Sull'uccisione dell'ex ministro Mohammed Chatah a Beirut riprendiamo oggi, 28/12/2013, gli articoli di Carlo Panella su LIBERO, a pag.14, di Lorenzo Cremonesi sul CORRIERE della SERA a pag.11.
Libero-Carlo Panella: "Hezbollah incendia Beirut, ucciso l'uomo di Hariri"
Gli attentati di Beirut si succedono con una inquietante escalation che scrive col sangue messaggi politici esiziali, eloquenti e precisi. Ieri ne è stato vittima Mohammed Chatah, ex ministro delle Finanze e braccio destro dell’ex premier Saad Hariri la cui automobile è stata fatta saltare in aria mentre si dirigeva verso una riunione dei vertici del movimento anti-siriano “14 marzo” che doveva presiedere. Un’auto - mobile imbottita di 60 chili di esplosivo è esplosa al passaggio della macchina di Chatah, uccidendolo sul colpo: 8 i morti e decine i feriti. Chatat doveva fare le veci di Saad Hariri, leader del movimento “14 marzo”, che è costretto da due anni a un esilio precauzionale a Parigi, per evitare la fine di suo padre, Rafik Hariri, ucciso a Beirut con un attentato il 14 febbraio 2005. LEGAMI E RISPOSTE
Nel feroce linguaggio politico di Beirut questa strage è una chiara risposta all’attentato rivendicato dalla Brigate Al Qassam (emanazione di Al Qaeda) che ha colpito il 19 novembre l’ambasciata dell’Iran a Beirut uccidendo 23 persone. Dunque alla strage che ha colpito, con la sede diplomatica iraniana, il fronte libanese filosiriano, si risponde con una strage che colpisce il vertice del fronte antisiriano. Il tutto, alla vigilia del processo che si aprirà a Beirut tra venti giorni a cinque massimi dirigenti di Hezbollah, accusati sulla base di prove irrefutabili dal Tribunale Speciale dell’Onu (non dalla giustizia libanese) di essere mandanti e esecutori dell’at - tentato che costò la vita a Rafik Hariri 8 anni fa. Chiaro il legame tra i due avvenimenti, subito rilevato da Saad Hariri da Parigi: «Ci risulta che gli autori dell’attentato che hanno ucciso allora Rafik Hariri e che insultano oggi la giustizia internazionale siano gli stessi che hanno ucciso Chatat». Un atto d’accusa contro Hezbollah, che rifiuta di consegnare al giudizio i suoi 5 dirigenti accusati dal Tribunale dell’Onu. Pochi istanti prima di morire, d’altronde, Chatat aveva postato un tweet contro Hezbollah e la sua funzione di longa manus della Siria in Libano: «Hezbollah pretende che gli vengano riconosciuti gli stessi poteri di comando che la Siria ha abusivamente esercitato in Libano per 15 anni».
RESPONSABILITÀ
Hezbollah, così come il governo di Damasco, ha negato ogni responsabilità nella strage. È comunque evidente che il contagio della crisi siriana ha reso ingovernabile il Libano (che è senza esecutivo da 8 mesi, dopo le dimissioni del premier Najib Miqati, a causa delle tensioni irresolvibili tra Hezbollah e il movimento di Saad Hariri), e che soprattutto impedisce ogni possibilità di mediazione tra i due fronti. La contrapposizione tra il fronte pro e anti Besharal Assad in Siria ha eliminato ogni e qualsiasi possibilità di mediazione anche in Libano. Ormai la dialettica politica del Paese dei Cedri è fatta solo di stragi sanguinarie che colpiscono ai massimi livelli politici. Il Libano dunque è la seconda vittima della cinica decisione di Barack Obama, seguita pavidamente dall’Europa, di lasciare che la crisi siriana venga risolta non già nello scontro militare tra le milizie di Beshar al Assad e i rivoltosi, ma dall’intervento diretto di 10.000 miliziani di Hezbollah e di Pasdaran iraniani agli ordini del generale iraniano Suleimaini. L’intervento militare esterno-non delle democrazie, ma del fronte sciita-iraniano ha ribaltato le sorti del conflitto siriano e permette oggi ad Assaddi restare al potere. E anche di tentare di reimporre a suon di stragi la pax siriana in quel Libano che Damasco considera un suo protettorato.
UNIFIL INUTILE
Un quadro deteriorato in cui non ha più senso la presenza del contingente Unifil di 12.000 militari, di cui più di 1.000 sono soldati italiani. La loro missione era di appoggiare il disarmo di Hezbollah operato materialmente dall’esercito libanese. Disarmo che non si è mai avverato, tanto che oggi Hezbollah pretende, forte della sua preponderanza militare, di controllare di fatto il paese. Unifil ha perso ogni suo senso ma rischia di esporre i nostri militari ai rischi di una guerra civile sempre più probabile
Corriere della Sera-Lorenzo Cremonesi: " Beirut, bomba contro leader anti-Assad "
DAL NOSTRO INVIATO GERUSALEMME — Libano sempre più Paese-cuscinetto precipitato nel cuore delle tensioni regionali che insanguinano la Siria. L’assassinio ieri mattina nel centro di Beirut del 62enne Muhammad Shatah, esponente di punta dell’establishment sunnita libanese, è solo l’ultimo episodio di una lunga serie di attentati che ricordano da vicino le violenze che scatenarono la guerra civile quasi un trentennio fa e da allora rappresentano il fantasma della dissoluzione incombente.
La deflagrazione dell’autobomba con almeno 60 chili di esplosivo avviene poco dopo le nove presso l’hotel Phoenicia al passaggio del convoglio di auto che conducono Shatah alla manifestazione proclamata dagli attivisti del movimento «14 marzo» per ricordare che il prossimo 16 gennaio dovrebbe finalmente aprirsi al Tribunale Internazionale dell’Aja il processo contro i responsabili dell’assassinio di Rafiq Hariri il 14 febbraio 2005. Carcasse di veicoli in fiamme, calcinacci, detriti, sono immagini che gli abitanti di Beirut vorrebbero dimenticare, ma restano impresse negli incubi collettivi. Shatah muore carbonizzato a poche centinaia di metri dal luogo dove in circostanze praticamente eguali perì il suo antico mentore. Ieri nell’esplosione hanno perso la vita almeno altre cinque persone, i feriti sono una settantina. Le circostanze sono importanti, rivelano il significato profondo di questo nuovo attentato e le valenze politiche. Shatah appare infatti un personaggio chiave. La sua carriera è legata a filo doppio a Rafiq Hariri, il ricco e carismatico imprenditore assurto a ruolo di leader della comunità sunnita dopo la fine della guerra civile nel 1990 e l’instaurazione della presenza militare siriana in Libano. Ambasciatore negli Usa, Shatah diventa poi consigliere personale del giovane Saad Hariri (che prende il posto del padre nel 2005) e ministro delle Finanze. È lui tra l’altro ad insistere per il ritiro delle truppe siriane nel giugno 2005 e per continuare a enfatizzare le responsabilità di Damasco e dell’Hezbollah (la milizia sciita pro-iraniana) nella morte di Rafiq.
Tuttavia, da almeno due anni lo scontro armato in Siria si sta riverberando in modo violento nel Paese dei cedri. Lo stesso Saad ha lasciato Beirut sin dalla fine del 2011 e da allora vive in varie località segrete all’estero nel timore di essere assassinato. Ieri comunque non ha esitato nell’indicare l’Hezbollah, e indirettamente i suoi alleati nel regime di Bashar Assad, quali responsabili della morte di Shatah. «Gli assassini sono coloro che fuggono la giustizia internazionale», ha dichiarato riferendosi a cinque militanti della milizia sciita già ufficiosamente incriminati dalla commissione di inchiesta delle Nazioni Unite nel ruolo di esecutori dell’omicidio del padre, i quali però non saranno presenti al processo all’Aja. La tensione è esacerbata dalla presenza di centinaia di migliaia di profughi siriani. L’arrivo di nuovi immigrati rischia tra l’altro di far esplodere i delicatissimi equilibri demografici interni tra sciiti, sunniti e cristiani. Non a caso il governo di Beirut si oppone all’instaurazione di campi profughi per evitare che gli immigrati si stabiliscano nel Paese in modo permanente. Ma ciò non impedisce la catena degli attentati. Tra luglio e agosto due bombe hanno causato il terrore tra la comunità sciita a Beirut. In risposta sono giunti i quasi 40 morti sunniti di fronte a una moschea di Tripoli il 23 agosto. Cui è seguito il doppio attentato presso l’ambasciata dell’Iran a Beirut il 19 novembre e l’assassinio di Hassan Lakkis, leader militare di Hezbollah, il 4 dicembre. Tutto lascia credere che la scia del sangue sia destinata a continuare.
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