Lo sporco ruolo dell’Iran in Palestina
Analisi di Federico Steinhaus
Federico Steinhaus
Il collegamento fra Iran e Palestina è talmente evidente che nessuno lo mette in dubbio, mentre non altrettanto si può affermare sulle opinioni, divergenti, su quale ne sia l’elemento trainante. Teheran ha un forte interesse ad impedire una soluzione pacifica del conflitto che oppone Israele e Palestina, ma non è condivisa una visione tattica e strategica che possa portare alla sconfitta di questa connessione , se cioè risolvendo il nodo palestinese si disarmerebbero anche le velleità iraniane o se invece sarebbe, al contrario, la sconfitta diplomatica dell’Iran a condizionare anche il raggiungimento di un assetto pacifico del contenzioso palestinese.
Netanyahu, per parte sua, ritiene che sia preferibile, nell’interesse della pace, tenere separate le due problematiche per agire contestualmente su entrambe, perché un Iran che disponga di armi atomiche metterebbe in pericolo l’intero assetto geopolitico della regione, inclusa la pace già sottoscritta con i due vicini Egitto e Giordania, mentre gli Stati Uniti attribuiscono al pericolo iraniano una minore capacità di influire sul processo di pace fra Israele e Palestina.
Proviamo dunque a ripercorrere la storia di questa alleanza. Nell’ottobre del 1991 gli Stati Uniti diedero un impulso importante ai negoziati di pace convocando la Conferenza di Madrid; Teheran percepì questa iniziativa come una minaccia, convocò una conferenza parallela e contrapposta, decise di sostenere la lotta palestinese sotto un ombrello allargato a tutto l’Islam, ed iniziò a portare attacchi letali contro obiettivi israeliani ed ebraici (tra il 1992 ed il 1994: uccisioni e tentate uccisioni di diplomatici israeliani all’estero – Istanbul, Buenos Aires, Ankara, Bangkok -, il tentativo di far saltare in aria la principale sinagoga di Istanbul, la strage commessa con l’attacco contro un edificio della Comunità ebraica di Buenos Aires). Contemporaneamente Hamas reagì agli accordi di Oslo con una politica aggressiva nei confronti dell’Autorità Palestinese ed una serie di attentati terroristici in Israele. In tal modo Hamas si qualificò come l’alleato di Teheran nella regione. Dal 1994 Teheran donò ogni anno 3 milioni di dollari ad Hamas ed alla Jihad Islamica, e mille famiglie di detenuti o di terroristi suicidi ricevettero regolarmente una somma mensile. Nel dicembre 2000 un rapporto del capo dell’intelligence dell’Autorità Palestinese, Amin al-Hindi, rilevò trasferimenti di denaro dall’Iran ai “resistenti” palestinesi: 400.000 dollari alle Brigate Iz Al Din-Al Qassam e 700.000 dollari ad altre organizzazioni islamiste in Palestina. Con la seconda intifada, Arafat tentò di inserirsi in questa alleanza così munifica, che gli avrebbe anche garantito la sopravvivenza politica altrimenti destinata ad oscurarsi con la pace, ma il successo di Hamas alle elezioni del 2006 (44% dei voti e 56% dei seggi al Consiglio legislativo palestinese) seppellirono questo suo tentativo.
Nel 2006 Teheran mandò 120 milioni di dollari ad Hamas e Hanyieh affermò che fra Hamas ed Iran esisteva un’ intesa di profondità strategica. Nello stesso anno l’Iran convocò una conferenza che riunì a Teheran 600 leaders palestinesi ed alla fine della conferenza promise 50 milioni di dollari al governo di Hamas.
Non solo: Teheran assicurò a decine di combattenti di Hamas un addestramento militare in Iran. Nel 2012 il portavoce di Fatah, Ahmed Assaf, dichiarò di avere le prove che l’Iran avesse pagato ai leaders di Hamas decine di milioni di dollari durante la loro visita a Teheran in febbraio, allo scopo di mantenere alta la tensione con la fazione palestinese retta da Fatah e di conseguenza anche con l’intera area regionale. La crisi siriana aveva nel frattempo portato Hamas e Teheran su fronti contrapposti, ma l’unico vero alleato sunnita dell’Iran era troppo prezioso; a metà luglio di quest’anno una delegazione di altissimo livello di Hamas, guidata dal vicepresidente dell’ufficio politico Musa Abu-Marzuq, si è incontrata a Beirut con una analoga delegazione iraniana e con leaders di Hezbollah allo scopo di ricucire questa frattura ideologica e politica. Un esponente di Hamas, Ahmed Yusuf, ha poi affermato che Teheran considera ancora Hamas un suo partner strategico.
In questi 22 anni dunque l’Iran si è sempre opposto con l’uso di denaro, pressioni politiche e violenza terroristica, ai tentativi di pacificazione, sabotandoli ogni qualvolta era possibile. Tornando alla questione iniziale, si tratta ora di valutare quale sia la strategia più efficace per scardinare questa alleanza e se sia praticabile (per gli Stati Uniti di Obama) quella proposta dal governo israeliano di affrontare entrambe le questioni senza dare la preminenza o la priorità ad una di esse. Questa analisi si basa su un rapporto di Ely Karmon, uno dei più accreditati ad acuti esperti israeliani, visibile sul sito dell’Istituto internazionale per il controterrorismo di Herzlyia (http://www.ict.org.il/LinkClick.aspx?fileticket=4Lv8CLJhxpg%3d&tabid=66).