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La Stampa Rassegna Stampa
25.01.2014 Esce il film 'L'ultimo degli ingiusti' di Claude Lanzmann
Lo intervista Fulvia Caprara, commento di Marco Belpoliti

Testata: La Stampa
Data: 25 gennaio 2014
Pagina: 1
Autore: Marco Belpoliti-Fulvia Caprara
Titolo: «Troppa simpatia per quel rabbino collaborazionista-Ecco perchè riabilito il rabbino collaborazionista»

Siamo intervenuti molte volte sul cosiddetto 'caso Murmelstein' per riassumerlo nuovamente oggi. I lettori possono trovare le pagine di IC correlate, scrivendo il nome murmelstein in HP nella sezione 'cerca nel sito'.
In questi giorni verrà distribuito nei cinema il film di Claude Lanzmann "L'ultimo degli ingiusti", l'intervista che il regista francese gli fece nel 1975. Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 25/01/2014, a pag.1-28,29, due servizi. Nel primo, il commento di Marco Belpoliti, al quale è stata attribuita una doppia titolazione, "Troppa simpatia per quel rabbino collaborazionista"- sul richiamo in prima pagina - e " Quell'ebreo ingiusto' complice dei carnefici", a pag.29, del tutto inappropriati rispetto al contenuto del testo. Si direbbero scelti da chi non conosce la storia dei 'Consigli ebraici' imposti dai nazisti nei paesi occupati dal Terzo Reich. Opportuna quindi l'intervista di Fulvia Caprara a Claude Lanzmann che ristabilisce i termini della questione.

Marco Belpoliti-"Troppa simpatia per quel rabbino collaborazionista"

Cimitero davanti all'ingresso del campo di Terezin

Lanzmann con Murmelstein, 1975

Sono passati quasi trent’anni dall’uscita di Shoah, il film di Claude Lanzmann che ha modificato la nostra percezione dello sterminio ebraico, mettendo in primo piano le vittime, i sopravissuti di quell’evento. Ora il regista francese si presenta con un lungometraggio, L’ultimo degli ingiusti.Il film pone al centro della scena Benjamin Murmelstein, l’ultimo Decano di Theresienstadt, un uomo che Primo Levi avrebbe posto nella zona grigia, tra le vittime che collaborarono con i carnefici, come il suo analogo, il Decano di Lodz, Rumkowski, cui ha dedicato pagine memorabili in I sommersi e i salvati. Perché? Cos’è accaduto? Sono la prima e l’ultima scena a definire il senso del film. Il regista francese, ottantenne, è sulla banchina della stazione di Bohusovice, la fermata di Theresienstadt, il ghetto-vetrina del nazismo, mostrato a tutto il mondo negli anni Quaranta del XX secolo quale esempio positivo di ciò che il Terzo Reich faceva agli ebrei. Legge un testo. Nell’ultima sequenza, girata quarant’anni fa nel 1975, Lanzmann è a Roma, davanti all’Arco di Tito, in compagni a di Benjamin Murmelstein, capo del Consiglio ebraico. Camminano insieme. Dopo aver parlato per un’ora e mezzo con voce stentorea e foga impressionante, l’unico testimone della deportazione, vista dal punto di vista di chi mediava con i tedeschi e dirigeva il ghetto, sopravvissuto al gas, al processo in Cecoslovacchia, in esilio a Roma da trent’anni, persona non gradita in Israele, prende sottobraccio il regista. Lanzmann gli passa una mano sulla spalla. In Shoah la figura di Murmelstein era stata omessa. Il Decano, personaggio discusso e discutibile, è morto da un pezzo. Ma ora è come resuscitato usando il vecchio materiale. Sono trascorsi quarant’anni da quell’incontro, e trenta dall’uscita di Shoah. È mutata l’idea di memoria. Murmelstein, finita la guerra, era un uomo che, come disse Gershom Scholem, gli ebrei in Israele avrebbero volentieri impiccato per collaborazionismo. Adesso è invece un testimone. Non un giusto, come Levi o Wiesel, ma, come dice di sé, un «ingiusto ». Definizione perfetta : uno che ha tenuto in piedi il ghetto di Theresienstadt, perché così salvava se stesso (e insieme migliaia di ebrei). Nel film appare un uomo affascinante, duro, cinico, sarcastico. Lanzmann a tratti appare perplesso. Gli chiede: perché lei è scampato? Lui risponde: perché ero come Scheherazade, perché continuavo a raccontare una storia per non morire. Murmelstein, si capisce dai gesti e dalla voce, non si faceva scrupoli per continuare a mantenere aperto il ghetto. Non s’opponeva ai trasporti verso le camere a gas. Non poteva, certo. Come la narratrice delle Mille e una notte, aveva un solo scopo: evitare l’esecuzione. Lanzmann gli chiede: e il suo rapporto con il potere? Il Decano risponde : ma quale potere, io avevo il potere di chi non ha potere. Ma poi ammette: a chi non piace il potere? Appare il nome di Rumkowski, il folle re del ghetto di Lodt, che emetteva francobolli con il suo ritratto e anche monete. Murmelstein rigetta il paragone. Più avanti Lanzmann torna alla carica, ma senza incalzarlo fino in fondo. Parla del film girato dai nazisti nel ghetto, dove si vedono bambini cui viene servito il pane coi guanti bianchi. Commenta: una follia! Murmelstein non reagisce. Per lui conta il risultato: i nazisti non hanno liquidato il ghetto. Ci sono stati treni da lì diretti ad Auschwitz, ma alla fine lui e gli altri rimasti si sono salvi. L’ebreo esiliato a Roma piace al regista. L’ha sedotto. Nel 1985 questo ritratto non era mostrabile. Non si poteva. Ancora troppe polemiche: la responsabilità dei capi ebraici nello sterminio, il negazionismo, la discussione intorno alla «banalità del male» di Hannah Arendt. E poi soprattutto un’altra idea della memoria. L’epicità tragica di Shoah. Contro la filosofa ebrea Murmelstein fa un affondo: Eichmann banale? Io l’ho conosciuto : un demonio! Chissà se ha letto davvero il libro della Arendt? Certo lo fraintende. Arendt parlando della stupidità del criminale nazista non voleva assolverlo,ma indicarne la mancanza di pensiero, dell’empatia : mettersi nei panni degli altri. Questo è per lei il Male. Nel film non c’è posto per questo. O meglio, è Lanzmann a provare simpatia per Murmelstein. Ha costruito tutto il suo film intorno a lui. Raccontando la storia di Theresienstadt – le parti senza il Decano occupano quasi metà del film – ha voluto, più o meno consapevolmente, circoscrivere la figura di Murmelstein, circondarla con la storia terribile del suo ghetto-Lager. Non per accusare il Decano, neppure per assolverlo, ma per contenere la sua irruenta figura, e dare un senso all’umana simpatia che ha provato per lui, lottatore indefesso, uomo in bilico tra bene e male, quarant’anni fa. I tempi cambiano. Anche Lanzmann non è più lo stesso.

Fulvia Caprara: " Ecco perchè riabilito il rabbino collaborazionista"

 

Claude Lanzmann,oggi

Nell’hotel parigino a due passi da Place Vendôme dove i divi del cinema francese entrano ed escono dalle stanze delle interviste come in una pochade, l’apparizione di Claude Lanzmann, classe 1925, organizzatore della Resistenza francese, intellettuale, cineasta, giornalista amico di Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir, ha un impatto sacrale. Il tono delle voci si abbassa, chi è in piedi si accosta al muro per fare spazio, chi sta facendo qualcosa si blocca. Severo, diretto, imperativo, l’autore di Shoah, la pellicola lunga 10 ore e 13 minuti che l’ha impegnato a tempo pieno per 12 anni, evento fondamentale nella ricostruzione della storia dell’Olocausto, evita il tono ieratico da grande vecchio e, più che alle domande rispettose, è interessato al confronto e alla provocazione: «La moda di oggi impone di comportarsi come se la morte non esistesse, io, invece, sono convinto che esista e che, alla fine, sia lei a vincere». Corpoa corpoconlamorte Il corpo a corpo riguarda tutti e ognuno, sembra dire Lanzmann, fa la sua parte, compreso Benjamin Murmelstein, ultimo capo del Consiglio Ebraico del ghetto di Theresienstadt, l’unico ad aver vinto quel match uscendo vivo dall’inferno: «Murmelstein fu nominato decano nel 1944, era un uomo di bellissimo aspetto e dallamente brillante, il più capace fra i decani e forse il più coraggioso... Nonostante fosse riuscito a tenere aperto il ghetto fino agli ultimi giorni della guerra e avesse salvato la popolazione dalle marce della morte ordinate da Hitler,su di lui si concentrò l’odio di una partedei sopravvissuti».Sebbene in possesso di un passaporto diplomatico della Croce Rossa, Murmelstein non si diede alla fuga, fu arrestato e imprigionato dalle autorità ceche dopo che alcuni ebrei lo avevano accusato di collaborare con il nemico, rimase in galera per 18mesi e ne uscì prosciolto da tutte le imputazioni.Alla sua «testimonianza preziosa», al suo ruolo apparentemente contraddittorio, allasuacomplessafigura umana, Lanzmann ha dedicato Le dernier des injustes L’ultimo degli ingiusti, da domani nelle sale italiane: «Non ho fatto questo film per le giovani generazioni, dentro c’è qualcosa di molto più complicato di un disegno educativo. Girarlo è servito ad apprendere, nei dettagli, cose che ignoravamo sul senso più profondo con cui i nazisti praticavano la corruzione. Posso dire che comprendiamo il significato della soluzione finale più in questo filmche in Shoah». Il faccia a faccia, a Roma, tra Murmelstein e Lanzmann, risale al 1975: «L’ho incontrato prima di iniziare Shoah, sono stato con lui una settimana, passeggiando per la città e girando chilometri di pellicola, ma non sapevo ancora bene cosa fare di quel materiale...». Per Shoah non andava bene perchè «quello è un film epico, attraversato, dall’inizio alla fine, dal senso di una tragedia immane», eppure l’intervista a Murmelstein, con tutti i suoi interrogativi aperti, andava ripresa e approfondita. Nel 2012 Lanzmann torna a Theresiestadt, un «luogo sinistro», a 60 km da Praga, recupera il vecchio colloquio e analizza la storia della città «che Hitler regalò agli ebrei», in realtà il luogo della grande menzogna, quello dove vennero deportate le ultime figure di spicco della cultura ebraica, prima dell’esecuzione, più lontano, a Est: «I veri collaborazionisti, coloro che abbracciarono l’ideologia nazista, come ad esempio i collaborazionisti francesi, non esistevano tra gli ebrei, tranne forse a Varsavia, dove c’era il gruppo dei “Tredici”...».Dopo ore di brillante conversazione, racconta il regista, Murmelstein ammise: «Non ci rendevamo conto di quello che stava succedendo, non ci pensavamo». ControlaArendt Chi invece sapeva tutto, e bene, era Adolf Eichmann, che incaricò Murmelsteindi organizzare l’emigrazione forzata degli ebrei austriaci, dall’estate del ’38 fino allo scoppio della guerra. Il capovolgimento della teoria della filosofa Hannah Arendt sulla «banalità del male» è uno dei punti a cui Lanzmann tiene di più: «Quello di Eichmann fu un processo sommario, basato sull’ignoranza.Non fu nemmeno dimostrata la sua diretta partecipazione alla Notte dei Cristalli... La Arendt sputò ognigenerediassurditàsuquesto argomento..». Il protagonista del film, l’ultimo degli ingiusti, «combattè contutte le sue forze, fino alla fine, contro gli assassini. Come hadettolui stesso, inazistivolevano fare di lui un burattinaio,ma il burattinaio aveva imparato a muoversi i fili da solo». Alla fine, grazie al suo impegno, oltre 123mila ebrei riuscirono amettersi in salvo. A Cannes, dove il film ha avuto la sua anteprima trionfale, Lanzmann ha incontrato il presidente di giuria Steven Spielberg, di cui aveva a suo tempo criticato Schindler’s list: «Abbiamo pranzato insieme e siamo diventati amici, ha visto L’ultimo degli ingiusti emi ha scritto che era stata una rivelazione».

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