Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 14/01/2014, a pag. 41, l'articolo di Paola Capriolo dal titolo " Si spengono le luci in Germania: dietro l’idillio, l’orrore nazista ".


Erika Mann, Quando si spengono le luci, ed. Il Saggiatore
In una chiara notte d’ottobre, uno straniero passeggia per le strade di una quieta, pittoresca cittadina della Baviera, «amabile e piena d’incanto» come tutte le antiche città tedesche. È piacevolmente colpito dalla sua «grazia assonnata», dal lindore e dalla gaia operosità che si indovinano dietro le facciate dipinte delle case; e le rosse bandiere con la croce uncinata che sventolano qua e là dalle finestre non gli sembrano così minacciose da poter incrinare l’atmosfera di idillio. Anzi, le trova addirittura belle, come trova che «questo Hitler» in fondo stia facendo grandi cose per il suo Paese. Curioso, però, che i rari abitanti in cui si imbatte si mostrino più spaventati che entusiasti...
Lo straniero ha la vaga impressione che i conti non tornino del tutto e vorrebbe possedere uno di quei berretti magici dei quali i personaggi delle fiabe si servono per diventare invisibili: allora potrebbe introdursi nelle case, osservare la vita della gente, capire, insomma, che cosa stia succedendo davvero in questa sconcertante Germania del 1938.
Munita idealmente di un simile berretto, Erika Mann, figlia primogenita di Thomas e figura di spicco dell’emigrazione intellettuale tedesca durante il Terzo Reich, conduce il lettore a esplorare gli orrori palesi e segreti della vita quotidiana sotto il regime nazista nella raccolta di racconti Quando si spengono le luci , apparsa in inglese a New York e Londra nel 1940 e ora tradotta in italiano a cura di Agnese Grieco (Il Saggiatore).
Si tratta, come dichiara l’autrice, di storie nelle quali «nulla è inventato», basate su testimonianze reali, trasposte nello scenario «idealtipico» della piccola città bavarese; storie il cui intento è, prima che letterario, politico: scuotere le coscienze in un’America ancora combattuta tra neutralità e interventismo; storie che non narrano di individui o avvenimenti straordinari, ma «si collocano nell’ambito della vita comune», tra «gente qualsiasi», registrando «l’atmosfera della vita civile della classe media in Germania» alla vigilia della guerra. Così i personaggi, che ricorrono nei vari racconti comparendo ora sullo sfondo, ora in primo piano, sono il commerciante e il sacerdote, il contadino e il professore, l’industriale e la donna di casa, a illustrare la brutale distorsione operata dal nazismo in tutte le pieghe della società.
Colpisce, nei dieci racconti di Quando si spengono le luci , la capacità di questa donna altoborghese, eccentrica, figlia del «Mago» e di quella Katia Pringsheim cui è ispirata la fiabesca figura dell’ereditiera nel romanzo Altezza reale di Thomas Mann, di immergersi nei destini medi o addirittura mediocri dei suoi personaggi e di restituirne con naturalezza la verità psicologica. Da attrice, ancor più che da scrittrice: e Agnese Grieco, con la sua duplice sensibilità di germanista e drammaturga, nella limpida postfazione che chiude il volume sottolinea con efficacia la continuità tra la «vocazione teatrale» di Erika Mann e la sua produzione narrativa.
Scrittrice pura, senza aggettivi, forse non fu mai e non poteva essere, schiacciata com’era dalla gigantesca ombra paterna; per quanto facesse, non poteva che rimanere Erikind, «Erikabimba», beneficiaria e vittima di un olimpico vezzeggiativo, chiamata a tradurre nel linguaggio del Kabarett o della «letteratura impegnata» l’alto, infinito contenzioso di Mann padre con il germanesimo. Eppure almeno due di questi racconti, «L’ultimo viaggio» e «Su indicazione medica», imperniati sulla morte di un giovane marinaio ucciso dalle SA, sulla disperazione della madre e del fratello nell’apprendere la notizia, sulla rivoluzione morale che la vicenda provoca nel primario dell’ospedale cittadino, possiedono una forza letteraria che ne fa ben di più che semplici exempla ad uso di una sia pur nobilissima propaganda e non figurano indegnamente nemmeno su uno scaffale di famiglia così affollato di capolavori come quello dei Mann.
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