Religione dell' «Olocausto »?
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Cari amici,
è uscito ieri su un quotidiano importante come “Il giornale” http://www.ilgiornale.it/news/interni/986890.html, (lo trovate anche ripreso da IC di ieri) ed è circolato largamente in rete un commento sulla Shoah animato da “tacito, inesprimibile fastidio”, che per l'autorevolezza di chi l'ha scritto (Marcello Veneziani che si è ritagliato nel giornalismo italiano il ruolo di principale e forse unica firma della destra cattolica dura e pura con capacità e ambizioni di teoria) e per gli argomenti che solleva, così pericolosi da costringere lo stesso autore a collocarsi con excusatio non petita fra “quanti pure non c'entrano nulla coi negazionisti e coi razzisti né denunciano campagne di speculazione sull'olocausto”, non sarebbe giusto lasciare senza risposta.
Marcello Veneziani
Veneziani inizia chiedendosi “perché un evento tragico di settant'anni fa, unico tra gli orrori, tiene banco in maniera così prolungata, unanime e pervasiva nei media e nelle rievocazioni, perché col passare degli anni anziché sopirsi, si acuisce la memoria della Shoah, oggi più di trent'anni fa”. E risponde con un'affermazione piuttosto sorprendente: “La Shoah sta prendendo il posto della crocifissione di Gesù Cristo. Ovvero è l'Evento Cruciale che segna il Lutto Incancellabile per l'Umanità, lo Spartiacque Unico dei tempi e l'avvento del Male Assoluto, con la Redenzione seguente. Stavolta non è il Figlio di Dio a finire in Croce e sacrificarsi per noi, ma è un popolo a essere immolato, eletto o maledetto secondo le due versioni classiche, e a redimere l'uomo dal Male. Benché Assoluto, il Male stavolta è storico e non satanico. E prelude non alla Resurrezione ma alla Liberazione. Non l'ascesa dei risorti in cielo ma la liberazione degli insorti in terra. Non riesco a trovare altra spiegazione all'Enfasi Assoluta, Indiscutibile, Indelebile sulla Shoah. Cristo ieri messo in croce oggi messo tra parentesi. Con Lui si relativizza la fede, la civiltà cristiana. Al Suo posto c'è la Shoah, religione dell'umanità, Auschwitz prende il posto del Golgota e il 27 gennaio sostituisce il Venerdì Santo.” Ho ripreso quasi integralmente il pezzo di Veneziani, superando l'ovvio senso di sdegno (non “fastidio”, sdegno) che le sue parole suscitano in un ebreo e cercherò di discuterle pacatamente, perché pensieri come questo circolano largamente e non solo fra i negazionisti e i razzisti, anche fra coloro che si ritengono equilibrati e magari amici degli ebrei.
Il primo punto che voglio chiarire è questo. Nel mondo ebraico non vi è alcuna religione della Shoah. La parola “shoah” (cioè distruzione, strage, disastro) è stata adottata dagli ebrei proprio perché si sentivano a disagio con le connotazione religiose della parola “olocausto” che ancora oggi è prevalente e Veneziani usa. Un olocausto (holos, cioè tutto, kauston, cioè bruciato) nel mondo classico greco-romano è un sacrificio in cui tutto il corpo dell'animale sacrificato è bruciato, senza che ne resti della carne utilizzabile per nutrirsene, come avveniva nei sacrifici più comuni.
Anche la Bibbia conosce questa forma sotto il nome di holà).
Ora il genocidio degli ebrei non è stato un sacrificio. Nessuno l'ha offerto, non era inteso come offerta alla divinità. Molti cadaveri sono stati bruciati nei forni ma per eliminarne l'ingombro e la prova, non per consacrarli o elevarli (la parola ebraica per sacrificio, korban, significa avvicinamento al divino, elevazione). L'ebraismo rifiuta i sacrifici umani nella maniera più ferma, quel che è accaduto a Isacco è definito “akedah”, legatura, ed è per Abramo una “prova”, che si conclude, dice la maggior parte dei commenti, con l'intervento divino come Abramo aveva previsto.
La polemica ebraica contro i sacrifici umani delle culture vicine di cananiti e fenici è fermissima e continua. Anche per questo la la teoria cristiana sulla missione di Gesù è inaccettabile per gli ebrei: non solo non è possibile pensare ebraicamente a un figlio speciale di Dio e ancor di più che egli stesso sia Dio, ma l'idea che Dio abbia voluto il suo sacrificio appare blasfema.
Quel che è avvenuto settant'anni fa dunque non è un sacrificio ma un delitto e va ricordato come tale.
Per il mondo ebraico le vittime della Shoà si allineano alle tante altre uccise per la loro appartenenza all'ebraismo e la celebrazione religiosa prevalente per loro si fa in occasione di un digiuno che ricorda l'inizio della distruzione babilonese di Gerusalemme, cui altri aggiungono un ricordo nel giorno della Pasqua ebraica, quando si ricorda il primo tentativo di genocidio, quello del Faraone. C'è poi in Israele un giorno laico di ricordo, che cade poco dopo Pasqua.
In tutti questi casi la forma della cerimonia è quella del ricordo dei defunti, con le preghiere e le cerimonie che si usano per i propri familiari scomparsi (quella dichiarazione di fede nella santità divina che si chiama Kaddish), o per i caduti (il minuto di silenzio).
Non vi è nulla che induca a pensare che le vittime del genocidio siano loro sante o rese “sante” o “martiri” nel senso cristiano dalla morte che hanno subito. Il loro ricordo è custodito in musei o in targhe celebrative, cui non si presta culto. Coloro che vengono onorati individualmente col nome di “giusti” (che nella tradizione ebraica è estremamente impegnativo, in qualche modo equivalente alla santità cristiana) non sono le vittime, ma i non ebrei che hanno soccorso coloro che erano in pericolo.
Insomma non esiste da parte ebraica una “religione dell'Olocausto”, nessuno si sognerebbe di mettere le vittime dei nazisti al posto del Signore, né fra i religiosi né fra i laici. Chi ha cercato di fare della Shoah un fenomeno religioso è stato piuttosto il mondo cristiano, in particolare i cattolici. E' stato Papa Giovanni Paolo II, in visita ad Auschwitz a lanciare il paragone fra la fabbrica di morte e il Golgota, è stato dalla parte della Chiesa che si è tentato un paragone fra la croce e il lager, sono state le clarisse, se non sbaglio ad aprire un convento ai margini del campo – chiuso poi per le proteste ebraiche; è stata la Chiesa a portare sugli altari la nobile figure dell'ebrea convertita Edith Stein, gli intellettuali cattolici che non perdono occasione di esaltare un'altra giovane donna ebrea, Etty Hillesum, che non si convertì ma di cui amano vedere su questa strada – come se la violenza estrema subita dalle vittime del genocidio trovasse il suo senso pieno nel portare alla sola sacralità vera che essi riconoscono, quella cristiana.
Naturalmente l'intenzione è apologetica e non sostitutiva, ma è stata una premessa fondamentale di quello spostamento della Shoah nella zona del sacro che Veneziani denuncia.
Noi ebrei, attaccati come siamo al ricordo dei morti che quasi ciascuno ha in famiglia e dalla grande distruzione collettiva della metà dei nostri fratelli e della loro forma di vita, restiamo insospettiti all'esaltazione degli ebrei morti, fatta magari da chi rifiuta di capire la necessità che gli ebrei vivi hanno di difendersi da un altro sterminio.
Cerchiamo di portare il senso del lutto collettivo non verso il sacro ma verso la dimensione pratica della prevenzione della continuazione di una persecuzione che risale lontano nei secoli e in cui la Chiesa ha avuto larga parte (come pure l'Islam, ma questo è un altro discorso). Che ci siano ambienti diciamo laici che fanno della Shoah una specie di “peccato originale” (non di crocifissione, direi) e della Resistenza (magari guidata dalle “forze del progresso”, eufemismo per alludere all'Urss senza dover rispondere dei crimini commessi dai comunisti - anche contro gli ebrei) è vero. Ma queste forze hanno sempre cercato di mettere in secondo piano il carattere specificamente antiebraico delle stregi naziste, l'hanno mescolato con i nemici politici, con la violenza generica del regime, Hanno richiamato mille altri stragi per ridimensionare il genocidio degli ebrei. Come ho raccontato ieri, Catherine Ashton è riuscita a fare un messaggio per il giorno della memoria senza usare una sola volta la parola ebreo.
Chi ha visitato il padiglione italiano di Auschwitz costruito ai tempi dell'egemonia comunista ricorderà senza dubbio come vi fosse sostanzialmente occultato il carattere ebraico delle vittime.
E' vero che la nostra società, nonostante qualche sbuffo di integralismo e nonostante la passione mediatica per i papi, ha un rapporto sempre più flebile con la dimensione “verticale” del sacro, considerando sentimenti terreni di libertà e giustizia, rispetto e uguaglianza i criteri con cui misurare la politica e la vita; questo può piacere o meno, non è il caso di discuterne qui.
Ma l'attenzione “religiosa” all'”Olocausto” è il sintomo, non la causa di questo fenomeno. Si può discutere, certamente, della distorsione buonista che le celebrazioni ufficiali e giornalistiche fanno della Shoah, l'ho fatto largamente io stesso nei giorni scorsi. Ma senza scordarsi mai che il progetto genocida riguardava l'eliminazione degli ebrei in quanto tali.
Il mondo ebraico ha il diritto, anzi il dovere non solo di custodire la memoria di questo tentativo di eliminazione che ha subito, ma di difendersi e di chiedere all'Europa che ne è stata autrice di guardarsi allo specchio e di riconoscere che il germe dell'antisemitismo che ha provocato quegli orrori non è spento, ma anzi prospera, magari sotto la mascahera sottile dell'odio per Israele.
Ugo Volli