Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 02/010/2014, a pag. 58, l'articolo di Lorenzo Cremonesi dal titolo " Negoziati tra Israele e Palestina: il viaggio difficile di John Kerry ".


Lorenzo Cremonesi Saeb Erekat, John Kerry, Tzipi Livni
Il pezzo di Cremonesi non aggiunge nulla a quanto già si sa sullo stallo dei negoziati, lo riportiamo per dovere di cronaca.
Se gli accordi di pace tra israeliani e palestinesi avviati venti anni fa a Oslo non fossero falliti, oggi potremmo guardare alla visita di John Kerry nella regione con un certo ottimismo. Il segretario di Stato Usa è arrivato a Gerusalemme con la promessa di giungere alla formulazione di un documento di intesa tra Benjamin Netanyahu e Mahmud Abbas. È la sua decima venuta in pochi mesi: lui intende restare più giorni per sbloccare l’impasse. Ma è proprio l’esame della storia dal 1993 ad indurre al pessimismo. Allora le intese avviate in Norvegia affogarono nel terrorismo islamico, nell’assassinio del premier Ytzhak Rabin per mano di un estremista israeliano e nell’incapacità di maturare abbastanza fiducia reciproca per giungere alla fase finale del processo negoziale.
Ora il quadro è molto peggiorato. Già prima della sua morte nel novembre 2004, Yasser Arafat era un leader debole e malato. Ma da allora il fronte palestinese si è drammaticamente lacerato tra Olp e Hamas. Il presidente Abbas a malapena controlla la Cisgiordania, non è in grado di parlare a nome dell’intera comunità palestinese. È vero che Hamas ha oggi gravi difficoltà nel governare la striscia di Gaza, ma resta un oppositore formidabile a qualsiasi intesa con Israele. La tempesta destabilizzante scatenata nei Paesi limitrofi dalle «primavere arabe» rende tutto più complicato. E a ciò si aggiungono le resistenze opposte dai falchi nel governo Netanyahu e nel fronte dei coloni in Cisgiordania. Il numero di questi ultimi è più che raddoppiato in un ventennio, molti risiedono in quelle stesse regioni che dovrebbero essere parte dell’eventuale Stato palestinese.
È sufficiente un breve viaggio tra Gerusalemme est, Ramallah, Nablus ed Hebron per capire quanto la divisione territoriale stia diventando de facto impossibile. Israele inoltre vuole conservare il controllo militare della valle del Giordano; torna anche a proporre uno scambio di territori per tenere le colonie più popolose e contemporaneamente liberarsi di un grosso numero di arabi israeliani, ma non è affatto detto che questi siano pronti ad accettarlo. Abbas ha già dichiarato di non essere disposto a sposare la definizione di «Stato ebraico», così come imposto da Netanyahu, proprio per non delegittimarne i cittadini non ebrei. E la lista delle divergenze resta lunga.
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