Riprendiamo da LIBERO di oggi, 29/12/2013. a pag.17, con il titolo " Al Cairo in cerca della rivolta che non si vede " l'articolo di Carlo Panella dal Cairo.
Manifesti di Al SiSi in piazza Tahrir
«No al Sissi, no tourist», bofonchia sconfortato Alì, un giovane cairota, seduto all’ingresso della moschea di al Azhar. Sintesi netta delle ragioni del consenso che il bonapartista generale al Sissi riscontra in buona parte della popolazione del Cairo. «Quattro lingue, quattro, ma nessun turista, io ora povero» conclude con un sorriso rassegnato e l’immancabile «Inshallah!». Altro che “Natale in Egitto”… Al Cairo turisti si contano sulle dita di una mano: alle piramidi, in 3 ore, 4 cinesi, 3 americani, 2 francesi. Gli altri tutti egiziani. Nella Cittadella e nelle moschee, 4 italiani e 3 russi. Semivuote, le feluche sul Nilo e i bateaux mouches per turisti gonzi. A sera, leggendo l’edizione on line di al Ahram che un provvidenziale Google traduce dall’arabo, scopro che nel campus in fiamme dell’università islamica di al Azhar, a pochi metri da dove ero con Alì, uno studente di 19 anni è stato ucciso mentre manifestava contro il decreto di venerdì che definisce «organizzazione terrorista» i Fratelli Musulmani. Ferree le conseguenze: arresto in flagranza, condanne durissime per i dirigenti, totale divieto di propaganda e di riunione, oltre che di manifestazione. Inutile chiedere ai negozianti del dedalo di stradine e botteghe di Khan el Khalili, a un passo dalla moschea di al Azhar, cosa pensano dei Fratelli Musulmani. Nessuno sembra capire la domanda, o meglio, in molti capiscono, ma fanno finta di non capire, lo sguardo perso nel vuoto. Poche, ma in stile nordcoreano, le immagini del generale al Sissi appese nelle botteghe, ma il muro esterno di un vespasiano ne conta 6 e uno striscione incombe sulla via dei profumieri: un enorme e ieratico al Sissi sovrasta Nasser, in basso a sinistra e Sadat, in basso a destra.Si salta Mubarak naturalmente, ma la piena e totale continuità del regime è rivendicata con chiarezza. Continuità in tutti i sensi: innanzitutto nell’onnipresenza di poliziotti armati, sgraziati nelle lise divise nere e col baschetto improbabile, appostati con vecchi fucili mitragliatori negli angoli delle stradine del mercato di Khan al Khalili, come di quello di Fustat. E nella trasformazione di tutte le strade del lato sud di piazza Tharir in una surreale casamatta: enormi blocchi di cemento sovrapposti fino al primo piano dei palazzi fanno delle strade alberate un labirinto assediato dal traffico in cui è difficile orientarsi. Blocchi apparentemente a protezione dell’ambasciata Usa, ma in realtà del contingente di centinaia di agenti dei corpi speciali in tuta mimetica, poliziotti e soldati che stazionano e bivaccano, nei viali, pronti a intervenire in pochi minuti contro chi voglia riprendersi piazza Tahrir. Inclusi i Tamarrod che scacciarono i Fratelli Musulmani e che oggi al Sissi, che deve a loro il potere, intende reprimere con pari durezza Soldati ovunque: davanti ai grandi alberghi, sul lungo Nilo, persino sulla collina panoramica dietro le Piramidi, con caschi più grandi di loro e mitra in mano, in piedi dietro improbabili lastre di acciaio semoventi su ruote girevoli: paraventi di ferro con una feritoia protetta da un vetro blindato. Forse. Incombe una crisi economica esasperante: chiusi decine di locali per turisti, a partire dal café Mahfouz; semideserti gli immensi alberghi sulle rive del Nilo. Fermi i cantieri edili, pronti ad innalzare verso il cielo altre deformi, altissime torri di cemento armato, ad aggiungersi alle migliaia di surreali, stentati grattacieli dai muri di mattoni rossi, senza neanche una finestra: decine di migliaia di appartamenti mai finiti, simbolo della follia delle pluridecennale bolla immobiliare che ha sfiancato il sistema bancario e il Paese, ma ha prodotto le ricchezze da rapina di centinaia di palazzinari, asse portante del regime di Mubarak ieri e un domani di al Sissi.Si respira l’aria di un ferreo stato d’assedio del centro del Cairo, pronto a scattare con ferocia se i Fratelli Musulmani tentassero sortite dalle loro roccaforti delle moschee di Nasr city. L’hanno tentata venerdì, anche in altre città egiziane, ma erano poche centinaia e hanno subito tre morti e decine di feriti. Difficile, molto, che riescano mai a riprendersi le piazze egiziane. Certo è che molti tra loro finiranno per confluire nelle file dei terroristi: venerdì una bomba nei giardini davanti ad al Azhar, 5 i feriti e altrettanti lo stesso giorno per un attentato nel quartiere di al Nasr. Indomabili nel Sinai e fuori dal Cairo (14 morti e 100 feriti il 24 dicembre per un attentato contro il Quartier Generale della polizia a Mansoura). Crescere davanti allo skyline del Cairo che mischia i profili aguzzi dei minareti con le torri sgarrupate della speculazione di Nasser e Mubarak ha regalato a una generazione di cairoti l’illusione di vivere in una New York araba sulle rive del Nilo. Ma l’Hudson è lontano. La crisi vicinissima. A molti di loro, veder crollare le Twin Towers ha restituito anni fa un perverso orgoglio. Ma ora sembrano affogare in una modernità che non afferrano. Internet non basta.
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