Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 31/12/2013, a pag.1, con il titolo " Ghigno francese " il ritratto del comico francese antisemita Dieudonneé.
Dal CORRIERE della SERA, a pag.17, con il titolo " Quel che ho capito di Anelka (e della 'quenelle'): meglio ignorarli" il commento dello scrittore israeliano Assaf Gavron.
Il Foglio-Giulio Meotti: " Ghigno francese"
Dieudonné
Quando ha presentato la sua lista politica “antisionista” alle elezioni quattro anni fa, Dieudonné M’bala M’bala ha scelto un manifesto in cui una ventina di persone ridono, spensierate, fissando l’obiettivo, e lui fa il saluto romano all’incontrario. Adesso quel gesto, la “quenelle” che spopola in Francia e sui campi da calcio, rischia di essere messo fuori legge dal ministro dell’Interno, Manuel Valls. Ma sarebbe un errore bollare di “nazismo” Dieudonné, come fanno molti. Il comico parigino è infatti un campione dell’“islamo-progressismo” della Francia, secondo la categoria coniata da Catherine Kintzler. I suoi monologhi fanno il tutto esaurito e la star Dieudonné viene sempre accolta da folle che gridano “viva Dieudonné, viva la libertà d’espressione”. C’è chi lo chiama “il Malcolm X francese”. La chiave del suo successo sta innanzi tutto nel meticciato: etnico prima di tutto, perché Dieudonné ha madre bretone e padre camerunense; ma soprattutto religioso (“io sono un islamico-cristiano”, dice di sé il cabarettista). Dunque il comico è “l’indigeno de la République”. Poi, anche fisicamente, Dieudonné rende pop il disprezzo per gli ebrei. Sarà la sua faccia paffuta, tosta, barbuta, dilatata su una perenne e crassa risata che affascina l’alta aristocrazia parigina. Dieudonné è un pezzo importante della Francia musulmana e militante “di sinistra”. Almeno secondo “La galaxie Dieudonné” (Editions Syllepse), il libro-inchiesta di tre giornalisti: “Nonostante le provocazioni, Dieudonné continua a beneficiare di un capitale di simpatia non trascurabile. Tanto più pericoloso perché il suo è un progetto politico ambizioso”. Il problema di Dieudonné è che con lui l’antisemitismo fa ridere. Prima diventa una boutade e un paradosso. Poi si trasforma in un gesto dadaista e di rifiuto del sistema. Infine si muta in un capo di accusa contro il mittente (“ero schiavo, non datemi del razzista”). Dieudonné fa ridere quando va in prima serata tivù a dire che “con la bandiera israeliana mi ci pulisco il culo”. Fa ridere quando vola a Teheran per incontrare il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad e raccoglie fondi per un nuovo film che “sbeffeggia l’Olocausto”. Fa ridere quando, al rientro in Francia, si permette di dire di aver “strappato dal libro di storia di mia figlia le pagine sull’Olocausto” e definisce il sionismo “l’Aids del giudaismo”. Fa ridere quando allo Zénith, la megasala nel centro di Parigi con una capienza di 6.000 posti, invita sul palco il negazionista Robert Faurisson, noto per aver negato le camere a gas, e lo fa premiare da un finto deportato nei campi di concentramento con tanto di stella gialla. Poi c’è che Dieudonné accontenta tutti: al pubblico di sinistra getta in pasto il discorso sullo schiavismo bianco, l’antiamericanismo e il colonialismo, dunque il mai sopito senso di colpa; nei giovani eccita il risentimento delle periferie, degli esclusi, dei paria; ammicca alla destra di Alain Soral con il nazionalismo antieuropeista, e soprattutto nei musulmani scalda il turpiloquio contro lo stato ebraico. La “quenelle” di Dieudonné incarna un rancore, un livore, una passione occulta, quella del povero contro il ricco, dell’immigrato contro il nativo, dei non ebrei contro gli ebrei, di tutti contro Israele. Quando Dieudonné dice che il suo gesto è “un simbolo di disobbedienza al sistema”, lui si riferisce a un sistema giudaico. Quando Dieudonné va in tivù a dire al giornalista ebreo Eric Zemmour: “Ti sei mai visto in faccia? Sembri un dromedario”, aggiungendo: “Avete tradito il Maghreb e tu continui a farlo”, la gente ride, perché un po’, sotto sotto, la pensa così. Infine, si crepa dalle risate quando Dieudonné evoca “le camere a gas” per il giornalista di France Inter, Patrick Cohen. In quel ghigno, in questo cabaret creolo, c’è il segreto della popolarità dell’antisemitismo.
Corriere della Sera-Assaf Gavron: "Quel che ho capito di Anelka (e della quenelle): meglio ignorarli "
Anelka
I miei problemi personali con Nicolas Anelka sono cominciati quasi quindici anni fa. Nel 1999, dopo due stagioni di successo nella mia squadra del cuore, l’Arsenal, in cui vinse sia la FA Cup che la Premier League , Anelka decide di trasferirsi al Real Madrid. A dire il vero, non mi sono sentito offeso da questo passaggio, perché mi è sembrata la tipica mossa di un adolescente sprovveduto, che aveva preso la decisione sbagliata e si sarebbe fatto del male da solo. E la carriera calcistica di Anelka — altalenante e poco convincente per un giocatore del suo talento — ha dimostrato che avevo visto giusto.
Anche nella recente polemica della «quenelle», conservo la medesima opinione. Non mi sento offeso dal suo gesto: mi rendo conto che ho davanti un trentenne sprovveduto, che ha preso una decisione sbagliata e si farà del male da solo.
Forse in Francia il suo gesto è ben noto, ma qui in Israele, per lo meno, la tipica reazione alla notizia che il calciatore aveva fatto la «quenelle», mentre esultava per il gol segnato in una partita in Inghilterra, è stata: «Che roba è la quenelle?».
La domanda inevitabile, tuttavia, è questa: ma il circo mediatico che si è scatenato attorno a quel gesto (e al quale, ovviamente, anch’io e il Corriere stiamo partecipando in questo preciso istante), serve davvero a sconfiggere il razzismo o piuttosto rischia di produrre l’effetto opposto?
È importante, indubbiamente, denunciare tutte le manifestazioni di razzismo e antisemitismo, ma oltre a suscitare ripugnanza, critiche e condanne, non si finirà per attirare nuovi seguaci e sostenitori tra gente che magari nulla sapeva dell’esistenza di simili gesti e sentimenti in certi ambienti né del coinvolgimento di alcuni personaggi famosi? In altre parole, occorre chiedersi se questa reazione potrebbe dare un peso maggiore a quegli atteggiamenti riprovevoli e, così facendo, li rendesse più attraenti per alcuni individui che per altri versi non ne avrebbero mai sentito parlare.
Non intendo suggerire in alcun modo che sarebbe meglio scansare o ignorare gli episodi di antisemitismo, anziché affrontarli con forza e risolutezza. O che non si debbano evidenziare tali comportamenti a scopo educativo, per spiegare ai giovani a che cosa potrebbero condurre queste pericolose tendenze.
Certamente, un calciatore di fama internazionale non dovrebbe servirsi di un palcoscenico mondiale, sotto gli occhi di milioni di tifosi, per esaltare idee, organizzazioni e personaggi inammissibili in una società aperta.
Eppure, talvolta queste reazioni fortissime e quasi isteriche scatenate in ogni parte d’Europa davanti al gesto fatto da un calciatore minacciano di produrre l’effetto opposto a quello desiderato, prestando a certe idee il megafono della pubblicità e raggiungendo, proprio grazie a questo clamore mediatico, alcuni individui che potrebbero trasformarsi in simpatizzanti, anche quando è difficile capire se il calciatore in questione le condivide oppure no.
Nicolas Anelka è davvero un giovanotto sciocco, non un leader pericoloso di un nuovo movimento antisemita pronto a diffondersi in tutta Europa grazie a un gesto delle mani. Un calciatore che non ha avuto l’accortezza di restare nell’Arsenal quando ne aveva la possibilità, quasi quindici anni fa, chiaramente è un personaggio da non prendere troppo sul serio.
(Traduzione di Rita Baldassarre)
Per inviare al Foglio, Corriere della Sera la propria opinione, cliccare sulla e-mail sottostante