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Il Foglio Rassegna Stampa
07.01.2014 Siria e Iraq sotto al Qaeda
intanto gli Usa si avvicinano all'Iran. Commenti di Daniele Raineri

Testata: Il Foglio
Data: 07 gennaio 2014
Pagina: 1
Autore: Daniele Raineri
Titolo: «Siriani contro lo Stato islamico - I droni di Obama volano sull’Iraq»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 07/01/2014, in prima pagina, gli articoli di Daniele Raineri titolati " Siriani contro lo Stato islamico " e " I droni di Obama volano sull’Iraq ".
Ecco i pezzi:

" Siriani contro lo Stato islamico "


Daniele Raineri     ribelli siriani legati ad al Qaeda

Roma. Si dice che lo sceicco Abu Bakr al Baghdadi abbia mandato a memoria tutte e dieci le riwaya più importanti, le letture con diverse intonazioni del Corano. Il capo dello Stato islamico, però, che in questo momento esercita su Iraq e Siria un potere militare pari a quello del generale di un esercito, forse farebbe meglio a leggere anche l’ateo cinese Mao Tsetung, quando sostiene che la relazione tra la guerriglia e il popolo dev’essere come quella tra il pesce e l’acqua in cui nuota. Invece Al Baghdadi, con il suo embrione di governo inesorabile, si è alienato la simpatia della popolazione siriana che ormai da venti mesi vive nel nord fuori dal controllo dei soldati del presidente Bashar el Assad. Ora lo sceicco sta subendo una rivolta generalizzata armi in pugno. Negli ultimi quattro giorni alcuni gruppi ribelli, che da mesi mal sopportano la presenza dello Stato islamico, si sono uniti e si sono sollevati attaccando allo stesso tempo i suoi quartieri generali da ovest a est, città per città, comprese le due più grandi: Aleppo e Raqqa. Fonti non verificate parlano di quasi 200 uomini uccisi. Il gruppo di Al Baghdadi ha per ora risposto attaccando con quattro autobomba i checkpoint nemici – sessanta ribelli sono morti – e minaccia altri attacchi contro quelli che fino a ieri erano i suoi alleati nella guerra contro Assad. Come si possono riassumere le accuse mosse allo Stato islamico dagli altri gruppi? Una su tutte è che i suoi uomini sono più impegnati nella fondazione del “Dawlah”, “lo Stato”, che nella guerra contro Assad: hanno occupato militarmente tutti i valichi di confine con la Turchia, che certamente sono punti strategici per chi vuole avere il controllo del passaggio di armi e combattenti, ma sono anche i più lontani dal fronte dei combattimenti contro il governo. Azaz, Dana, Jarablus, Tal Abyad: a molti siriani non sfugge che gli uomini di Baghdadi occupano i posti di frontiera dove non ci sono più soldati di Assad dal luglio 2012, mentre il grosso dei combattimenti è a sud, nella periferia di Damasco assediata, costretta alla fame e bombardata fino ad agosto anche con il gas nervino. Ci sono altre due accuse: lo Stato islamico non si considera subordinato al codice adottato dagli altri ribelli – che hanno deciso di assoggettarsi a un sistema di corti islamiche per regolare le controversie – e sequestra il personale umanitario e i giornalisti stranieri, e in questo modo tronca ogni contatto tra il mondo esterno e la Siria liberata proprio quando ne avrebbe più bisogno. Inoltre, il fatto che molti uomini di Baghdadi siano non-siriani rende maggiore l’attrito. Per indicare il governo islamico i ribelli usano l’acronimo derisorio “Daish”, che in arabo ricorda il verbo “calpestare, schiacciare con i piedi”. Lo Stato di Baghdadi risponde accusando i ribelli di avere preso le armi soltanto perché in combutta con l’occidente, con la Turchia e l’Arabia Saudita, in una sfida militare e dialettica. Il gruppo rivale Asifat al Shamal – “Tempesta del nord” – diventa “Asifat John Mc- Cain” perché ha ricevuto il senatore americano durante una sua breve visita in Siria. Il gruppo Ahfad al Rasoul, “i discendenti del Profeta”, diventa Ahfad al Faransa, i discedenti della Francia, per i presunti contatti con i servizi segreti francesi. In effetti il coordinamento eccellente tra i gruppi ribelli contro lo Stato islamico fa pensare all’intervento dall’esterno, in particolare dei sauditi, che sono gli sponsor della fazione più grande: il Fronte islamico. Come pure fanno pensare altri dettagli, per esempio il blocco delle frequenze radio durante il primo giorno di questa guerra interna. La seconda Conferenza di Ginevra (Montreux) è vicina, il 22 gennaio. Una guerra senza quartiere contro Baghdadi aiuterebbe questi gruppi ribelli a ricevere di nuovo aiuti da fuori. Proprio mentre catturano città intere in Iraq, gli uomini dello Stato islamico perdono in Siria il loro asset più prezioso: la relativa sicurezza e la libertà di movimento. Ora ogni curva, ogni checkpoint, ogni villaggio potrebbe trasformarsi in uno scontro a fuoco con forze ostili. Che è il destino di chi non sa portare dalla propria parte la popolazione locale, come anche gli americani appresero a fare in Iraq.

" I droni di Obama volano sull’Iraq "

Roma. Il Los Angeles Times rivela che per otto settimane i droni americani non armati hanno sorvolato il governatorato iracheno di Anbar, dove da pochi giorni è scoppiata la rivolta sunnita contro il governo del primo ministro sciita Nouri al Maliki. I droni raccoglievano intelligence per dare la caccia agli uomini dello Stato islamico, il gruppo militare che ha raccolto l’eredità di al Qaida nella regione. Le missioni sono cominciate subito dopo la visita di Maliki a Washington il primo novembre, ma sono state fermate la settimana scorsa su richiesta di Baghdad, che teme che questa collaborazione possa diventare imbarazzante e accendere ancora di più la rivolta. Non prima però di avere usato quelle informazioni per montare un’offensiva di terra contro i campi dello Stato islamico, finita poi in un disastro. Era ormai soltanto questione di tempo prima che i droni americani cominciassero a operare nei cieli dell’Iraq. L’esercito di Baghdad li chiese a marzo 2013, ma l’Amministrazione Obama lasciò cadere la richiesta, in attesa di una domanda ufficiale da parte del governo iracheno. Ad aprile un pezzo pieno di indiscrezioni del Los Angeles Times raccontò che la Cia aveva creato un’unità specializzata per identificare e seguire gli uomini dello Stato islamico, gli stessi che in questi giorni stanno occupando le città di Ramadi e Fallujah, mescolati in mezzo agli uomini dei clan sunniti furiosi con Maliki. I droni americani che probabilmente decollano da una base non ufficiale in Giordania sono fermi, ma sembra soltanto un provvedimento temporaneo. Il primo ministro iracheno non ha mai avuto bisogno come ora dei droni americani – anche e soprattutto armati – sopra Anbar, perché il suo esercito è davanti a un’alternativa impossibile: o attacca le città, uccide parecchi civili e scatena ancora di più la rabbia delle milizie tribali sunnite, oppure resta fermo a osservare e lascia Ramadi e Fallujah – per oggi; domani chissà quali altre città – nelle mani (anche) dello Stato islamico. Dalle notizie che arrivano si capisce che l’esercito iracheno ha ricevuto l’ordine di procedere con l’attacco. Dopo anni di disimpegno quasi totale, ora l’Amministrazione Obama punta a un “contenimento occulto” contro l’avanzata dello Stato islamico in Iraq. Ha spedito 75 missili Hellfire – sono quelli usati anche dai droni – e altri ne spedirà “entro la primavera”, è stato comunicato ieri. I missili sono lanciati da alcuni aerei Cessna pilotati da iracheni – ma addestramento e manutenzione sono affidati a un’impresa americana, la Alliant Techsystems Inc., che opera in una base vicino Tikrit e ha un contratto da 14 milioni di dollari che scade ad aprile. E’ una specie di triangolazione: i droni americani perlustrano e poi passano la palla ai Cessna armati con missili americani. In Iraq, anche Russia e Iran partecipano: ieri sono arrivati a Baghdad tredici elicotteri da guerra venduti da Mosca, e il secondo in comando dell’esercito iraniano domenica ha promesso anche lui aiuto militare “ma non uomini”.

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