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Il Giornale Rassegna Stampa
31.01.2014 Usa/Israele: disaccordo sui negoziati
commento di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 31 gennaio 2014
Pagina: 15
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «In Israele è guerra aperta alla pax americana»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 31/01/2014, a pag. 15, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo "In Israele è guerra aperta alla pax americana".


Fiamma Nirenstein       John Kerry, Bibi Netanyahu

Sulla carta del New York Times sembra semplice, ma da quando due giorni fa Thomas Friedman ha de­scritto (e le sue fonti obamiane sono più che interne!) le linee della pax americana che Kerry presenterà en­tro pochi giorni, la discussione in Isra­ele è alle stelle. Sono idee elementari, che non hanno niente di geniale e di­stribuiscono con semplicità america­na qualcosa di buono e qualcosa di cattivo a israeliani e a palestinesi. Ma Friedman avverte che se questo tre­no dovesse passare senza che nè Abu Mazen nè Netanyahu lo prendano al volo, il prossimo li travolgerà. Obama ha biosgno di questo successo. Le fon­ti di Friedman descrivono un libro dei sogni più che una road map, ma fanno sentire alle parti che l'ammini­strazione Usa gli respira sul collo. L’ambasciatore americano inIsraele Dan Shapiro dice che Kerry ha solo raccolto idee venute dalla discussio­ne fra le due parti, e che il documento vuole essere la base per passare alla fa­se due su un base molto concreta «che non lascia spazio alla fantasia». Il piano chiede la fine del conflitto e di ogni richiesta ulteriore dopo che Isra­ele si sarà ritirata dal West Bank oltre la linea del 67. Questo non piace a Ne­tanyahu. Anche la Valle del Giorda­no, il vallo che separa Israele dal mon­do arabo e, come diceva Rabin, un im­prescindibile spazio di difesa, cono­scerà nuovi arrangiamenti, in cui Isra­ele verrà emarginato. In genere, la riti­rata non includerebbe alcuni blocchi di insediamenti che verrebbero ri­compensati con territorio israeliano. I Palestinesi avrebbero la loro capita­le a- Gerusalemme est ma devono rico­noscere Israele come lo stato-nazio­ne del popolo ebraico. E questo gli duole alquanto.
Il piano non include il diritto al ritor­no per i profughi palestinesi (per al­tro ormai alla terza­
quarta generazio­ne). La lista è quella delle vacche sa­cre. Per esempio Abu Mazen ha sem­pre detto che per lui è fuori questione riconoscere uno stato del popolo ebraico, e la sua gestione è piena di odio verbale e la sua politica di incita­mento sui libri e alla tv. Israele per al­tro teme che restringere i suoi territo­ri ai confini del 1967 lo costringa in uno spazio indifendibile dal terrori­smo e dallo jihadismo che si espan­de. E gli abitanti dei Territori in questi giorni sono molto nervosi, da quan­do Ne­tnayahu ha dichiarato a un con­vegno che nei suoi piani nessuno ver­rà sgomberato. Un omaggio postu­mo ai poveri coloni della striscia di Gaza, che però è stato interpretato co­me l'idea che decine di migliaia di ebrei resteranno nello Stato palesti­nese a venire, come esistono arabi israliani nei confini dello Stato Ebrai­co. Ma subito la leadership palestine­se ha detto che non vuol vedere nep­pure un ebreo nei suoi confini.
Intanto il partner di governo e mini­stro Naftali Bennett ha praticamente dato a Netanyahu dell'assassino per aver ventilato l'idea: i palestinesi ucci­deranno chi lascerai nelle loro mani, gli ha detto, rinunci alla patria ebrai­ca e ai nostri compatrioti. Bibi gli ha chiesto di scusarsi pena le dimissioni forzate, e Bennett le ha porte, ma i sett­ler ormai si vedono minacciati da due destini: quello di essere strappati dal­la loro casa, dalla loro vita, dai loro af­fa­ri come furono gli abitanti della stri­scia di Gaza, e essere abbandonati ne­le mani di un'entità nemica. In que­sta confusione, Netanyahu vive un di­lemma profondo. Non si scambia la sicurezza con la benevolenza, ma il ri­schio della rottura con gli Usa è fatale.
www.fiammanirenstein.com

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