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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Jorge Semprún, Esercizi di sopravvivenza 27/01/2014

Esercizi di sopravvivenza                Jorge Semprún
Traduzione di Elena Loewenthal
Guanda                                                   euro 16

Sembra impossibile leggere un libro così carico dell' ombra in cui sono necessariamente avvolte la guerra, la cattura, l' esperienza concentrazionaria e ricavarne invece un senso luminoso di forza, di un' umanità migliore. Eppure è quel che succede immergendosi in Esercizi di sopravvivenza di Jorge Semprún, l' intellettuale nato a Madrid nel ' 23, emigrato a Parigi bambino durante la guerra civile spagnola, partigiano in armi contro i nazisti, deportato a Buchenwald nel gennaio ' 44, liberato dagli americani di Patton, e poi dirigente clandestino comunista nella Spagna di Franco, espulso dai compagni per le sue critiche all' anima stalinista del partito all' inizio degli anni Sessanta, scrittore per sempre, scomparso nel 2011. Ha combattuto tutte le battaglie decisive del Novecento. Ma non è solo questo. Prendiamo Esercizi di sopravvivenza. Dopo Il grande viaggioe La scritturao la vitae gli altri sui titoli, tutti di natura autobiografica, doveva essere, come disse nel 2010, l' inizio di una riflessione sistematica sulla propria vita. «Potranno essere uno, due tre, quattro volumi» diceva. Ha fatto in tempo a scrivere solo la prima parte, quella che abbiamo ora tra le mani, finora inedita, dedicata all' esperienza della Resistenza e alla giovinezza, ma soprattuttoa un tema che aveva solo sfiorato, la tortura. Ed è incredibile come Semprún guardi un argomento così terribile con semplice vitalità, senza un briciolo di retorica, pieno di fatti avvincenti, con quel suo metodo di scrittura a spirale, dove da un episodio ne nasce un altro, e un altro ricordo, e poi un ritorno all' oggi, e poi ancora, da uno spunto infinitesimale un arco successivo, con soggetti diversi e differenti considerazioni. Ci sentiamo come se fossimo al caffè con lui, a farci raccontare un' esistenza tanto straordinaria, le tante «occasioni di morire giovane» mancate, l' amore per la vita. Ne usciamo carichi, come se Semprún ci avesse curato l' anima. I ricordi iniziano al bar dell' Hotel Lutetia, a Parigi: la sua mente lo porta al tempo in cui là i nazisti avevano il loro quartier generale, a come si aggirava guardingo per Parigi, a quella volta che va all' appuntamento con il suo capo cellula Henri Frager, "Paul", e li raggiunge un altro membro della rete, biondo, di gran classe, nome di battaglia "Tancrède", "d' inverno portava sotto il trench una mitraglietta Sten", d' estate, sotto l' ascella, una calibro 9. Tra mille vicende, arriviamo al dunque: Tancrede, ha il compito di spiegare a "Gérard", alias Semprun, cosa gli succederà se verrà arrestato, e quindi interrogato e torturato dalla Gestapo: l' elenco è impietoso, manganellate (con diversi materialie diverse ossature), sospensione con una corda attaccata alle manette dietro la schiena, privazione del sonno, immersione, strappo delle unghie, elettricità, in crescendo. "Gérard" sarà preso e sottoposto a buona parte di queste pratiche, a cui resisterà senza nulla rivelare, ma quando "Paul" lo rivede a Buchenwald e gli chiede se le informazioni di "Trancrede" gli sono state utili, ecco, allora - ma in mezzo ci sono molti racconti che riguardano questi ed altri personaggi, e non sono sempre allegri, anche se non si piagnucola, non si drammatizza mai: è come se tutto tendesse in avanti, ad andare oltre, verso la vita, con baldanza e perfino ironia - Semprún inizia a raccontarci la tortura subita e ad elaborare quello che ne ha capito. Qualcosa di luminoso, anche davanti a tanto terrore, che potremmo riassumere così. Primo, conoscere cosa ci aspetta serve ma a poco, perché è troppo astratto e il corpo non sa, non può prevenire l' esperienza che esige una capitolazione del sé, vergognosa ma terribilmente umana. Secondo, la resistenza alla tortura è invece sovrumana, trascendente: parla direttamente di fratellanza, dell' ideale del Noi, di una storia comune da proseguire, perché mentre taci di fronte alla morte e non riveli niente dei tuoi compagni, senti e sai che loro stessi faranno la stessa cosa per te. Non è meraviglioso? Tener testa al dolore parla di fraternità... non ti fa venir voglia di vivere e di affrontare qualsiasi difficoltà?

Susanna Nirenstein
La Repubblica


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