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La Stampa Rassegna Stampa
28.12.2013 Padre Dall'Oglio, dopo 5 mesi l'unica certezza è che non si sa nemmeno chi l'ha sequestrato
Cronaca di Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 28 dicembre 2013
Pagina: 12
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Padre Dall'Oglio ostaggio in Siria, 5 mesi di silenzio»

L'unica certezza sul sequestro di padre Dall'Oglio è che non si sa nemmeno chi sia stato a rapirlo, se Assad o i ribelli. Come scrive Francesca Paci, nel pezzo che riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 28/12/2013, a pag.12, con il titolo "Padre Dall'Oglio ostaggio in Siria, 5 mesi di silenzio"  sono le sue idee sull'islam a gettare una luce ambigua sul personaggio,  il quale si dichiara "innamorato dell'islam in quanto credente in Gesù", una mescolanza anti-storica, che va contro la stessa fede islamica, a meno che la si usi a fini di propaganda, sul genere  Gesù-palestinese, una bufala molto sfruttata nel mondo musulmano.

Francesca Paci      Padre Paolo Dall'Oglio

Ecco il pezzo:

Sono passati esattamente 5 mesi dal sequestro del gesuita padre Paolo Dall’Oglio, il fondatore della comunità monastica di Mar Musa che dopo trent’anni vissuti all’ombra del regime diDamasco ha sposato la causa dei ribelli ricevendone in cambio il foglio di via. Disobbedendo alle raccomandazioni vaticane Abuna Paolo, come lo chiamano i suoi, è tornato più volte in Siria dopo l’espulsione del giugno 2012 fino a essere rapito nella città di Raqqa mentre, pare, stava trattando con i famigerati qaedisti dell’Islamic State of Iraq and the Levant (Isis) il rilascio di una troupe di «Orient Tv», l’emittente della dissidenza basata nel Kurdistan iracheno con cui aveva collaborato «Stiamo lavorando a fondo sia sul terreno che a livello diplomatico con partner istituzionali e non», dice l’Unità di Crisi della Farnesina, la centrale operativa che negli ultimi due anni ha riportato a casa 37 ostaggi italiani (restano prigionieri padre Paolo e Giovanni Lo Porto). A un certo punto, dopo mesi di silenzio sul gesuita 59enne, il segretario del Syrian National Front, una delle mille sigle dell’opposizione, aveva denunciato la sua esecuzione, notizia smentita poco dopo grazie a «fonti affidabili » dall’attivista e direttore dell’Arab Reform Initiative Salam Kawakibi. In realtà, ripete la famiglia Dall’Oglio, parlare il meno possibile del sequestro è quanto può giovare al suo buon esito soprattutto considerandone le coordinate geografiche. Raqqa, nella regione orientale compresa tra Aleppo, il confine turco e quello iracheno, non è una località qualsiasi nel puzzle della guerra civile siriana, costata già la vita a oltre 110 mila persone. Da quando 9 mesi fa è stata espugnata dai ribelli, la città è diventata una specie di Kandahar, la roccaforte afghana dei taleban, dove un cartello all’ingresso dà il benvenuto nello «Stato Islamico di Iraq e Siria» e annuncia implicitamente la feroce legge islamica a cui sono oggi sottoposti i cittadini. Il merito della vittoria sui lealisti non va infatti agli oppositori armati del Libero Esercito Siriano (pressoché inesistente a Raqqa) ma alle milizie jihadiste anti regime tra cui l’Isis e Jabhat an-Nusra che per dichiarare la prima provincia «liberata» non hanno neppure dovuto combattere troppo. Secondo la ricostruzione del quotidiano libanese «al Akhbar» Raqqa, che fino alla fine del 2012 era talmente tranquilla da ospitare mezzo milione di sfollati da Idlib, Deir ez-Zor e Aleppo e da persuadere Assad a recarsi in visita per l’Eid al-Adha, sarebbe caduta «misteriosamente » nel giro di poche ore con i governativi in ritirata sotto lo sguardo anziché sotto il tiro degli avversari. Da quel momento però per la città è stato l’inferno, con le esecuzioni sommarie di alawiti, cristiani e attivisti liberal accusati di spionaggio, le rivalità intestine tra l’Isis e al Nusra, i colpi periodici dell’artiglieria governativa, lo scontro con i miliziani curdi rispetto al quale Paolo Dall’Oglio cercava da tempo di negoziare una tregua. I nuovi signori di Raqqa, molti dei quali non siriani, hanno un’agenda diversa da quella dei ribelli della prima ora, contro cui capita che si battano, e, come provano le loro performance militari, sono tutto fuorché a corto di soldi. Se padre Paolo è nelle loro mani i tempi potrebbero non essere brevi.Un destino amaro per il gesuita che pochi mesi fa ha messo nero su bianco la sua fede nel dialogo interreligioso nel libro «Innamorato dell’Islam, credente in Gesù», un’apertura di credito ai musulmani così avanzata da avergli procurato non poche antipatie tra i confratelli.

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