Riprendiamo oggi, 18/01/2014, dal CORRIERE della SERA e dalla STAMPA le cronache di Davide Frattini, Maurizio Molinari sugli sviluppi delle polemiche tra Israele e l'Unione Europea, e sulle dichiarazioni della Presidente della Camera Laura Boldrini, come sempre in linea con le posizioni pro-palestinesi
Corriere della Sera-Davide Frattini: " Boldrini sulle trattative, i palestinesi vogliono più Europa"
Laura Boldrini con studentesse a Gaza. Nessuna visita alle rampe di lancio di missili conro Israele
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE GERUSALEMME — Nelle stesse ore in cui Avigdor Liberman convoca quattro ambasciatori europei (tra loro l’italiano Francesco Maria Talò), Laura Boldrini incontra i parlamentari palestinesi. Il ministro degli Esteri israeliano e tutto il suo governo criticano gli interventi dell’Unione Europea, replicano irritati alle proteste contro gli annunci di nuove abitazioni nelle colonie, le azioni coordinate da Bruxelles vengono bollate come intralci alla ricerca di un accordo di pace.
A Ramallah — racconta la presidente della Camera — il ruolo dell’Europa è considerato invece fondamentale. «I palestinesi vorrebbero una componente europea più forte nei negoziati, senza nulla togliere agli sforzi di John Kerry, il segretario di Stato americano. Si sentirebbero più garantiti».
È l’ultimo giorno della visita in Israele e nei territori cominciata martedì, durante una settimana agitata dallo scontro Israele-Ue e dall’incidente diplomatico con Washington generato dalle parole di Moshè Yaalon, il ministro della Difesa. Segnali — commenta Boldrini — che «le trattative di pace si stanno avvicinando a qualcosa di concreto, così le parti alzano il tiro».
Ha visto Yuli Edelstein («sono qui anche per contraccambiare la sua visita a Roma») e con il presidente del Parlamento israeliano ha discusso proprio delle opinioni espresse da Yaalon contro Kerry (tra le altre: «Gli diano il premio Nobel e ci lasci tranquilli») e che gli americani hanno definito «oltraggiose». «Edelstein ha subito sminuito il caso, mi ha detto che era importante andare oltre l’episodio. Ha riconosciuto che le frasi di Yaalon hanno dato voce alle angosce sentite da una parte degli israeliani».
I deputati palestinesi le hanno ribadito che «il diritto al ritorno dei rifugiati è un punto irrinunciabile. Ma sono consapevoli che non esista alternativa al trovare un’intesa». Con loro ha parlato anche dei palestinesi rimasti intrappolati nella guerra siriana, di come la crisi e gli spostamenti dei civili in fuga stiano premendo su Paesi come la Giordania.
A Tel Aviv ha visitato il Centro Peres dove ha conosciuto gli israeliani impegnati nelle organizzazioni che aiutano gli immigrati clandestini (soprattutto dal Sudan e dall’Eritrea) e gli attivisti dei movimenti per la pace. «Ho trovato una società civile dinamica, differenziata, che è un segno di democrazia». All’università le sono stati presentati i progetti della «nazione start-up», le innovazioni tra Web e biotecnologie.
Giovedì il viaggio verso sud e Gaza, dopo che cinque missili sono stati sparati all’alba dalla Striscia contro le città israeliane e l’aviazione ha risposto bombardando alcune postazioni degli estremisti. «È come entrare in un altro mondo, a soli 60 chilometri dalla sofisticata Tel Aviv. C’è una crisi umanitaria in corso che non si può sottovalutare, la libertà di movimento è molto limitata, frustra le aspettative dei giovani. Si sopravvive solo grazie agli aiuti dell’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, e sono essenziali anche gli interventi della cooperazione italiana. Questa situazione intollerabile alimenta la rabbia».
La Stampa- Maurizio Molinari: " Netanyahu apre a Rohani. Potrei incontrarlo"
Sfida all’Iran e rimproveri all’Europa: la diplomazia israeliana va all’offensiva su più fronti in coincidenza con l’accelerazione del negoziato con i palestinesi. È parlando alla tv canadese che il premier BenjaminNetanyahu compie un inatteso passo verso Teheran: «Se il presidente Hassan Rohani riconoscerà Israele, accetterà di convivere in pace, sarò pronto a incontrarlo ». Poiché entrambi i leader saranno presenti a Davos, Netanyahu disegna all’orizzonte lo scenario di un’ipotetica, spettacolare, riconciliazione con il più spietato nemico al fine di mettere in risalto il nodo del riconoscimento dell’esistenza di Israele. «Il Medio Oriente sta cambiando e molti Paesi arabi sono ora vicini a noi perché temono l’Iran» aggiunge il premier, riferendosi indirettamente anche all’imminente partenza di Silvan Shalom, ministro dell’Energia, per gli Emirati, dove parteciperà ad una conferenza sulle risorse, evidenziando l’avvicinamento in atto con i Paesi sunniti. L’intento di Netanyahu è assumere l’iniziativa su più tavoli. Si spiegano così anche le accuse all’Europa di «ipocrisia » per le critiche agli insediamenti «mentre tace sull’incitamento all’odio da parte dei palestinesi » a cui è seguita la convocazione al ministero degli Esteri degli ambasciatori di Gran Bretagna, Francia, Italia e Spagna per rimproverargli «squilibrio sul negoziato in Medio Oriente». La convocazione sarebbe arrivata anche all’ambasciatore tedesco se il ministro degli Esteri di Berlino non fosse stato pochi giorni fa a Gerusalemme, ascoltando di persona le proteste. La scelta dei cinque Paesi non è casuale: sono i membri del gruppo di contatto a cui l’Ue ha affidato l’approccio al negoziato per arrivare ad una composizione del conflitto israelo-palestinese. «L’Europa è unilaterale, prende posizione sempre contro Israele e a favore dei palestinesi, è inaccettabile» afferma il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, riferendosi alla recente condanna da parte dell’Ue del piano israeliano per costruire nuove 1400 case negli insediamenti. Ma non è tutto perché le notizia sulla convocazione - avvenuta giovedì - erano state taciute dai Paesi Ue e a svelarle è il quotidiano «Haaretz» con una delle firme più note: Barak David. Proprio un’altra celebrità del giornalismo locale, Shimon Shiffer di «Yedioth Aharonot», martedì aveva pubblicato l’affondo del ministro della Difesa, Moshe Yaalon, contro Kerry «ossessionato dal processo di pace». Sebbene Yaalon abbia poi fatto marcia indietro, l’impressione è che il governo voglia far sapere alla propria opinione pubblica di essere impegnato a oltranza nella difesa degli insediamenti in Cisgiordania, di cui Usa e Ue più volte hanno chiesto un parziale smantellamento per facilitare l’accordo con i palestinesi. «Non sappiamo ancora se questi siluri contro Usa e Ue - osserva un veterano del negoziato, chiedendo l’anonimato - nascano dalla volontà di resistere alle pressioni contro gli insediamenti o se invece preparino il terreno ad un maggiore pragmatismo». In attesa di saperlo, la scelta dell’Ue è seguire l’esempio di Kerry nel rispondere alle critiche con franchezza. Se il Dipartimento di Stato Usa aveva definito «inaccettabili» le parole di Yaalon, ora è Catherine Ashton, ministro degli Esteri Ue, a ribattere: «Gli insediamenti sono una violazione della legge internazionale e ostacolano la pace».
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