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La Repubblica Rassegna Stampa
28.01.2014 Tunisia: un passo avanti, ma l'islam continua a opprimere la società
commento di Bernardo Valli

Testata: La Repubblica
Data: 28 gennaio 2014
Pagina: 1
Autore: Bernardo Valli
Titolo: «Tunisia, il sogno continua così i giovani e le donne fanno fiorire la Primavera»

Riportiamo da REPUBBLICA  di oggi, 28/01/2014, a pag. 1-13, l'articolo di Bernardo Valli dal titolo " Tunisia, il sogno continua così i giovani e le donne fanno fiorire la Primavera ".


Bernardo Valli


Femministe tunisine          

La nuova Costituzione appena approvata in Tunisia è il solo prezioso frammento rimasto della “primavera araba”. Naufragato in Egitto, degenerato in una guerra civile in Siria e in una rissa tribale in Libia, quel movimento democratico sopravvive nel paese in cui è nato tre anni fa. E da dove si è poi esteso con difficoltà nel resto del mondo arabo tentando invano di affondarvi le radici. Si capisce perché i duecento deputati (su duecentosedici) di tutte le tendenze, laiche e religiose, dopo avere votato la nuova Magna charta nella notte tra domenica e lunedì, si sono abbracciati in preda alla commozione, spesso in lacrime, cantando l’inno nazionale. Era un momento eccezionale, non soltanto per la Tunisia.
La Costituzione appena approvata a stragrande maggioranza, dopo polemiche, minacce, incertezze, garantisce uguali opportunità a uomini e donne e impegna lo Stato a operare al fine di realizzare la parità. Dichiara, come la vecchia versione, che l’Islam è la religione della Tunisia (come l’arabo è la sua lingua, e le istituzioni sono repubblicane), ma non dice che è la religione dello Stato. Al-Nahda, la Rinascita, il partito islamista con una forte maggioranza relativa, voleva precisarlo. Si è battuto a lungo perché venisse evocata lasharia(l’insieme delle leggi islamiche) quale fonte di ispirazione dello Stato. Ma la proposta non è passata. La controversia è stata seguita con emozione per settimane da una società con una forte impronta laica per un paese musulmano. Le libertà democratiche sono garantite con chiarezza nella Costituzione appena varata ed è dopo interminabili discussioni che si è arrivati a riconoscere la separazione dei poteri. L’indipendenza della giustizia è stato uno degli argomenti più dibattuti.
I promotori intransigenti della svolta democratica, pur non nascondendo la loro soddisfazione, ammettono che la nuova Costituzione solleverebbe non poche obiezioni se destinata a una società occidentale. Vi trovano troppi riferimenti religiosi annidati nei vari capitoli. Per il mondo arabo musulmano in pieno fermento, represso o frustrato, ancorato alla tradizione o incapace di realizzare le riforme desiderate, il voto dei duecento deputati tunisini dopo un dibattito aperto, seguito dall’intero paese, resta comunque un avvenimento di cui è difficile trovare precedenti.
La società civile ha contribuito a rendere aperto, e quindi autentico, il dibattito all’Assemblea costituente. In particolare è stata efficace la presenza di alcune ong. Ad esempio Al Bawsala, la Bussola, che ha seguito le discussioni nell’emiciclo facendone una cronaca quotidiana dettagliata e intervenendo presso i deputati, di tutte le tendenze. Quei testimoni curiosi, quei ficcanaso erano soprattutto donne giovani. Lo si capisce. Era in gioco la loro sorte. All’inizio i deputati religiosi le hanno insultate. Erano poco inclini alla trasparenza e a un’intrusione femminile. Col tempo l’azione delle ong è stata ritenuta essenziale. Un’espressione della società civile, uno stimolo democratico. In particolare è stato riconosciuto il merito della Bussola, che è riuscita a coinvolgere il paese in un dibattito altrimenti destinato a rimanere vago e in parte oscuro per il grande pubblico. Amira Yahyaoui, 29 anni, animatrice dell’ong, dice di avere assistito a una rivoluzione di mentalità tra i deputati. Una rivoluzione che ha portato via via ad ammettere, durante il dibattito, l’uguaglianza tra uomini e donne. E quindi a varare la prima Costituzione veramente democratica delmondo arabo. Negli ultimi tre anni, dall’inizio della “primavera”, molti hanno dubitato che la piccola Tunisia potesse realizzare quel che il grande Egitto stava tragicamente fallendo. Ci sono state manifestazioni imponenti in favore di “un califfato”, vale a dire di uno Stato islamico; e la vittoria elettorale di Al Nahda, il partito formatosi nella clandestinità e nelle prigioni, sembrava definitiva. Nella società politica, appena emersa dalla dittatura, non c’erano rivali capaci di scalzare dal governo gli islamisti. Ma questi ultimi, come in Egitto, benché moderati, si sono rivelati molto presto solerti nell’occupare i posti di potere, a Tunisi e nelle province, e al tempo stesso incapaci di gestire la cosa pubblica. L’impopolarità ha ridotto la loro influenza e ha dato forza alla resistenza di larga parte della società. Quella decisa a separare governo e religione, e tenace nel difendere la vita individuale dall’intrusione dei precetti musulmani. Le donne hanno avuto un ruolo decisivo.
Due omicidi di uomini politici di sinistra, compiuti da frange integraliste tollerate dal governo, hanno inferto un severo colpo al prestigio di Al Nahda. Né ha contribuito alla sua credibilità il non rispetto dei patti, secondo i quali un anno dopo l’elezione dell’Assemblea costituente, votata la nuova
Charta, il governo si sarebbe dovuto dimettere per lasciare il posto a un ministero di tecnici, in vista di elezioni legislative. Per due anni il governo si è di-mostrato riluttante a cedere il potere, sollevando dubbi sul suo spirito democratico. La crisi egiziana, in particolare i ripetuti massacri al Cairo, e poi la messa al bando dei Fratelli musulmani, ha contribuito a cambiare la situazione. Al Nahda si è sentita meno sicura.
Il dibattito sulla nuova Costituzione ha assunto ritmi più veloci, è arrivato sia pur faticosamente alla conclusione; e con altrettanta rapidità il primo ministro islamista, Ali Larayedh, ha annunciato le dimissioni. Il successore sarà Mehedi Jomaa, personalità rispettata, che ha già presentato al presidente della Repubblica, Moncef Marzouki, la lista dei suoi ministri. Tra i quali figurano tre donne. Quello di Mehedi Jomaa sarà il governo di tecnici incaricato di condurre il paese alle elezioni legislative. Dunque la svolta democratica, la “primavera”, continua.
In Tunisia non c’è come in Egitto una società militare dominante, che occupa, oltre alle caserme, più della metà dell’economia nazionale. Dagli alberghi alle fabbriche non solo d’armi, dalle raffinerie alle grandi piantagioni. Habib Bourghiba, il fondatore nel 1956 della Tunisia indipendente (ed esautorato nel 1987 da Zine El Abidine Ben Ali) durante il lungo potere evitò di creare un esercito troppo forte. Era un personaggio autoritario, ma senza la volgarità deiraìsarabi. Era fedele ad alcuni principi repubblicani ereditati dal protettorato francese. Era ad esempio un laico e un antimilitarista. Per convinzione e per convenienza. La sua ormai remota eredità oggi evita alla “primavera araba” tunisina di essere sopraffatta dai generali. E mentre in Egitto i sindacati sono deboli, in Tunisia Bourghiba ha lasciato un sindacato forte con uno spirito di indipendenza che l’autoritarismo ha soffocato ma non del tutto spento. Consentendo un’emancipazione femminile già ai suoi tempi senza pari nel mondo arabo, Habib Bourghiba ha inoltre creato un’altra singolarità tunisina. La quale oggi pesa nella sola“primavera” sopravvissuta.

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