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Avvenire Rassegna Stampa
22.12.2013 Betlemme un modello ? Un esempio di masochismo cattolico
L'articolo di Susan Dabbous è pura disinformazione

Testata: Avvenire
Data: 22 dicembre 2013
Pagina: 17
Autore: Susan Dabbous
Titolo: «Il Modello Betlemme: crescita e dialogo per la pace»

L'articolo uscito oggi, 22/12/2013, su AVVENIRE, a pag.17, con il titolo "Il Modello Betlemme: crescita e dialogo per la pace", di Susan Dabbous è un esempio di ignoranza, disinformazione e propaganda della più becera. Ci chiediamo come una giornalista possa arrivare a tanto. Che questa finzione piaccia ad AVVENIRE non ci stupisce, le persecuzioni contro i cristiani sono per il Vaticano materia di accorati interventi vocali ma niente di più. In fondo si è su questa terra per soffrire, ergo..
Ma che una giornalista possa arrivare a credere alle menzogne che le hanno raccontato ha dell'incredibile. A Betlemme i cristiani sono scomparsi quasi del tutto, e non certo per colpa di Israele, dove invece vivono benissimo, nel più totale rispetto. SeSusan Dabbous è rimasta colpita dal fatto che Betlemme abbia un sindaco cristiano avrebbe dovuto informarsi meglio, quella era una trovata di quel furbone di Arafat, a Betlemme è legge che il sindaco sia cristiano, così quegli allocchi come lei e il Vaticano si sentono tranquilli.
Si informi la Dabbous, parli con qualche guida, e forse si accorgerà che quei pochi cristiani nascondono il loro vero nome cristiano facendosi passare per Mohammed, altrimenti rimarrebbero disoccupati.
Gli elogi al sistema universitario palestinese hanno dell'incredibile ! Come tutto l'articolo.
Cara Susan, si tolga gli occhiali rosa e impari il mestiere. Non è mai troppo tardi.


Betlemme, ecco un'immagine appropriata  Susan Dabbous

Ecco l'articolo:

Terra Santa. Il modello Betlemme: crescita e dialogo per la pace II boom del turismo e la riduzione della povertà favoriscono l'integrazione nella città dove è nato Gesù. Avederlo dal centro della piazza, svetta parallelo al campanile della Basilica della Natività. Quindici metri, 45mila lucine, 6mila sfere colorate, carico di fiocchi e allegria, l'albero di Natale di Betlemme quest'anno sembra più che mai all'altezza della sua missione. Icona del Natale a casa di Gesù, ben al di là della funzione decorativa, il grande abete appare quasi un simbolo di "resistenza". In una Betlemme sempre più musulmana, circondata dal muro di separazione israeliano con nuovi insediamenti che avanzano quasi fino a fagocitarla, la sua popolazione cristiana vive questo periodo dell'anno con la gioia della ricorrenza religiosa. «Da un lato, dobbiamo ammetterlo, si sta molto meglio rispetto a prima — racconta Ala Maria Makarios trentenne che lavora nel settore turistico — ma non possiamo nascondere né l'angoscia per l'impoverimento demografico della nostra comunità, né la condizione di cittadini di serie B nello Stato di Israele». II problema poi è quando sperimenti il cosiddetto "mondo normale". Molti cristiani come Ala Maria e suo marito Sam Mskari hanno vissuto all'estero: in Europa, Sud America o Stati Uniti per ragioni di studio e lavoro. «Capisci che cosa significa vivere senza fare file inutili ai checkpoint, percorrere in macchina 20 chilometri in pochi minuti perché nessuno ti ferma per controllare la tua appartenenza etnica o religiosa— spiega Ala Maria — e questo quando torni lo avverti come un'ingiustizia che ti toglie la dignità, non come popolo, ma come individuo. Mio cugino, ad esempio, aveva trovato lavoro a Ramallah, per andare e tornare ogni giorno da Betlemme ci metteva più di tre ore. Una mattina si è svegliato e ha detto alla moglie: "Ci metto meno ad andare a Bruxelles", così ha preso la sua famiglia e se n'è andato in Belgio». Scarsa mobilità, mancanza di prospettive e grandi aspirazioni, hanno spinto moltissimi giovani cristiani a lasciare i Territori, soprattutto durante la seconda Intifada (2001-2003). Il numero dei cristiani oggi si aggira intorno ai 5lmila nell'intera Cisgiordania, ovvero 1'1,37 della popolazione palestinese e sono, da tempo, minoranza anche a Betlemme dove rappresentano il 43 per cento degli abitanti. Basti pensare che due studenti su tre della Bethlehem University sono musulmani. Fiore all'occhiello del sistema universitario palestinese, l'ateneo racchiude potenzialità e contraddizioni di questo piccolo laboratorio sociale. «Quando al consiglio studentesco sono stati eletti due rappresentati di Hamas — racconta Luigi Bisceglia, responsabile Vis (Volontariato internazionale per lo sviluppo), Ong che organizza il Master in Cooperazione e Sviluppo all'interno dell'università — come prima cosa avevano proposto di vietare alle ragazze di indossare i pantaloni aderenti. Ma la richiesta è stata sonoramente bocciata dalle stesse studentesse musulmane, molte delle quali velate, che hanno ribadito il diritto di ognuno di vestirsi come meglio crede». Non c'è spazio per l'estremismo a Betlemme, come conferma anche Don Mario Murru, d'origine sarda ma in Medio Oriente dagli anni Sessanta. A capo dell'ordine dei Salesiani, Don Mario offre a più di 3mila ragazzi l'opportunità di apprendere un mestiere a prezzi ridotti nelle scuole tecniche professionali gestite dall'ordine. «L'iscrizione costa meno di 600 euro l'anno — spiega — a noi ogni studente costa almeno doppio. Riusciamo ad andare avanti con grandi sforzi e grazie alle donazioni che però negli ultimi anni a causa della crisi economica in Europa si sono ridotte». La maggior parte degli studenti di Don Mario sono musulmani, con famiglie a volte disagiate. «Stiamo preparando una classe lavoratrice altamente specializzata di cui Israele ha disperatamente bisogno — racconta —. E anche dall'economia che passa il processo di pace e integrazione». Il "modello Betlemme", quindi, funziona. Anche per questo molte coppie giovani come Ala Maria Makarios e suo marito, che ha ripreso il lavoro di guida turistica dopo un periodo all'estero, hanno deciso di tornare. Il turismo, soprattutto quello religioso, registra un nuova impennata. Viaggiatori e pellegrini arrivano sempre più numerosi in Terra Santa. Attirati, forse, da almeno tre anni di relativa calma nei Territori palestinesi, dove la stanchezza per un conflitto infinito sembra andar di pari passo con la riduzione del livello di povertà.

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