Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 31/01/2014, a pag. 17, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Addio all’Oxfam: la bella Scarlett sceglie i coloni ebrei ".
Maurizio Molinari
Purtroppo la titolazione interna del pezzo di Maurizio Molinari non è buona quanto quella presente sulla prima pagina del quotidiano (la vedete riprodotta a destra).
Resta il fatto che Oxfam, una Ong che sostiene di voler combattere la povertà nel mondo, continua la sua campagna contro Israele.
Il suo bersaglio di questi giorni è l'attrice Scarlett Johannsson, 'colpevole' di aver accettato di pubblicizzare i prodotti di Soda Stream, un'azienda israeliana al di fuori delle linee armistiziali del '67 per la quale lavorano anche operai palestinesi.
Nel video caricato in home page (http://www.youtube.com/watch?v=zl85AL1l0H0), è possibile vedere le loro condizioni di lavoro, le stesse garantite a tutti gli altri lavoratori.
Johannsson ha rifiutato di rinunciare alla pubblicità per Soda Stream nonostante i ricatti di Oxfam dimostrando di avere a cuore l'unica democrazia del mondo mediorientale.
Questa non è la prima campagna di Oxfam contro Israele.
Si faccia finanziare dai petrodollari dei Paesi arabi, i quali condividono con Oxfam l'odio per Israele.
Per scrivere a Oxfam, cliccare sul link sottostante:
http://www.oxfamitalia.org/contattaci-press
Ecco l'articolo:
Paladina di un nuovo simbolo di coesistenza fra israeliani e palestinesi o simbolo dell’apartheid in Cisgiordania? L’attrice Scarlett Johannsson precipita nel vortice del conflitto mediorientale per la scelta di essere la testimonial di «SodaStream», la bevanda gassata fai-da-te «made in Israel» realizzata anche in una fabbrica di Maalei Adumim, un insediamento ebraico a Est di Gerusalemme oltre la linea verde del 1967 e dunque nella Cisgiordania rivendicata dai palestinesi. Per i portavoce della campagna araba Bds - Boicotta, disinvesti e sanziona contro i prodotti che vengono dai Territori occupati - l’attrice di Hollywood che Woody Allen ha voluto per «Match Point», «Scoop» e «Barcelona», è diventata il «volto dell’apartheid contemporaneo» e la tv al-Jazeera da giorni mette in risalto le proteste contro di lei nel mondo arabo. In Israele la reazione è opposta: i circa 500 mila abitanti degli insediamenti ebraici in Cisgiordania considerano l’attrice una paladina e il quotidiano liberal «Haaretz» le riconosce il merito di «saper difendere Israele meglio del nostro ministero degli Esteri». L’aspra battaglia di opinioni è arrivata fin dentro il team dell’attrice perché Oxfam, la campagna internazionale che riunisce 17 organizzazioni anti-povertà in 90 Paesi, le ha chiesto di fare marcia indietro o rinunciare alla carica di «ambasciatrice globale» da lei ricoperta. «La scelta di promuovere SodaStream è incompatibile con il suo ruolo per Oxfam - recita il comunicato di condanna - perché riteniamo che operando negli insediamenti questa azienda contribuisca ad accrescere povertà e negazione dei diritti umani nella comunità palestinesi che sosteniamo». Da qui la richiesta a Johannson, che nel 2012 fu la Vedova Nera in «The Avengers», di troncare ogni accordo con l’azienda israeliana, a cominciare dallo spot che verrà trasmesso durante la finale del SuperBowl ovvero l’evento sportivo più seguito in tv dal pubblico negli Stati Uniti. La risposta dell’attrice è arrivata con poche righe del proprio ufficio stampa: «Johannson è molto fiera del lavoro fatto per Oxfam ma sono in disaccordo riguardo la campagna Bds» e il motivo è che «SodaStream è un’azienda non solo impegnata nella tutela dell’ambiente ma anche nella costruzione di un ponte di pace fra Israele e Palestina, sostenendo il lavoro fianco a fianco, paghe uguali per tutti, pari benefici e pari diritti». Ovvero, l’attrice del Bronx che diede il volto ad uno dei primi video «Yes we Can» della campagna di Barack Obama nel 2008 e che ha poi sostenuto le nozze gay in America, anziché indietreggiare rilancia: identificando in «SodaStream» un modello positivo per la Cisgiordania perché basato sull’integrazione fra palestinesi ed israeliani. È la tesi del ceo di «SodaStream», Daniel Bimbaum, che definisce l’impianto di Maalei Adumim «un modello di pace». A pensarla differentemente sono però alcuni dei suoi dipendenti arabi che, protetti dall’anonimato, descrivono a Reuters una realtà diversa: «In fabbrica c’è molto razzismo, gran parte dei manager sono israeliani e i dipendenti palestinesi non hanno coraggio di chiedere aumenti nel timore di essere licenziati e rimpiazzati».
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