hanno il diritto di fare feste di nascosto a volte si dimenticano pure da dove vengono per fuggire dal recente passato e sposare lo stile di vita occidentale, eccessi compresi. Così i giovani sciiti, cui non si può negare di coltivare lo spirito, possono risultare esagerati e inconsapevoli della raffinatezza persiana precedente lo stato islamico. Da un lato e dall’altro, insomma, il rischio è di buttare via pezzi di storia millenaria che pure dovrebbero regalare alla nazione un senso. Atenere insieme i cocci ci prova il presidente attuale Rohani, emanazione moderata della casta dei mullah sciiti, per qualcuno un riformatore, per altri il volto presentabile della guida suprema Khamenei (che vive blindato in una villa a Teheran nord). «Almeno ci fa recuperare le figuracce del predecessore Ahmadinejad. Voi avete Berlusconi, noi ne abbiamo cento che occupano lo Stato, si tengono i soldi del petrolio e delle offerte religiose e se li spartiscono tra loro», riflette il giovane Mohsen che lavora al Museo del cinema a Teheran nord. Poco distante ci sono le montagne, ancora più centrali che a Torino, e partono gli impianti sciistici. Scendendo a sud Teheran appare infinita, trafficata, inquinata come solo le megalopoli cinesi. «Due città che non si parlano, due modi di vivere - racconta Shokoufeh -.Anord i cosmopoliti che parlano inglese, accedono all’informazione internazionale con Internet e parabolica, a sud i ceti poveri suggestionabili dalla propaganda politico-religiosa. Al Bazar, che non sta neanche troppo a sud, vado solo accompagnata dai genitori». Qui la gente compra merci locali, non come nei centri commerciali a nord. Ma l’Occidente ha sfondato lo stesso. Nella voglia di tecnologie, soprattutto asiatiche per via dell’embargo dall’America, come nel desiderio di colori sotto i vestiti e nel privato. Impressionanti i toni sgargianti di reggiseni, mutande, calze, asciugamani nei negozi. Come colorati sono i vestiti dei bambini, a differenza di quelli cupi degli adulti, quasi che la speranza riponga su di loro.

Roberto Toscano: " Teodemocrazia al femminile, non solo regime"

Questa volta, l'ex-ambasciatore a Teheran non pesta l'acqua nel mortaio, come suo solito, in editoriali che non dicono nulla, nel più puro stile di quei diplomatici che nei loro rapporti al Ministero devono forzatamente descrivere "l'aria che tira", ma che si guardano bene dall'entrare nei particolari. Toscano, però, questa volta si fa coraggio, e,da par suo, inventa addirittura una parola"Teodemocrazia", si, avete letto bene, proprio TEO-DEMOCRAZIA, per etichettare il rgime iraniano. Dopo 5 anni di permanenza nel paese dei mullah, passato evidentemente da un ricevimento all'altro, muovendo solo in auto blu con autista, dell'Iran avrà conosciuto solo la facciata da esibire agli illustri allocchi. Il pezzo che vi invitiamo a leggere lo si può classificare con una sola parola: vergognoso.

Roberto Toscano

Se si fermasse per la strada un qualsiasi cittadino italiano e gli si chiedesse cosa gli viene in mente quanto si dice «Iran», la cosa più probabile è che risponderebbe: ayatollah e chador. Ora, gli ayatollah esistono davvero, e l’ayatollah numero uno, il Leader Supremo Khamenei, siede al vertice dello Stato.Tuttavia il sistema politico iraniano non è una semplice teocrazia,ma una contraddittoria teo-democrazia, in cui - seppure entro certi limiti - le elezioni, come dimostrato da quella che ha portato alla presidenza Hassan Rohani, sono reali, e certo più reali e contestate, per fare un esempio, del voto sulla nuova costituzione egiziana. Ma la più semplicistica caricatura non si riferisce al sistema politico iraniano (che, si potrebbe dire, in fondo se lo merita) bensì alla società.Chi,come chi scrive, ha trascorso cinque anni in Iran può testimoniare dell’autentico stupore dei visitatori sia italiani che di altri Paesi nel riscontrare la clamorosa discordanzafral’immagine della società iraniana con cui erano arrivati e la loro esperienza diretta. Il nodo di tutte le contraddizioni, ma nello stesso tempo la riprova della ricchezza e varietà della realtà sociale e culturale dell’Iran, è la donna, sottoposta a limitazioni in tema di diritto di famiglia e di abbigliamento, ma pienamente attiva a tutti i livelli negli uffici pubblici, nella cultura e anche nel mondo produttivo. Nelle strade di Teheran non si vedono solo chador, tenuta d’ordinanza che alcune donne scelgono volontariamente e che il regime islamico impone negli uffici pubblici e nelle università statali. Le altre portano l’hejab, un foulard che copre i capelli, in alcuni casi in modo del tutto simbolico, con generosi ciuffi che escono sulla fronte o spuntano sul collo: niente a che vedere con i rigorosi canoni dell’abbigliamento femminile nei Paesi arabi più conservatori. Le limitazioni imposte dal regime in tema di stili di vita e abbigliamento hanno introdotto nella società iraniana un doppio livello, una schizofrenia comportamentale fra pubblico e privato, esterno e interno. Mentre negli ambienti più conservatori le donne mantengono anche in casa il capo coperto in presenza di uomini che non siano della famiglia, negli spazi privati della ampia classe media occidentalizzata le donne non esitano a togliersi il velo, e in pubblico, pur rispettando l’obbligatorio hejab, compensano la limitazione con un make up accentuato e sexy. Ma al di là dell’abbigliamento, terreno di libertà più simbolico che sostanziale, la capacità delle donne iraniane di sfidare il potere maschile è sottile ma determinato, con una grande partecipazione alla vita culturale e professionale (sono molte le scrittici, pittrici, registe, architette). E non va dimenticata la politica, dove senza una forte partecipazione femminile non sarebbero state concepibili né la protesta del 2009 né la vittoria diRohani del 2013. Vi è moltodipiù, in Iran,oltre agli ayatollah e oltre i chador.

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