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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
26.01.2014 Egitto: trenta morti, il fanatismo islamico non si ferma
dal Cairo, Lorenzo Cremonesi

Testata: Corriere della Sera
Data: 26 gennaio 2014
Pagina: 11
Autore: Lorenzo Cremonesi
Titolo: «L'Egitto 'celebra' larivoluzione: trenta morti in tutto il paese-Lettere dalla cella dei ragazzi laici: prima regola, basta illusioni»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 26/01/2014, a pag. 11, due servizi dal Cairo di Lorenzo Cremonesi.

                                                                                       Lorenzo Cremonesi

"L'Egitto "celebra" la rivoluzione: trenta morti in tutto il paese"

DAL NOSTRO INVIATO IL CAIRO — Elicotteri militari volano bassi nel cielo fuligginoso della capitale. Ovunque bandiere e inni all’unità della nazione. L’immagine del generale Abdel Fattah Al Sisi domina sovrana. In piazza Tahrir la sventolano come un’icona sacra, come la foto del salvatore, la nuova speranza. «Sisi è la sintesi perfetta della forza carismatica di Nasser e l’intelligenza di Sadat», grida qualcuno tra i più anziani. Eppure c’è paura, preoccupazione, le quattro bombe che hanno scosso Il Cairo venerdì ricordano il pericolo attentati. Dovrebbe essere una festa: la celebrazione dell’inizio della rivoluzione che il 25 gennaio 2011 condusse alla caduta di Hosni Mubarak appena 18 giorni dopo.
Ma le manifestazioni di ieri tutto sono state tranne che una festa. Attorno alle decine di migliaia di cittadini inneggianti alla giunta militare un fitto cordone di autoblindo e soldati era visibile a ogni incrocio, e poi vicino alle stazioni di polizia, presso le ambasciate, i ministeri, i principali edifici pubblici. I media ufficiali e privati, che dal colpo di Stato militare contro il governo dei Fratelli musulmani nel luglio scorso sono strettamente controllati dagli apparati di sicurezza agli ordini di Sisi, per qualche ora hanno cercato di censurare il numero dei morti. Ma in serata è stato evidente che, parallele alle manifestazioni ufficiali, in larga parte del Paese e persino al Cairo i Fratelli musulmani sono scesi massicciamente in piazza per rivendicare il «loro» 25 gennaio. Gli scontri sono stati durissimi, violenti, sanguinosi. Il ministro della Sanità denuncia una trentina di morti e quasi 100 feriti. Sembra che nella sola capitale circa 450 persone siano state arrestate. Tuttavia i bilanci di sangue ufficiosi sono più alti. Pare che vi siano state vere battaglie urbane ad Alessandria e nelle città del medio Egitto come Minia ed Assiut, dove i Fratelli musulmani hanno le loro roccaforti e più alta è risuonata la richiesta della liberazione del presidente Mohamed Morsi e degli altri leader del movimento arrestati nel giugno-luglio scorso. Sono trascorsi tre anni dalla «primavera» che ha cambiato la storia del più importante Paese arabo, ma il suo futuro resta più incerto e difficoltoso che mai.

"Lettere dalla cella dei ragazzi laici: prima regola, basta illusioni "

DAL NOSTRO INVIATO IL CAIRO — Anche l’Egitto della restaurazione ha i suoi Silvio Pellico. Le lettere dalle loro prigioni parlano di freddo, fame, nostalgia per la famiglia, torture e ingiustizie. Soprattutto esprimono la disorientata delusione delle piccole avanguardie laiche che tre anni fa furono in grado di raccogliere l’urlo eccitato delle piazze che chiedevano libertà e democrazia, ma oggi sono schiacciate tra la cultura illiberale dei Fratelli musulmani e la dittatura militare. «È vietato leggere o scrivere. Fare giungere una penna e un foglio di carta ai prigionieri politici è più difficile che contrabbandare droga. Chiunque venga scoperto con carta e penna viene torturato assieme a chi lo ha aiutato», nota il 10 dicembre in una serie di missive ai figli piccoli Ahmed Maher, un nome che nei mesi magici della primavera araba del 2011 incarnò la sete del cambiamento che portò alla defenestrazione di Hosni Mubarak.
Sono appunti scritti su rotoli di carta igienica, fatti uscire segretamente dalla terribile prigione di Tora e ora pubblicati sui siti del sempre più rarefatto movimento di opposizione. Lui stesso si stupisce dalla rapidità radicale del mutamento. Tre anni fa era un eroe. Il suo ruolo di leader del movimento del 6 aprile 2011 e la sua lotta contro le gerarchie militari, contro il nepotismo e la corruzione del vecchio regime gli valsero allora la nomina al Nobel per la Pace. Acqua passata. Nemico giurato dei Fratelli musulmani, Maher è stato progressivamente sempre più critico del golpe contro il governo del presidente Mohamed Morsi nel luglio scorso e l’instaurazione dello Stato di polizia sotto la guida del generale Abdel Fattah Al Sisi. Tanto che ai primi di dicembre è stato arrestato, processato per direttissima con l’accusa di aver organizzato una serie di proteste di fronte al Parlamento e condannato a tre anni di lavori forzati. «Ho incontrato alcuni dei personaggi più famosi in America, Europa, India, Corea del Sud, Turchia. Ebbi colazioni e cene suntuose con uomini celebri e potenti in Africa. Ma adesso mi trovo a desiderare un misero pezzo di pane e formaggio solo perché sono stato accusato di infrangere le nuove leggi anti-protesta. E scrivo di nascosto con un moncone di matita dopo aver sbocconcellato un pezzetto di pane raffermo… Non c’è pane, non c’è libertà». Le sue descrizioni ricordano quelle orwelliane del «Grande fratello»: «La prima regola in carcere è che tu non devi assolutamente illuderti che i tuoi nemici ti lascino muovere a piacimento senza cercare di distruggerti dentro. Tu lotti ora contro l’oppressione dello Stato di polizia, dunque è normale che crescano le attività dei picchiatori criminali in nome della sicurezza», annota il 12 dicembre ricordando che «la tortura nelle prigioni è tornata in azione a tutta forza».
Hanno accenti gramsciani, intime e politiche allo stesso tempo, le lettere dal carcere scritte alla sorelle Mona e Sanaa da Alaa Abdel Fattah. Un nome che necessita poche presentazioni. Tre anni fa era il blogger trentenne che seppe comunicare alla sua gente e all’estero il sogno egiziano per un mondo migliore. Capelli lunghi, occhiali da secchione, sembrava un ragazzino che giocava alla rivoluzione. Ma anche lui è oggi chiuso in un imbroglio che non controlla più. Arrestato nella sua casa la notte del 20 novembre ora soffre il freddo e il vento del deserto «che entra impetuoso dalle finestre blindate, ma senza vetri». «La cosa forse più dura del carcere è che qualcuno possa controllare il tuo tempo sino a questo grado, sino al punto che tu sei persino privato del diritto di avere paura», scrive il 24 dicembre. Parlando ancora del freddo, «quando la sera indosso tutti i miei vestiti e mi avvolgo strato per strato in tutte le coperte possibili», si paragona ai clochard per la strada. Con una differenza però: «I senza casa ad un certo punto possono reagire e scegliere come lottare contro il gelo. Ma nel mio caso è un’autorità che sceglie per me con burocratica indifferenza». Abdel Fattah piange il fallimento della sua rivoluzione e il ritorno di una dittatura militare a suo parere anche più dura di quella di prima. Si sente impotente, battuto, nessuno verrà a difenderlo. «Il solo pensiero è terrificante. Io dovrò far fronte ad accuse gravissime. Ed è chiaro che loro hanno già deciso: sarò condannato. La rivoluzione è in uno stato talmente miserevole che loro potranno agire impuniti».

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