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La Stampa - Il Giornale Rassegna Stampa
22.01.2014 Siria, Ginevra: una conferenza inutile, intanto Assad continua con i massacri
commenti di Gianni Riotta, Livio Caputo

Testata:La Stampa - Il Giornale
Autore: Gianni Riotta - Livio Caputo
Titolo: «Le immagini che cambiano il destino dei conflitti - A Ginevra il teatro dell'assurdo»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 22/01/2014, a pag. 1-27, l'articolo di Gianni Riotta dal titolo " Le immagini che cambiano il destino dei conflitti ". Dal GIORNALE, a pag. 12, l'articolo di Livio Caputo dal titolo "A Ginevra il teatro dell'assurdo".

La STAMPA - Gianni Riotta" Le immagini che cambiano il destino dei conflitti"


Gianni Riotta

Ci sono foto che diventano icone di un conflitto, il miliziano della Repubblica spagnola ferito di Robert Capa, la bimba Phan Thi Kim Phúc ustionata dal napalm in Vietnam di Nick Ut. E ci sono invece foto che riproducono le divisioni di una guerra. Il reporter americano Eddie Adams, il primo febbraio 1968 scatta mentre il capo della polizia vietnamita Nguyen Ngoc Loan, con il revolver spara alla tempia del guerrigliero Vietcong Nguyen Van Léme crea il simbolo del terrore a Saigon. Nessuno ricorda però che, a lungo, Adams provò invano a raccontare il contesto della tragica foto «Il generale Loan uccise il Vietcong, io uccisi il generale con la mia foto. Le fotografie sono le armi più potenti al mondo. La gente crede nelle immagini, ma le fotografie mentono, anche senza alcuna manipolazione. Sono solo mezze verità. Quel che la mia fotografia non dice è “Cosa avreste fatto voi, al posto del generale Loan in quel posto e in quel momento di un giorno terribile, se aveste preso il presunto colpevole dopo che aveva ammazzato a freddo uno, due, tre soldati americani?”».
Scusandosi con Loan, Adams non lo giustifica, ammette con onestà che la sua foto storica è «una mezza verità», senza contesto. La stessa cautela può essere usata davanti alle terribili fotografie che la rete tv americana Cnn, il quotidiano inglese «The Guardian» e l’agenzia semiufficiale di stampa turca Anatolia hanno diffuso di prigionieri siriani torturati, uccisi, affamati dal regime di Assad. Un ex fotografo delle forze di sicurezza di Damasco, detto Cesar, le avrebbe trafugate e tre esperti internazionali, Sir Desmond de Silva, pubblico ministero per i crimini in Sierra Leone, David Crane, pubblico ministero nei processi per le violazioni dei diritti umani perpetrate dall’ex presidente liberiano Taylor, e Sir Geoffrey Nice, ex pm nel processo al despota serbo Milosevic, le hanno convalidate come «Prova certa». L’opposizione siriana parla di «genocidio evidente» e di 11.000 giustiziati.
Damasco reagisce e paragona «Cesar» a «Curveball», la fonte che si rivelò poi non attendibile, sulle armi di sterminio di massa di Saddam Hussein, segnalando la coincidenza tra il rapporto sulle sevizie e la Conferenza sulla Siria che si apre a Ginevra. Che infine l’inchiesta sia organizzata dal Qatar, vicino ai ribelli contro il governo alawita, sarebbe segno ulteriore di non credibilità. Come il povero Adams comprese solo tardi, non serve però a nulla guardare le immagini come fossero fuori dal mondo, senza tempo e spazio. Illudersi che un fotogramma ieri, un mosaico di pixel oggi, ci restituiscano la verità, senza la fatica, il dolore, il tempo passato a studiare, informarsi, riflettere, pensare, decidere, giudicare induce ad errori.
La guerra civile in Siria ha fatto 130.000 morti civili e ha seminato milioni di profughi in Medio Oriente. Lo scorso ottobre l’organizzazione umanitaria Human Rights Watch, nel rapporto «Dentro il buco nero» (http://goo.gl/JZOl6w) ha denunciato «sistematiche violazioni dei diritti umani e torture che sono crimini contro l’umanità» di Assad. Secondo uno studio di Amnesty International «lo stato di polizia di Assad si macchia di colpe che ammontano a crimini contro l’umanità» (http://goo.gl/V1cI7f).
Le foto di «Cesar», validate dai magistrati internazionali, non cadono dunque nel vuoto. Non sono «un fotogramma», sono «il film» dell’orrore che Assad sta compiendo, nell’indifferenza della comunità mondiale persuasa quasi che, fermato il blitz minacciato da Obama, in Siria ci sia «pace». Che Russia e Iran appoggino il regime siriano complica sia la Conferenza di Ginevra che un possibile intervento umanitario dell’Onu, impotente per i veto in Consiglio di Sicurezza.
Giudicate dunque come volete il dossier atroce di «Cesar», pesatelo contro le violazioni dei diritti di cui anche l’opposizione si macchia, con i rapimenti e le rappresaglie comminate dall’ala vicina ad al Qaeda: il verdetto non cambia. Assad è colpevole di crimini contro l’umanità, ma non sarà processato come Milosevic o condannato come Taylor. Debole nel 2012, tornato in gioco grazie alle divisioni dei ribelli e all’inanità occidentale nel 2013, è oggi saldo in sella per l’astuta diplomazia di Putin. Nei campi profughi si spera solo che da Ginevra esca almeno una tregua, un cessate il fuoco, mentre i siriani fedeli al regime – compresi i cristiani terrorizzati dalla vendetta dei fondamentalisti - non immaginano nemmeno più che, come Gheddafi e Mubarak, anche Assad possa finire nella polvere.
Chiunque siano le vittime innocenti delle foto, chiunque siano le migliaia di torturati senza un volto e che mai vedremo, in Siria al più possiamo sperare anche noi in un «cessate il fuoco», che limiti i danni e plachi gli orrori. Pace e giustizia sono parole che da Ginevra tanto sentirete, ma che in Siria non hanno traduzioni.

Il GIORNALE - Livio Caputo : "A Ginevra il teatro dell'assurdo"


Livio Caputo        Bashar al Assad

È difficile immaginare una confe­renza di pace che inizi sotto auspici peggiori di quella che si apre oggi sulla Siria. Non solo manca una buona parte degli attori, ma c’è ragione di pensare che anche quelli che hanno deciso di partecipare, il regime di Assad, la parte di opposizione moderata che – sotto forte pressione occidentale - non si è tirata indietro, la stessa Russia, auspichino in realtà il suo fallimento. Rischiamo perciò di assistere a una specie di teatro dell’assurdo, che potrebbe trascinarsi anche per settimane e mesi, ma che nel migliore dei casi produrrà l’apertura di qualche corridoio umanitario, qualche scambio di prigionieri, qualche temporaneo armistizio locale. Purtroppo, rispetto all’anno scorso, quando la conferenza fu programmata d’intesa tra Washington e Mosca, si sono fatti solo dei passi indietro.
1) Il regime di Assad si è rinforzato, sia sul piano militare, con la riconquista di importanti posizioni grazie all’aiuto degli Hezbollah e dell’Iran, sia su quello diplomatico, con l’accettazione dell’accordo per la distruzione del suo arsenale di armi chimiche. L’opposizione, al contrario, si è ulteriormente frazionata, con un rafforzamento delle forze estremiste legate ad Al Qaeda rispetto a quelle più moderate e legate all’Occidente.
Ma anche queste ultime sono spaccate tra quelli che combattono e quelli che li rappresentano in esilio: dei 110 membri del Consiglio, solo 58 si sono pronunciati a favore di una partecipazione, e anche questi si sarebbero sfilati se, sotto la pressione dell’America Ban Ki-Moon non avesse ritirato in extremis l’invito
esteso all’Iran.
2) Non c’è neppure l’ombra di un’agenda comune. L’obbiettivo, sempre più irrealistico, ma ribadito ancora ieri da Kerry, dell’Occidente è la rimozione di Assad e la sua sostituzione con un governo provvisorio che comprenda entrambe le parti in causa. Per il capo dell’opposizione filocccidentale, Ahmed el Jarba, Ginevra deve essere «il primo passaggio per liberare la Siria dall’assassino». Assad, invece, non ha alcuna intenzione di andarsene, e vuole ottenere sia il riconoscimento che egli sta combattendo contro movimenti terroristici fomentati e finanziati dall’esterno (leggi Arabia Saudita), sia l’avallo a una sua partecipazione alle evantuali prossime elezioni. Inutile dire che si tratta di posizioni inconciliabili, e difficilmente modificabili in sede di negoziato.
3 ) A Ginevra ci saranno due convitati di pietra, con cui bisogna fare comunque i conti: i movimenti jihadisti Al Nusra e Isis, attualmente in conflitto tra loro ma entrambi ispirati da Al Qaeda, che vogliono imporre un regime islamista basato sulla Sharia, senza diritti per le minoranze. Entrambi si sono già resi responsabili di atrocità che non hanno nulla da invidiare a quelle commesse dal regime e per giunta stanno attirando combattenti sia dall’Europa, sia dall’America, che tornando a casa diventeranno una minaccia terroristica. Qualunque sia l’esito della conferenza loro continueranno la guerra.
4) Nessuno degli sponsor è in grado di esercitare efficaci pressioni sui contendenti. L’America non vuole saperne di un coinvolgimento più diretto nel conflitto e per la Russia Assad, con tutte le sue colpe, rappresenta ancora la soluzione migliore. Non c’è da stupirsi che perfino Washington preveda, senza mezze parole, «trattative lunghe, esasperanti e incerte».

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