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La Stampa Rassegna Stampa
10.01.2014 Cuba, la vera prigione a cielo aperto
ma nel commento di Mimmo Candito, Fidel Castro da dittatore diventa 'patriarca'

Testata: La Stampa
Data: 10 gennaio 2014
Pagina: 1
Autore: Mimmo Candito
Titolo: «L'autunno del patriarca»

C'è un territorio nel mondo che, da anni, viene definito "una prigione a cielo aperto", Gaza, ovviamente, attribuendone la responsabilità a Israele che, invece, non c'entra assolutamente nulla nella gestione di quel territorio governato da Hamas.
Se c'è invece una prigione a cielo aperto, ma che così non è mai stata definita, è Cuba, dove, da quando è iniziata la dittatura di Fidel Castro, tutte le libertà, civili, umane, economiche, politiche sono state abolite, trasformando quell'isola in una enorme prigione dalla quale è sempre stato ben difficile evadere.
Ma il mito del rivoluzionario-salvatore della patria rappresentato da Fidel Castro, continua ancora oggi, infatti sulla STAMPA, in prima pagina, l'articolo di Mimmo Candido dal titolo " L'autunno del patriarca ", quasi un bollettino strappalacrime che ci descrive un Fidel invecchiato e ingrassato, dotto a un titolo che meriterebbe un altro protagonista e non certo quel dittatore che Castro è stato in quella isola-prigione.


Gaza                                                      Cuba


Mimmo Candito

Per chi volesse leggere quello che veramente è successo a Cuna, leggere il blog della dissidente cubana Yoani Sanchez. Altro che patriarca, Fidel Castro.
Ecco l'articolo:

Verrebbe voglia di tirar su dal fondo di antiche letture scolastiche un ricordo doloroso. Quantum mutatus ab illo. C’era Ettore, in quelle parole che leggevamo allora di Virgilio, e lo vedevamo, l’eroe delle nostre ammirazioni adolescenziali, dentro pagine che narravano l’angoscia d’un sogno amaro che tradiva la memoria del mito.
Ora, invece, qui c’è Fidel, che guardiamo con occhi sorpresi, stupefatti, nel realismo impietoso d’una foto che non accende memorie gloriose ma racconta crudamente una senilità incerta, claudicante, perfino commiserevole. Li abbiamo vissuti come miti, entrambi, e anche eroi a modo loro, Ettore e Fidel, ma ora, davvero, quanto diverso, questo vecchio infagottato in una palandrana pesante, al collo la sciarpa similmilitare, i capelli spettinati di chi passa il proprio lungo tempo a letto, e il bastone che regge un passo difficile e lento. Quantum mutatus dal guerrigliero barbuto, vigoroso, spavaldo.
Anche gli eroi invecchiano, certo; restano giovani e belli soltanto nel tempo eterno della tensione ideale, ma poi però la loro storia si aggrinza, il potere ruba la purezza della loro sfrontatezza, si fanno mummie del desiderio d’immortalità. Fidel è stato un eroe della rivoluzione permanente, un Trockji delle geografie tropicali sopravvissuto al proprio progetto d’essere Davide che trionfa contro il gigante, e così nelle mani gli è rimasto soltanto la presa dura di un potere che cancella e distrugge perfino i sogni.
Com’è triste l’autunno del patriarca, quando svela senza più inganni la decadenza della vecchiaia. E potrebbe anche muovere la nostra commiserazione se non ricordassimo, però, che alle spalle della piccola folla cortigiana della foto c’è la storia di migliaia di uomini qualunque che sono stati ammazzati o sono finiti – e ci sono tuttora – in galera soltanto perché nel mito libertario della rivoluzione hanno continuato a credere, e comunque volevano soltanto dire che nei loro giorni senza qualità la scelta di pensare e parlare dovesse poter manifestarsi senza paure, senza ricatti, senza la pressione di un conformismo obbligato.
C’è uno strappo insanabile tra la dimensione del mito e i conti dell’azione politica, e c’è uno strappo insanabile anche tra il giudizio della storia e la pietà dell’uomo. Perfino quando vecchi, i leader politici devono pagare il saldo del loro passato, e nessuno sconto può essere fatto alle loro colpe: non gli basta la canizie, né le spalle curve, o gli occhi persi dentro lenti che scivolano sul naso, o un ventre appesantito dagli anni. Dittatori feroci, o tiranni che hanno ammazzato e fatto ammazzare, o anche soltanto uomini di un potere che non accetta critiche o avversari e si serve d’ogni mezzo e d’ogni strumento mediale per perpetuare il potere: il dovere della condanna fa giustizia della loro vecchiaia.
E però, questa stessa foto è anche un testimone drammatico del tempo che muta: mai, prima, si sarebbe neanche immaginato di far vedere il Líder Máximo nella povertà miseranda d’un senilità comune, nemmeno al tempo della sua grave malattia quando i fotogrammi rendevano comunque atto di condizioni ancora vigorose, d’un potere che non vacilla. Oggi il guerrigliero è stanco, e il regime ha la forza di farlo vedere nella sua povera umanità. Il cambio ha consumato l’estetica dell’apparenza.

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