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La Stampa Rassegna Stampa
25.01.2014 Siria: Ribelli e Regime. dopo 3 anni di guerra e 130.000 morti
Cronaca e commenti di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 25 gennaio 2014
Pagina: 11
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Ribelli e regime, primo faccia a faccia-Belle, 'occidentali' e aggressive, Assad schiera le sue amazzoni»

Riprendiamo dallaSTAMPA di oggi, 25/01/2014, a pag.11, due servizi da Ginevra di Maurizio Molinari:

Maurizio Molinari: " Ribelli e regime, primo faccia a faccia"

Assad di Siria                                                Maurizio Molinari

Le delegazioni di Damasco e dei ribelli siriani si incontrano questamattina al Palazzo delle Nazioni nel primo contatto diretto dopo quasi tre anni di guerra civile e oltre 130 mila vittime. È Lakhdar Brahimi, il mediatore Onu, ad annunciare la «decisione di entrambi di trovarsi nella stessa stanza» al termine di 48 ore di dialogo a distanza che lo ha visto fare la spola fra gli uni e gli altri. «Ciò che accomuna la delegazione del governo, dell’opposizione e l’Onu - spiega Brahimi - è la volontà di salvare la Siria». In realtà raggiungere l’intesa sul dialogo diretto è stato difficile perché l’opposizione ha fatto resistenza, lamentando la mancata accettazione da parte di Damasco del comunicato Ginevra 1 del 2012 nel quale si afferma la necessità di un governo di transizione «con la partecipazione di entrambe le parti». Il ministro degli Esteri siriano, Walid Muallim, non voleva accettare Ginevra 1 perché implica l’abbandono del potere da parte di Bashar al Assad e Brahimi ha sciolto il nodo parlando di «accettazione dei principi di Ginevra 1 fatti propri dalla risoluzione Onu numero 2118» ovvero ponendo una questione di legalità: rifiutandoDamasco avrebbe respinto il quadro delleNazioni Unite. Poiché nella tarda mattinata di ieri entrambe le delegazioni sembravano indirizzate verso il fallimento dei colloqui, non si può escludere che ad evitare il peggio siano stati gli interventi di Russia e Stati Uniti, che rimangono i maggiori garanti di regime e opposizione. Sono comunque i ribelli a mostrare più disagio: non hanno voluto confermare che il leader Ahmed Jabra guida la delegazione ai colloqui e con il portavoce Loay Assafi più volte hanno cercato le tv arabe per ribadire che «Assad deve andarsene». Anche il Segretario di Stato americano, JohnKerry, daDavos ha ribadito che il presidente siriano «non può far parte del futuro» nell’intento di rassicurare un’opposizione che teme di uscire delegittimata da Ginevra. Per comprendere tale timore basta guardare a cosa sta avvenendo sul terreno in Siria: da Saqba a Darayan si susseguono manifestazioni di civili che denunciano la ripresa dei bombardamenti da parte del regime, innalzando cartelli con la scritta «Il tempo è sangue» per accusare Assad di sfruttare Ginevra al fine di avvantaggiarsi sul campo militare. Sul fronte diplomatico da segnalare il passo di Javad Zarif, il ministro degli Esteri iraniani, che si è detto favorevole al «ritiro di tutti i combattenti stranieri dalla Siria» aggiungendo «anche gli Hezbollah» con una certa presa di distanza da precedenti posizioni di Teheran.

Maurizio Molinari: " Belle, 'occidentali' e aggressive, Assad schiera le sue amazzoni "

 

Tailleur colorati, rossetto marcato, unghie smaltate, tacchi alti, smartphone e tanta grinta per difendere «Biladi», la mia patria. Le protagoniste della missione del regime siriano a Montreux e Ginevra sono le donne, fra i 30 e 40 anni, che compongono la delegazione del governo come quella dei media di Damasco, tv e giornali. Ciò che le distingue è anzitutto il nazionalismo. Ognuna di loro indossa un simbolo, un colore, un oggetto che evoca la Siria del Baath, il partito degli Assad al potere dal 1970. Per Layla si tratta di un anello a forma di bandiera, per Hana di un foulard con le tre stelle e per le altre di spillette, ciondoli, orecchini che hanno i colori siriani oppure la forma geografica dei confini della patria. Quando è il momento delle conferenze stampa, che a farle sia Ban Ki-moon o Lakhdar Brahimi, questa versione siriana delle amazzoni si comporta sempre allo stesso modo: sedute nel parterre ad entrambi i lati del conferenziere o esattamente davanti alzano tutte assieme le mani, si proiettano fisicamente in avanti con determinazione e chiedono la parola, alzando la voce. L’intento è rivolgere domande del tipo «lei lo sa che i ribelli sono sostenuti dai terroristi?», «perché Arabia Saudita e Turchia pagano chi commette le stragi?» oppure «perché l'opposizione è più fedele agli stranieri che al popolo siriano? ». È una miscela di patriottismo, ingenuità e propaganda a cui il sudcoreano Ban risponde aMontreux con un rispettoso «so bene che siete un popolo orgoglioso» mentre l’algerino Brahimi nel Palazzo delle Nazioni è liquidatorio «sapete bene che a tali quesiti non c’è risposta, dunque non poneteli neanche». Che rappresentino l’agenzia di stampa Sana, la tv di Damasco Samas o altre emittenti espressione del regime, le reporter d’assalto si preparano tutte allo stesso modo all’appuntamento con le conferenze stampa: sosta in bagno per rinfrescarsi il trucco, anelli e orecchini bene in vista, mai un capello in disordine e sorriso smagliante. Ogni dettaglio del look, dei gesti, dei modi esalta la propria femminilità e lo stesso vale per le componenti donne della delegazione guidata dal ministro degli EsteriWalid Muallem. Distinguerle dalle delegate dell’opposizione diventa facile perché sono le uniche che sfoggiano borse griffate, stivali fino al ginocchio, gonne di pelle o pantaloni attillati, facendo sempre molta attenzione all’abbinamento dei colori. L’unica siriana pro Assad con il capo coperto è l’assistente di una emittente di Damasco, adoperata alla stregua di una segretaria, o anche meno, per raccogliere fogli, portare caffè o trasportare cavi da un ufficio a un altro. Le amazzoni siriane tendono a stare sempre fra loro, comunicano quasi esclusivamente con gli altri pro Assad alla conferenza e si divertono a lanciare boati collettivi di disapprovazione - con una dinamica che ricorda le comitive di adolescenti - alla volta dei siriani dell’altro fronte, che si tratti degli inviati della radio Al Kul o della tv Orient News. Quando un occidentale gli si avvicina, si ritraggono e non si fidano ma parlano inglese e francese quasi alla perfezione e se accettano, casualmente, di aprirsi confessano come fa la reporter di una stazione libanese filo-Assad, dubbi del tipo: «Temo che qui in pochi abbiano davvero a cuore la nostra nazione ». La sensazione di essere assediate è l’altra faccia del patriottismo esasperato di un’élite di giovani donne espressione delle famiglie dell’alta borghesia laica - ovvero l’establishment del regime - il cui incubo peggiore è il possibile arrivo al potere dei jihadisti di Al Qaeda, intenzionati a imporre un Califfato fondato su una versione estrema della sharia che considera rossetti, gioielli, abiti firmati e rimmel prodotti degenerati da mettere al bando.

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