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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
03.01.2014 Siria, Libano, Iraq: al Qaeda sempre più potente
commenti di Maurizio Molinari, Carlo Panella

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Maurizio Molinari - Carlo Panella
Titolo: «Iraq e Siria, prime prove di 'emirato' - Così in Libano alleati e nemici del siriano Assad dialogano a colpi di bombe»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 03/01/2014, a pag. 15, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Iraq e Siria, prime prove di 'emirato' ". Dal FOGLIO, a pag. 1-4, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Così in Libano alleati e nemici del siriano Assad dialogano a colpi di bombe ".
Ecco i due articoli:

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Iraq e Siria, prime prove di 'emirato' "


Maurizio Molinari, il  logo di al Qaeda

I miliziani jihadisti sunniti dello «Stato Islamico dell’Iraq e del Levante» (Isis) hanno assunto il controllo di metà della città di Fallujah e di alcuni quartieri di Ramadi, nel Nord dell’Iraq, obbligando le truppe di Baghdad alla ritirata.
Si tratta di due ex roccaforti di Al Qaeda nel «Triangolo sunnita» dell’Iraq che l’esercito americano riuscì a espugnare nel 2007 grazie all’invio di ingenti rinforzi e agli accordi anti-insurrezionali siglati con le tribù locali. Ma è stato proprio uno dei leader tribali, Abu Risha, a far sapere alla popolazione di Fallujah che «i terroristi mozzateste sono tornati dal deserto dove li avevamo obbligati a fuggire».
Il ritorno dei jihadisti è stato innescato dalla decisione del governo di Baghdad, guidato dallo sciita Nuri al Maliki, di ordinare lo smantellamento con la forza di un sit in di giovani manifestanti sunniti nel centro di Ramadi. Il blitz dell’esercito è avvenuto lunedì, innescando prima a Ramadi e poi a Fallujah violenze di strada che hanno consentito ai miliziani dell’Isis di entrare nelle città e prendere il controllo di alcuni quartieri. Fonti locali parlano di «furgoni con le bandiere nere, posti di blocco con 6-7 miliziani e musica alta in cui si inneggia all’Isis», un’organizzazione terroristica fondata da Al Qaeda dopo l’invasione americana dell’Iraq nel 2003 ma che almeno dal 2010 è divenuta autonoma, sotto la guida di Abu Bakr al-Baghdadi che ha più volte sfidato gli ordini di «sottomissione» ricevuti da Ayman al-Zawahiri, il successore di Osama bin Laden.
Il blitz nel Triangolo sunnita ha colto di sorpresa l’esercito iracheno, a cui Al Maliki ha ordinato prima di ritirarsi e poi di tentare la riconquista delle città perdute. In realtà ora Fallujah e Ramadi, secondo i racconti di testimoni a «New York Times» e «Upi», sono contese fra miliziani jihadisti e clan tribali sunniti riproponendo la sfida del 2007, con la differenza però dell’attuale assenza dell’esercito americano.
Ciò che colpisce, come indica uno studio del Washington Institute, è la coincidenza fra il consolidamento di Isis in Iraq e quanto sta avvenendo nel Nord della Siria, che confina proprio con il Triangolo sunnita. Se all’inizio del 2013 i ribelli islamici in Siria erano soprattutto quelli fedeli ad Al Nusra, emanazione diretta di Al Qaeda, da aprile è stato Isis a prendere il sopravvento arrivando a contare - secondo stime di fonte tedesca - circa settemila armati che a metà settembre hanno conquistato la città di Azaz, assumendo poi il controllo di Jarabulus - ai confini fra Siria e Iraq - e di Raqqa, Dana, Tarib, Binnish e Al Bab, fino ad arrivare alla periferia di Aleppo.
La strategia dell’Isis in queste regioni siriane è stata di avvantaggiarsi delle divisioni fra i gruppi ribelli per sconfiggere quelli minori creando un’area territorialmente contigua al fine di imporsi sui rivali di Al Nusra. Tanto nel Nord della Siria come nel Triangolo Sunnita, Isis si distingue per tattiche feroci nei confronti delle popolazioni assoggettate, braccando in particolare curdi e sciiti L’emergere di un’area jihadista a cavallo di Siria e Iraq sotto il controllo di un gruppo terrorista che sfida persino Al Qaeda spiega perché il governo di Baghdad sta chiedendo con insistenza all’amministrazione di Washington di rafforzare lo schieramento militare in loco.

Il FOGLIO - Carlo Panella : "  Così in Libano alleati e nemici del siriano Assad dialogano a colpi di bombe"


Carlo Panella                  attentato a Beirut

Roma. La crisi siriana sta debordando in maniera sempre più pericolosa e sanguinosa verso il Libano. Gli attentati con autobomba che si susseguono a Beirut segnalano l’incancrenirsi del contagio e rappresentano ormai l’unica forma di “dialogo” tra il fronte filo Assad e quello antisiriano. Ieri una autobomba è esplosa nel quartiere meridionale della capitale libanese, egemonizzato da Hezbollah, sventrando gli edifici della stretta strada in cui è stata fatta esplodere, uccidendo cinque passanti e ferendone alcune decine. E’ stata la evidente – e prevedibile – “risposta politica” all’attentato che il 27 dicembre, nel centro di Beirut, ha ucciso assieme ad altre cinque persone Mohamad Chatah, ex ministro delle Finanze e fiduciario in Libano di Saad Hariri. Attentato che il leader della coalizione antisiriana “14 marzo”, così come l’ex premier e suo alleato Fouad Siniora, hanno subito addebitato a Hezbollah. L’attentato contro Chatah, a sua volta, è stato la “risposta” all’attacco esplosivo che il 23 novembre scorso aveva colpito l’ambasciata iraniana a Beirut, provocando 23 morti e un centinaio di feriti. Uno sfregio diretto contro gli ayatollah di Teheran, padrini sia di Hezbollah sia di Bashar el Assad. Il tutto, in un paese che da nove mesi è privo di governo e alla vigilia di un processo penale istituito dall’Onu che sarà causa di ulteriori lacerazioni. Dopo le dimissioni nella primavera scorsa del premier Najib Mikati non è stato possibile ricostituire quel governo delle “larghe intese” che reggeva dal 2008, per la semplice ragione che Saad Hariri (esule a Parigi, per il giustificato timore di attentati) e il suo Fronte 14 marzo hanno sempre posto come precondizione a una rinnovata coalizione il ritiro delle migliaia di miliziani di Hezbollah che combattono in Siria. Condizione che Hezbollah ha sempre rifiutato, anche perché senza l’apporto determinante dei suoi uomini armati, affiancati da migliaia di pasdaran iraniani, tutti sotto il comando del generale Qassem Suleimani, Assad vedrebbe immediatamente capovolgersi a suo danno le sorti del conflitto. Soltanto grazie a queste “Brigate internazionali sciite”, infatti, il regime baathista siriano è riuscito a invertire le sorti della guerra civile in corso da tre anni, a partire dalla riconquista di al Qusayr, nel luglio scorso. Proprio da lì passano ora tutti i rifornimenti logistici e i combattenti di Hezbollah che provengono dal Libano. Ma oltre all’evidente sprofondare del Libano nelle dinamiche della crisi siriana, la causa ulteriore degli attentati di Beirut è il processo che si aprirà il 13 gennaio contro cinque dirigenti di Hezbollah accusati di essere mandanti ed esecutori dell’attentato che il 14 febbraio 2005 uccise a Beirut Rafiq Hariri, ex premier libanese antisiriano e padre di Saad Hariri. Il processo è stato istruito e verrà celebrato dal Tribunale internazionale per il Libano costituito ad hoc dall’Onu; tribunale presieduto da Antonio Cassese, nella fase determinante della chiusura dell’istruttoria e dell’emissione dei mandati di cattura (mai eseguiti), e ora sotto l’autorità di David Re. Hezbollah ha sempre rifiutato di consegnare i suoi uomini alla Corte dell’Onu, definendo le accuse “una manovra imperialista di Israele e degli Usa”. In realtà, le prove a carico degli imputati sono schiaccianti perché si basano sulle registrazioni dei cellulari degli imputati sulla scena dell’attentato e nella sede di Hezbollah. L’elemento ancora più preoccupante della crisi che devasta il Libano è l’atteggiamento rinunciatario, alle soglie dell’ignavia, degli Stati Uniti e dell’Ue nei confronti dell’impegno militare della libanese Hezbollah e dei pasdaran iraniani nella guerra civile siriana. Il fronte antisiriano di Hariri soffre oggi infatti non solo di una marcata inferiorità militare nei confronti di Hezbollah, ma anche di un sostanziale isolamento politico. Nonostante la presenza di 12.000 militari di Unifil nel sud del Libano, l’impegno dell’occidente nei confronti del gorgo di violenza che sta inghiottendo Beirut è solo verbale. Nel condurre la trattativa sul nucleare con Hassan Rohani, infatti, America e Europa hanno scelto irresponsabilmente di chiudere gli occhi sul marcato impegno militare in Siria, pienamente avallato da Rohani, dell’Iran e di Hezbollah (che ha nel presidente iraniano Ali Khamenei la sua dichiarata Guida Suprema). Impegno militare che smentisce di per sé tutte le disponibilità alla pacificazione che Barack Obama e la Ue hanno invece scelto di riconoscere a Rohani. Nella ricerca a tutti i costi di un accordo sul nucleare con Teheran, di fatto, Obama, ha deciso di “dimenticarsi” delle conseguenze sul Libano dell’impegno militare di Hezbollah e Iran in Siria. Una scelta che rischia di avere conseguenze disastrose.

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