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La Stampa Rassegna Stampa
06.01.2014 Il viaggio di Papa Francesco I in Medio Oriente
commento di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 06 gennaio 2014
Pagina: 11
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «La ‘diplomazia parallela’. Sbloccare i colloqui di pace e fermare la strage in Siria»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 06/01/2014, a pag. 11, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " La ‘diplomazia parallela’. Sbloccare i colloqui di pace e fermare la strage in Siria ".


Maurizio Molinari, Papa Francesco I

Papa Francesco sceglie per il viaggio in Medio Oriente un momento destinato a sovrapporsi con il massimo sforzo dell’amministrazione Obama per raggiungere un’intesa permanente fra Israele e palestinesi. Da qui l’ipotesi di Aaron David Miller, ex negoziatore americano sul Medio Oriente nelle ultime tre amministrazioni, di una possibile azione di «diplomazia personale» da parte del Pontefice. «Il Segretario di Stato John Kerry è impegnato in questo momento a mettere nero su bianco dei contenuti capaci di essere condivisi da entrambe le parti - spiega Miller - e ciò significa che i prossimi mesi saranno decisivi per comprendere se un accordo è davvero possibile» sui contenziosi pendenti: sicurezza, confini, rifugiati e Gerusalemme. «Il Papa non è in grado di svolgere alcun ruolo formale in un negoziato condotto da presidenti, primi ministri e ministri degli Esteri ma può, con gesti e parole, contribuire a favorirne un successo condiviso da tutti» aggiunge Miller. Proprio tale coincidenza di tempi fra la diplomazia di Washington e il viaggio pontificio però, osserva Rashid Ismail Khalidi, docente di Studi arabi moderni alla Columbia University, «rischia di precipitare Papa Francesco in un vortice di pressioni opposte in quanto i palestinesi faranno di tutto per spingerlo a sostenere le loro rivendicazioni così come il premier israeliano Netanyahu tenterà di sfruttare la visita a proprio vantaggio». A testimonianza della temperatura in aumento Miller indica le indiscrezioni di questi giorni sui dissidi israelo-palestinesi sulla Valle del Giordano: «Finora sulle trattative non era trapelato nulla, se adesso iniziano le fughe di notizie significa che c’è scontento da una parte, o forse da entrambe». Da qui la previsione di Khalidi di «un viaggio ad alto rischio di immagine per un Pontefice che sul Medio Oriente ancora non ha fatto capire cosa pensa» tantopiù che «fra i palestinesi c’è grande scontento per una diplomazia americana che, nel migliore dei casi, si limiterà a far nascere lo Stato di Palestina sul 20 per cento dei territori storici». L’ipotesi che il Papa possa esprimersi direttamente sui temi del negoziato viene ritenuta «altamente improbabile» da fonti israeliane e palestinesi al corrente dei preparativi ma l’ipotesi di gesti di «diplomazia personale» viene presa da entrambi in seria considerazione. A tale proposito Marina Ottaway, analista di Medio Oriente al Woodrow Wilson Center, ritiene che «questi gesti potrebbero avvenire nel segno dell’ecumenismo come suggerito anche da un itinerario che snodandosi fra Gerusalemme, Betlemme e Amman indica tre tappe in città da cui Francesco potrà rivolgersi a ebrei, cristiani e musulmani». «C’è però un’altra ipotesi - aggiunge Khalidi - ovvero che Francesco voglia andare in fretta in Medio Oriente per parlare di qualcosa di assai concreto che gli sta molto a cuore, i diritti dei cristiani nella regione, e di cui non può certo andare a parlare in Iraq, Siria, Libano e Egitto dove la sua sicurezza non sarebbe garantita». Quale che sia l’agenda del Pontefice nel viaggio di maggio ad attenderlo in Israele c’è grande curiosità per via degli stretti legami che ha avuto con la comunità ebraica di Buenos Aires quando era arcivescovo della capitale argentina. Sono i leader di questa comunità a raccontare, sulla stampa israeliana, «visite alla nostra sinagoga» per eventi e gesti «molto significativi» come l’accensione della Chanukkià - il candelabro che ricorda la riconsacrazione del Tempio di Gerusalemme violato dagli ellenizzanti - e le preghiere notturne che precedono ogni anno il Capodanno ebraico. Per avere un’idea della popolarità di Francesco nello Stato ebraico basta tener conto che il quotidiano «Haaretz» gli ha dedicato l’editoriale «Gli ebrei hanno bisogno del Papa» nel quale gli si riconosce il merito di essere migliore dei rabbini capi d’Israele «non solo per determinazione personale e visione strategica ma perfino per l’humour che sfoggia». In tale cornice non si può escludere che il governo guidato da Benjamin Netanyahu tenti di sfruttare il tempo che manca alla visita per siglare con la Santa Sede l’accordo economico-finanziario che ancora manca al completamento delle intese bilaterali raggiunte a seguito delle relazioni diplomatiche, stabilite nel dicembre 1993. Anche se Sergio Minerbi, ex diplomatico israeliano veterano delle relazioni con il Vaticano, sceglie la prudenza: «Netanyahu vedrà il Papa solo per pochi minuti a Gerusalemme nell’edificio di Notre Dame, un hotel che appartiene alla Chiesa, e ciò significa che molta strada deve ancora essere fatta per un dialogo vero».

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