Sul FATTO quotidiano di oggi, 22/12/2013. a pag.18, con il titolo "Gita obbligatoria ad Auschwitz? Potrebbe essere controproducente", Silvia Truzza tocca un argomento delicato. Forse la giornalista avrebbe dovuto ricordare che la Storia è sì un susseguirsi di massacri, ma che la Shoah è un fatto unico nella Storia, mai era avvenuto che lo sterminio di un popolo fosse stato pianificato come fecero i tedeschi. Portare gli studenti ad Auschwitz non significa imporre alcunchè, piuttosto vedere con i propri occhi quello che si presume sia studiato a scuola.
Ecco l'articolo:
Sempre meno ragazzi tedeschi visitano Auschwitz. L'allarme, registrato dal quotidiano Bild, è stato raccolto da Dieter Graumann, presidente del Consiglio centrale degli ebrei tedeschi, che ha così commentato: "É un pessimo segnale". Secondo la Fondazione che gestisce l'ex lager nazista in Polonia, nella classifica dei visitatori del 2012, la Germania è solo quinta e ha perso due posizioni rispetto al 2009. La notizia, spiega La Stampa, ha destato una certa preoccupazione perché messa in relazione con un sondaggio, realizzato nel 2012, che riguarda i giovani tedeschi tra i 18 e i 29 anni: secondo lo Stern, uno su cinque (21%) non sapeva dire cosa fosse accaduto ad Auschwitz. Interrogato sul punto, Dieter Rossmann, responsabile dell'istruzione per l'Spd, ha dichiarato: "Occorre mettere a confronto le giovani generazioni con il passato della Germania, affinché tali tragedie non si ripetano. La visita ad almeno un campo di concentramento dovrebbe diventare obbligatoria". Chi scrive ha visitato Auschwitz insieme a un gruppo di studenti, proprio nel giorno della memoria, il 27 gennaio. Di quella giornata sono rimasti mille fotogrammi. Il muro delle fucilazioni, il gelo disperato, il sinistro luccichio del terreno di Birkenau: pensi sia rugiada, invece sono frammenti di tessuti che riemergono dal più grande ossario d' Europa; trecce e code in una teca, accanto a una stoffa prodotta con capelli umani; mucchi di scodelle per la zuppa, valigie e scarpine da neonato, la misura di morti minuscole e terribili. E gli studenti? S'interrogavano. Ma scoprivano anche il senso di colpa per non riuscire a soffrire perché quel tour nell'orrore del Novecento, così rapido ed efficiente con la guida "parlante italiano", era molto asettico. Forse una pagina di Primo Levi era stata per loro più incisiva.
In generale il divieto dell'oblio nasconde molte insidie, e non certo perché non sia necessario (e sacrosanto) ricordare. Ma perché ricordare non è per forza una ricetta contro i mali futuri. I genocidi avvenuti nel mondo dopo la Shoah (Bosnia, Ruanda) ne sono una prova. Ma soprattutto ogni imposizione, così come ogni censura, trova il proprio antidoto. Dunque l'obbligatorietà della memoria può essere controproducente. La ratio di quest'ipotesi di istituzionalizzare le visite ai campi di sterminio è molto simile a quella che sta dietro all'ipotesi di introdurre in Italia il reato di negazionismo; cioè di punire con il carcere chiunque "nega l'esistenza di crimini di genocidio o contro l'umanità o di guerra". Storici e giuristi discutono di vari profili (quale giudice, per esempio, può decidere se un fatto sia qualificabile o meno come genocidio?). Però se lo scopo è arginare uno stravolgimento della storia che offenda le vittime, c'è il concreto rischio che il nuovo reato sortisca l'effetto opposto, facendo da megafono alle tesi dei negazionisti. Imporre un'interpretazione della storia è un'operazione di per sé rischiosa. Da un lato pensiamo di proteggere l'umanità dalla possibilità che i massacri si possano ripetere, ma non vediamo il rischio totalitario che si cela dietro l'idea di obbligatorietà.
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