Riportiamo dal CORRIERE della SERA dioggi, 03/01/2014, a pag. 37, l'articolo di Giorgio Montefoschi dal titolo " La rinascita di Etty Hillesum ", l'articolo di Antonio Carioti dal titolo " Tre controversie su un’anima inquieta".
Ecco i due articoli:
Giorgio Montefoschi - " La rinascita di Etty Hillesum "

Etty Hillesum, Lettere (ed. Adelphi)
La maggior parte delle Lettere che Etty Hillesum scrisse dal lager di Westerbork, pubblicate oggi da Adelphi in edizione integrale (traduzione di Chiara Passanti, Tina Montone, Ada Vigliani, pp. 269, e 22), sono del 1943 e praticamente cominciano quando smette di scrivere il suo lungo Diario , pubblicato anch’esso da Adelphi. In entrambi i casi — il Diario e le Lettere — quello che colpisce chi si avvicina a questi due testi sconvolgenti, rivelatori di una delle grandi anime del Novecento, è l’estrema velocità dei due mutamenti spirituali che segnano la breve vita di Etty Hillesum. Una velocità che, insieme all’incalzare drammatico della storia, mostra l’intervento della mano divina.
Nel Diario , scritto dal 1941 al 1943, la Hillesum — nata un secolo fa nel gennaio 1914, figlia di un professore di scuola ebreo e di una ebrea russa malata di nervi e dotata di un pessimo carattere, sorella di due fratelli a loro volta fragili e instabili — è la tipica ragazza borghese irrisolta, preda delle sue inquietudini sentimentali, animata da un desiderio tanto nobile quanto confuso di elevarsi. Avendo cattivi rapporti con i genitori, vive in casa di un uomo molto più vecchio di lei, Hendrik Wegerif (Etty lo chiama Pa Han), un ex contabile di cui è l’amante. Va in bicicletta lungo i canali dell’incredibile Amsterdam ancora «quieta», benché sull’orlo della catastrofe del 1940; divora i libri (da Dostoevskij a Jung, da Rilke alla Bibbia); ma è confusa, e dentro se stessa sente come di avere una sorgente impedita, una sorgente che non riesce a zampillare. In una pagina del Diario può scrivere: «A volte vorrei essere nella cella di un convento, con la saggezza dei secoli sublimata sugli scaffali lungo i muri, e con la vista che spazia sui campi di grano». E poche righe più in là: «Le mie idee pendono dal mio corpo come vestiti troppo larghi nei quali devo crescere… Idee vaghe di ogni tipo reclamano ogni tanto una espressione concreta». Nella buona sostanza, sa e capisce che l’unico e vero compito della sua vita è quello di portare ordine e armonia nel caos che regna nel suo cuore.
Intanto, ha conosciuto un uomo che si rivelerà fondamentale per la sua evoluzione spirituale. Costui è uno psicochirologo ebreo tedesco allievo di Jung, Julius Spier — anch’egli più anziano di lei di oltre venti anni —, che ha lasciato la famiglia per riparare in Olanda. Spier, che ad Amsterdam ha raggiunto una certa fama, studia la mano e sottopone i suoi pazienti a una bizzarra terapia: vale a dire, la lotta. Il medico e il paziente si avvinghiano, combattono, si rotolano per terra, in modo che le forze oscure della psiche nascoste nel nostro corpo possano sciogliersi, liberarsi e armonizzarsi con quelle del corpo.
Etty è presto attratta da quest’uomo che, oltre alla lotta fisica, le propone letture e argomenti di meditazione profondi, così come Spier è attratto da lei. E non ha molta importanza il fatto che fra i due si stabilisca una relazione sentimentale. Spier è una vera e pietra imprescindibile nel percorso di Etty.
Dio pone molte pietre lungo il nostro cammino. A volte, queste pietre sono inciampi, ostacoli che possiamo superare (e il Salmo ci dice che, se glielo chiediamo, Dio ordina ai suoi angeli di sostenerci in modo che possiamo evitarli). A volte sono messe lì, proprio dentro noi stessi, per far sì che le riconosciamo come parte di noi stessi, come una nostra pietra che blocca una nostra sorgente, e in uno sforzo sovrumano le solleviamo, lasciando zampillare la sorgente. È quanto accade, miracolosamente, a Etty Hillesum: che un giorno cade in ginocchio e si colma dell’amore di Dio.
Ora, però, la situazione per gli ebrei olandesi e di tutta Europa sta precipitando. Etty, benché malatissima, si fa internare nel campo di smistamento di Westerbork, dal quale uscirà per andare a morire ad Auschwitz. Questo è il secondo definitivo gradino della sua elevazione: corrispondente al suo sacrificio. Etty sa che l’amore per Dio e per il prossimo rimane lettera vuota, se non si fa carne. Le Lettere dal campo di Westerbork non sono soltanto la testimonianza dell’orrore e dell’abisso che l’uomo non avrebbe mai potuto immaginare di raggiungere. Sono la più pura testimonianza dell’agape cristiana. La condivisione del dolore.
Antonio Carioti - " Tre controversie su un’anima inquieta "

Etty Hillesum
Pare che il detto per cui «nessuno è profeta in patria» valga anche per Etty Hillesum, l’ebrea olandese, vittima della Shoah, i cui scritti sono oggetto d’interesse in tutto il mondo. «Ho visitato i luoghi dove visse — riferisce la studiosa Marta Perrini — e ho constatato che in Olanda non è ricordata né al Museo nazionale di storia ebraica, né nel campo di Westerbork, dove restò prima di finire ad Auschwitz. Mi è stato detto che ciò dipende dal fatto che Etty aveva lavorato per il Consiglio ebraico, l’istituzione creata dagli occupanti nazisti per indurre gli ebrei a collaborare con loro, anche nella stesura delle liste di persone da deportare. Ma bisogna ricordare che lei stessa, che poteva restare ad Amsterdam, volle invece recarsi e rimanere nel campo di smistamento di Westerbork per svolgere un’opera di assistenza. Da lì venne poi deportata ad Auschwitz, dove morì nel novembre del 1943».
«Non credo proprio — osserva il rabbino Giuseppe Laras — che si possa imputare alla Hillesum una qualche forma di collaborazionismo. Direi piuttosto che è sbagliato presentarla come un’eroina consapevole o una pietra miliare del pensiero. Si tratta di una ragazza intelligente e sensibile, che ha lasciato una testimonianza di grande valore, ma bisogna tener conto che aveva grossi problemi psicologici, aggravati dalla relazione con Julius Spier, un analista che aveva 27 anni più di lei. Parole e comportamenti di Etty vanno considerati nell’ottica di una personalità disturbata».
Di certo è una figura complessa: «A lei bisogna accostarsi — nota Marta Perrini — con grande delicatezza. Ebbe due relazioni in contemporanea con uomini più anziani e abortì, ma nel Diario loda la bellezza della vita ed è animata da una forte religiosità».
Si discute anche della sua visione teologica, ricorda Isabella Adinolfi, autrice del libro Etty Hillesum. La fortezza inespugnabile (Il Melangolo): «Il gesuita belga Paul Lebeau, nel testo Etty Hillesum. Un itinerario spirituale (Edizioni Paoline, 2000), l’ha accostata a sant’Ignazio di Loyola e anche altri autori la presentano come vicina al cattolicesimo. Questa lettura è criticata da studiosi come Gerrit Van Oord e Ria van den Brandt, che temono un tentativo di appropriazione. Per parte mia penso che la scelta più corretta sia ricondurre Etty Hillesum a una corrente mistica trasversale rispetto a tutte le tradizioni religiose».
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