venerdi 27 dicembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Stampa-Il Giornale Rassegna Stampa
12.01.2014 Arik Re d' Israele
Commenti di Maurizio Molinari, Fiamma Nirenstein

Testata:La Stampa-Il Giornale
Autore: Maurizio Molinari-Fiamma Nirenstein
Titolo: «Sharon, l'ultimo guerriero d'Israele- Non era un falco ma una colomba d'acciaio-Concepiva solo la guerra, la sua è una terribile eredità-Coraggio e lealtà fino alla fine, resta uno dei padri fondatori»

Riprendiamo dalla STAMPA e dal GIORNALE i commenti e i servizi sulla scomparsa di Ariel Sharon. Maurzio Molinari intervista Avi Pazner, che fu portavoce di Sharon, e Mohammed Ishtayeh, consigliere di Abu Mazen. Non sono tanto le risposte di quest'ultimo ad interessare, tanto sono scontate, quanto le domande di Molinari, tutte mirate ad ottenere il pensiero dell'intervistato. Così si fa una intervista, corretta con l'intervistato, ma senza lasciargli la guida. Come avviene quasi sempre con le interviste ai palestinisti.
Ecco gli articoli:

La Stampa-Maurizio Molinari: " Sharon, l'ultimo guerriero d'Israele "

Maurizio Molinari

Combattente spericolato e stratega militare, Ariel Sharon è stato anzitutto un soldato che ha dedicato la vita alla difesa d’Israele, ma divenuto premier ha dimostrato di essere pronto a cedere terra per dare una possibilità in più alla pace. Ariel Scheinermann nasce a Kfar Malal nel 1928, venti anni prima dello Stato di Israele. Figlio di ebrei bielorussi fuggiti dai pogrom che infestavano la Russia durante la guerra civile, cresce in una comunità laica, di impronta socialista E’ l’avanzata dell’AfrikaKorps di Rommel che, a 14 anni, lo spinge ad arruolarsi nell’Haganà, le unità clandestine di un insediamento ebraico della Palestina britannica che si prepara allo scontro con le armate della Germania nazista. La sconfitta dell’Asse ad El Alamein scongiura questo scenario ma Sharon resta nelle fila dell’Haganà accumulando battaglie, ferite, decorazioni ed esperienze che lo trasformano nell’eroe più indisciplinato dell’esercito del nuovo Stato. Alcune delle sue gesta vengono ancora oggi insegnate ai cadetti di West Point perché il coraggio e l’intuito lo portano a diventare uno stratega di successo. Durante la battaglia per Gerusalemme, nel 1948, con un’unità di appena 30 uomini tiene in scacco le soverchianti forze irachene, bersagliandole con attacchi improvvisi, dimostrando che determinazione e sorpresa possono rimediare alla debolezza numerica: quasi la genesi delle truppe speciali.
Ferito gravemente nella battaglia di Latrun contro la Legione Araba giordana durante la guerra d’Indipendenza, nel 1950 guida l’«Unità 101» - appena 50 uomini - il cui compito è rispondere alla guerriglia dei fedayn inseguendoli oltre confine, attaccando senza remore i villaggi da dove provengono. È una contro guerriglia feroce. Nel 1953 a Qibya vengono uccisi 69 palestinesi, l’unità 101 è accusata di aver compiuto «un massacro» demolendo le case con la dinamite ma per Sharon ciò che conta è punire i fedayn per la strage commessa a Yehud: l’idea che lo guida è infliggere al nemico perdite tali da essere un deterrente. Durante la campagna di Suez del 1956 il suo eccesso di iniziativa costa la vita a 38 soldati israeliani nel passo di Mitla - scatenandogli contro una bufera di critiche in patria - ma nella Guerra dei Sei Giorni è il protagonista della vittoria nel Sinai grazie alla battaglia di Abu Ageila che entra nel manuale del «Doctrine Command » degli Stati Uniti: il motivo è che l’attacco agli egiziani avviene con mini-unità, ognuna incaricata di colpire un singolo tassello di una vasta area fortificata, neutralizzando in questo modo la sinergia difensiva degli avversari. Gli vale il soprannome di «Arik, re d’Israele » anche perché si accompagna, sei anni più tardi, al colpo di mano che rovescia le sorti della Guerra del Kippur. Congedato da pochi mesi, Sharon viene sorpreso come tanti altri dall’attacco a sorpresa di Egitto e Siria nell’ottobre 1973, si precipita sul fronte del Sinai con un’auto civile, assume la guida di un’unità di riservisti e supera le linee nemiche senza ingaggiare gli avversari: attraversa il Canale di Suez protetto dalle tenebre e crea una testa di ponte fra la Seconda e Terza Armata egiziana, tagliando i rifornimenti dell’una e isolando l’altra. È il blitz che cambia le sorti della guerra, scongiura la disfatta israeliana e porta le avanguardie di Sharon a 101 km dal Cairo obbligando gli egiziani a difendere Ismailia. L’immagine di Sharon, con una ferita bendata sulla testa, che guida le truppe sul lato opposto del Canale gli consegna una popolarità che gli apre a strada della vita politica.
Debutta come consigliere del premier laburista Yitzhak Rabin, poi diviene ministro dell’Agricoltura nel primo governo del Likud di Menachem Begin ma ciò che più conta è il legame che costruisce con i «Gush Emunim», gli abitanti degli insediamenti ebraici in Cisgiordania dei quali diventa il paladino, convinto sostenitore della necessità di controllare più terra possibile per difendersi dai nemici arabi. Quando Begin viene rieletto nel 1981 lo nomina ministro della Difesa ed è in questa veste che diviene il protagonista dell’operazione militare «Pace in Galilea »: l’attacco contro le basi dell’Olp in Libano in risposta all’attentato con un diplomatico israeliano a Londra. È una guerra che Sharon spinge fino ad arrivare a Beirut. Riesce nell’intento di espellere Yasser Arafat e i suoi guerriglieri,ma rimane imbrigliato nella strage di Sabra e Chatila. Sono i campi profughi nei quali, fra il 16 e il 18 settembre, vengono uccisi fra 800 e 3500 palestinesi per mano delle milizie falangiste cristiano maronite guidate da Elie Hobeika, ma il perimetro esterno dei campi è sotto il controllo degli israeliani e la Commissione Kahan, insediata a Gerusalemme, giudica Sharon «indirettamente responsabile» del massacro per aver «ignorato il pericolo di un bagno di sangue e non aver fatto nulla per impedirlo».
È il momento più difficile della sua vita dal quale si risolleva grazie all’impegno del Likud che lo porta a ricoprire più ministeri fino all’elezione a premier nel febbraio 2001. A sfidarlo è la Seconda Intifada, a colpi di kamikaze dentro autobus e ristoranti, che riesce a piegare con due mosse: l’operazione «Muro di Difesa» che lancia nel 2002 dentro i territori palestinesi ordinando ai soldati di «entrare nelle città sparando » e la successiva edificazione di una barriera di separazione fra insediamenti ebraici e villaggi arabi in Cisgiordania. I
n questo modo le infiltrazioni di terroristi e kamikaze vengono frenate e si crea al tempo stesso un nuovo confine fra i due popoli.
Sharon si convince a tal punto della necessità della separazione fisica dai palestinesi che nell’agosto del 2005 decide l’espulsione forzata di circa 10 mila israeliani da 21 insediamenti a Gaza per consentire alla Striscia di diventare il primo nucleo del nuovo Stato di Palestina. L’intelligence militare lo avverte sui rischi che da Gaza potranno in futuro essere lanciati razzi contro Israele - inclusa la fattoria di Sharon nel Negev - ma Arik accetta il rischio anche se ciò lo porta a uscire dal Likud, fondando «Kadima»: una nuova formazione centrista che lo accomuna all’avversario di sempre, il laburista Shimon Peres.
L’infarto che lo colpisce il 4 gennaio, causando un massiccio ictus, è favorito da una salute precaria dovuta ad alto colesterolo, alta pressione ed un’obesità leggendaria. Ma il fatto di essere riuscito a sopravvivere, sebbene in stato vegetale, per otto anni rafforza negli israeliani il mito della caparbietà di «Arik, il leone». Convinto sionista, al punto da sfruttare una visita ufficiale a Parigi per chiedere agli ebrei francesi di immigrare in Israele fuggendo dall’antisemitismo, Sharon è stato spesso in visita ufficiale in Italia dedicando particolare attenzione ai rapporti con la Santa Sede.
La vita privata è tormentata. Sposando prima Margalit e poi la sorella Lily - il suo vero amore - da cui ha Omri e Galit. E in una lunga intervista al «New York Magazine », concessa dopo aver piegato la Seconda Intifada, confessa la qualità che invidia agli arabi: «Quando noi ebrei mangiamo ci sediamo a tavola, ognuno per conto proprio, mentre gli arabi mangiano tutti assieme, anche se stanno seduti per terra».

Il Giornale-Fiamma Nirenstein: " Non era un falco ma una colomba d'acciaio "

Fiamma Nirenstein

Quando gli chiesi durante un'intervista se non gli dispiacesse essere da tutti chiamato «il falco Sharon», mi rispose con uno di quei suoi sorrisi che dicevano: «Ho ben altro di cui preoccuparmi». La storia un giorno gli renderà giustizia. Arik, il vecchio leone, di fatto ha pagato con l'esplosione del suo stesso cuore e della sua mente fino al coma il 4 di gennaio 2006 lo strazio dello sgombero di Gaza, dalla sua propria scelta di farsi sommergere dal dolore dei coloni sradicati dalle case della Striscia e quindi dal biasimo dei suoi tradizionali sostenitori. «Ciò che vediamo da qui (ovvero dal ruolo di primo ministro, ndr) non si può vederlo da laggiù», diceva allora. E ciò che vide era che doveva sperimentare la strada dell'aprire le mani e dare ai palestinesi a Gaza un'area libera su cui avviare la costruzione di un'entità autonoma e indipendente, un loro Stato. Così l'esercito strappò le famiglie ebraiche, uomini donne e bambini da Gaza, e subito dopo le loro case, le serre, le sinagoghe furono tutte distrutte a picconate da Hamas. Sharon nel biasimo della sua parte, e mentre Hamas si impossessava del potere e gettava dai tetti gli uomini di Fatah, si ritrovò sempre più solo e assediato dalla sua stessa storia di israeliano per cui la salvezza del Paese dal terrorismo era il compito maggiore. Adesso nell'ora della sua morte è il tempo di lasciare i luoghi comuni e di vedere Sharon per ciò che è stato veramente nonostante gli sia stata appiccicata l'odiosa etichetta di «boia di Sabra e Chatila». Sabra e Chatila, uno dei campi profughi palestinesi in Libano, fu assalito dalla fame di vendetta delle milizie maronite furiose per l'omicidio del presidente Bashir Gemayel. Le milizie, comandate da Elie Hobeika, si trovavano in zona da quando gli israeliani l'avevano occupata. Gemayel aveva stabilito un rapporto con gli israeliani stessi. Sharon, che era ministro della Difesa, è rimasto nella narrativa popolare l'assassino di settecento persone massacrate tuttavia dai loro nemici locali nell'ambito di uno scontro che durava da tempo. La commissione israeliana Kahan lo accusò di avere ignorato le sue responsabilità e di avere trascurato quindi la possibilità di salvare i palestinesi. Sharon pagò duramente dimettendosi da ministro della Difesa, ma tuttavia vinse il processo americano contro Time Magazine che lo accusò di essere stato avvertito delle uccisioni mentre erano in corso. Hobeika è stato successivamente assassinato nella catena di vendette tutte libanesi. Sharon, ed è tempo che il mondo se lo ricordi, non uccise i palestinesi di Sabra e Chatila, e forse non sapeva niente della strage in corso. E non sappiamo perché non seppe salvarli. Una vignetta che vinse una gara internazionale di umorismo in Inghilterra mostrava Sharon come un mostro di Goya col petto e il ventre nudi, lordi di sangue mentre sgranocchiava teste di bambini. La verità è che Sharon è stato odiato per la sua devozione totale alla salvezza di Israele. L'odio che l'ha accompagnato è legato al fatto che egli salvò Israele quando con un pugno di uomini e ferito sfondò il fronte dell'esercito egiziano penetrando nel Sinai e ricacciando indietro l'avanzata di Nasser; alla memoria di quando nel '48 abbracciato a un commilitone, ciascuno con una sola gamba e feriti al ventre, seguitarono a combattere nelle colline di Latrun; a quando fondò l'unità 101 che è riuscita a scovare un grande numero di terroristi attraverso le mitiche operazioni di paracadutisti; alla guerra «scudo di difesa» del 2002 a Gaza. Poi, nel 2003, dopo lo scontro con Hamas, eletto per la seconda volta primo ministro, Sharon alzò un altro scudo di difesa, quello della pace coi palestinesi. Sfidando la sua stessa gente e il rifiuto storico sempre contrapposto a Israele da tutto il mondo arabo portò via gli israeliani da Gaza e da quattro insediamenti nel West Bank. Sharon non è stato un falco ma la più dura e determinata di tutte le colombe.

La Stampa-Maurizio Molinari: " Concepiva solo la guerra, la sua è una terribile eredità " 

«Ariel Sharon lascia dietro di sé una scia di guerre e massacri che ha più volte ostacolato e allontanato la pace inMedioOriente»: per leggere l’eredità dell’ex premier attraverso gli occhi dei palestinesi bisogna ascoltare Mohammed Ishtayeh, fino alla scorsa primavera è uno dei negoziatori più impegnati nelle trattative con Israele e rimane a Ramallah fra i consiglieri più stretti del presidente Abu Mazen.
Che cosa segna di più il ricordo di Sharon fra i palestinesi?
«I massacri, le aggressioni e le guerre. È stato un soldato, un generale, unministro della Difesa e un premier di Israele che ha perseguito la sistematica aggressione dei palestinesi. Fu lui a volere la guerra in Libano nel 1982, fu lui a essere indirettamente responsabile dei massacri nei campi profughi di Sabra e Shatila».
Quale è stato a suo parere il suo maggiore errore?
«Non essere riuscito ad essere, mai nella sua vita,un uomo di pace.Ebbe delle opportunità, ma le mancò tutte».
Ci faccia un esempio...
«Penso a quanto avvenne durante il negoziato di Wye Plantation con Yasser Arafat, in Maryland nel 1998, durante la presidenza di BillClinton.Si incontrarono con Arafat ma Sharon rifiutò perfino di stringergli la mano. Fu un gesto che tradiva lo spirito degli accordi di Oslo, risalenti a cinque anni prima, e rivelava la sua totale incapacità di negoziare qualsiasi cosa con la controparte. Rifiutava di ammettere che i palestinesi erano la sua controparte».
Eppure nel 2005 Sharon, da premier, decise il ritiro unilaterale dalla Striscia di Gaza. Non fu un gesto di pace?
«No, non lo fu per ilmotivo che Ariel Sharon prese quella decisione da solo. Rifiutò di coordinarsi con i palestinesi. La decisione di agire unilateralmente, confermava la sua scelta di non considerare i palestinesi come interlocutori per una pace in Medio Oriente».
C’è qualcosa che può affermare di aver imparato dal suo avversario?
«Ho imparato che era una persona che non amava i compromessi né gli accordi. Ciò che sapeva, e voleva fare, era combattere. Gli israeliani forse lo ricorderanno come “Arik, re d’Israele” ma per noi è stato il peggiore dei nemici. Temo che pagheremo a lungo le conseguenzedelle sue azioni».

La Stampa-Maurizio Molinari: " Coraggio e lealtà fino alla fine, resta uno dei padri fondatori "

Avi Pazner

«Con Sharon scompare uno degli ultimi fondatori di Israele, un uomo coraggioso fino all’insubordinazione »: così lo ricorda l’ex collaboratore Avi Pazner, portavoce durante il governo 2001-2006. Chi è stato Sharon? «Assieme a Shimon Peres è stato uno degli ultimi fondatori. Entrambi vengono dall’esercito ma poi presero strade differenti». Sotto quale aspetto Sharon è stato un fondatore? «Subito dopo la guerra d’Indipendenza attraversammo un periodo di forti difficoltà militari. Subimmo una sconfitta dai siriani e continuavano le infiltrazioni dei feddayn. Ben Gurion decise di affidare a Sharon la sicurezza militare ovvero l’unità 101 per compiere azioni oltre le linee nemiche. Sharon ebbe successo e l’unità 101 creò un nuovo approccio militare fatto poi proprio dai parà e quindi dall’intero esercito». Sharon che tipo di leader era? «Coraggioso, innovativo fino all’insubordinazione. Determinato contro i suoi nemici e umano con le persone vicine». Che idea aveva di Israele? «Si è sempre sentito prima ebreo e poi israeliano. Aveva costantemente in mente la necessità di assicurare l’esistenza dello Stato. Sposò la causa degli insediamenti non per motivi religiosi ma perché riteneva che il controllo della terra fosse la migliore garanzia per la sopravvivenza dello Stato». Eppure da premier decise il ritiro da Gaza, con lo smantellamento degli insediamenti... «Quando si diventa premier si assumono posizioni diverse. Avvenne per Menachem Begin che restituì l’intero Sinai all’Egitto spingendosi dove neanche i laburisti pensavano possibile.E avvenne per YizhakRabin, l’exgenerale che firmò Oslo». Ci dica una cosa di Sharon che in pochi sanno... «La grande lealtà. Dopo lamorte della seconda moglie non si interessò più a nessuna donna». Cosa pensava di Arafat? «Lo considerava responsabile della Seconda Intifada ovvero di mille morti israeliani e tremila palestinesi. Con l’operazione “Muro di Difesa” non solo occupò i territori in mano ai palestinesima anche la Muqata, quartier generale di Arafat. Lasciò ad Arafat solo una stanza e ordinò ai soldati israeliani di scavare un buco affinché Arafat potesse vederli.Voleva umiliarlo». Quale è stato a suo avviso l’errore più grande di  Sharon? «La guerra in Libano del 1982. Convinse Begin a farla presentandola come un’operazione limitata che poi spinse sempre più avanti fino ad arrivare a Beirut, rimanendo segnato da quanto avvenne a Sabra e Chatila>>

Per inviare alla Stampa, Il Giornale la propria opinione, cliccare sulle e-mail sottostanti


lettere@lastampa.it
segreteria@ilgiornale.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT