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La Stampa Rassegna Stampa
06.01.2014 Io, il cercatore di siciliani che non sanno di essere ebrei
La storia di Yitzhak Ben Avraham raccontata da Laura Anello

Testata: La Stampa
Data: 06 gennaio 2014
Pagina: 16
Autore: Laura Anello
Titolo: «Io, il cercatore di siciliani che non sanno di essere ebrei»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 06/01/2014, a pag. 16, l'articolo di Laura Anello dal titolo "Io, il cercatore di siciliani che non sanno di essere ebrei".


Yitzhak Ben Avraham

«Dentro di me ho sempre saputo di essere ebreo. L’ho saputo prima che mia madre me lo confessasse sul letto di morte, prima che mi spiegasse perché ogni venerdì sera accendeva le candele rituali». Stefano Di Mauro, 69 anni, rabbino sefardita ortodosso col nome di Yitzhak Ben Avraham, è un archeologo della memoria tornato a Siracusa dopo una vita negli Stati Uniti. Non cerca tombe e reperti, ma il suo popolo cacciato 522 anni fa. Era il 31 marzo del 1492, pochi mesi prima della scoperta dell’America, quando i re spagnoli Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia promulgarono l’editto che dava tre mesi agli ebrei per lasciare il Regno, Sicilia compresa. Qui la comunità era una delle più grandi della Penisola: cinquemila anime, un quarto della popolazione cittadina. Migliaia di cognomi scomparvero con le conversioni forzate (gli ebrei diventarono marranos), migliaia di bambini furono affidati ai conventi per salvarli, migliaia di famiglie dovettero scegliere la sommersione. Di Mauro cerca «tutti quei fratelli che camminano su queste strade senza sapere nulla delle loro origini, o che lo sanno ma hanno paura di svelarsi. Perché, anche se è passato più di mezzo secolo, c’è ancora paura. La memoria dei roghi e delle persecuzioni non si dimentica». Così nel 2007 è tornato qui, nella città dov’è nato, con la giovane moglie americana Meira e i loro tre figli. Qui ha fondato una comunità di ebrei ortodossi, una sinagoga, un centro di studi, una scuola rabbinica dove studiano tre giovani siciliani: un archeologo, un commercialista, un avvocato. Ha celebrato una ventina di conversioni e tre matrimoni ebraici. «Sono un cardiologo, laureato a Catania. Per anni ho lavorato in Piemonte, primario all’ospedale di Oleggio. Poi sono andato in Florida, e lì sono diventato rabbino dopo gli studi compiuti sotto la guida di un maestro supervisore del Collegio sefardita di Gerusalemme e la convalida dell’ordinazione da parte della diaspora Yeshiva di Gerusalemme». Dal 1492 è il primo maestro di legge ebraica dell’Isola. Lo vedi, nel piccolo tempio nel quartiere di Tiche che ha comprato con i suoi risparmi, e capisci che la lotta è durissima, perché le regole della comunità (igieniche, sanitarie, alimentari) sembrano lontane anni luce dal mondo appena fuori. E lui lo sa: «Difficile dire oggi all’uomo contemporaneo di rinunciare a qualsiasi cibo di origine animale che non provenga da animali puri, di non accendere alcun tipo di fuochi durante lo Shabbat, il venerdì e il sabato». Capisci quant’è difficile quando lo accompagni a piedi alla sinagoga perché anche la scintilla di accensione dell’auto è vietata, o quando qualcuno esce ad aprire a mano il cancello, perché non si può usare il telecomando. «Se la missione è difficile va combattuta ugualmente», spiega accanto ai due allievi più fedeli: Sergio Palazzolo, postino in pensione, e Gabriele Spagna, giovane studente in archeologia. L’uno ti racconta della paura che sente in giro: «Zitto, ti dicono, non voglio sapere se sono ebreo». L’altro ti parla dei pregiudizi: «Siamo visti ancora con sospetto. I giovani ti fanno le battute sugli ebrei avari, i vecchi ti dicono: ma se non credo a Gesù poi come vado in Paradiso?». Una comunità che si è assottigliata da quando il rabbino Di Mauro ha consumato la rottura con l’Ucei, l’Unione delle comunità ebraiche italiane. Le prove di dialogo si sono infrante e ora gli ebrei “istituzionali” hanno aperto un altro centro di studi e di preghiera che opera in diretto collegamento con la comunità di Napoli guidata da Scialom Bahbout. Il rabbino Di Mauro, non l’ha presa bene: «Mai mi sarei aspettato una guerra da parte dei miei». Paradosso: la città dove per oltre 500 anni non si è respirato un refolo di ebraismo ora ha due sinagoghe, come prima della cacciata. E si preparano a celebrare tra una settimana, mercoledì 15 e giovedì 16 gennaio, il Purim di Siracusa, l’antica festa di ringraziamento smarrita per secoli.

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