Su TUTTOLIBRI-LA STAMPA, di oggi, 21/12/2013, a pag.II, con il titolo "Il Muro d'Israele messo a nudo dal bianco e nero di Koudelka", Marco Belpoliti recensisce il libro "Wall" del fotografo Koudelka. Come recita il titolo, Koudelka si è recato in Israele e ha fotografato - avendo cura di non tralasciare nemmeno un pezzetino di cemento - la barriera difensiva contro il terrorismo palestinese. Che questa fosse la ragione della sua costruzione non l'ha minimamente interessato, l'obiettivo del mascalzone con la Leica era dare dello Stato ebraico la peggiare immagine possibile. Ci è riuscito con l'aiuto di Belpoliti, il quale non deve mai essersi recato in Israele, non si è accorto dell'operazione del furbastro e ne ha elogiato il lavoro. Un pessimo servizio alla verità,che coinvolge pesantemente anche il supplemento culturale del giornale.
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Josef Koudelka, il mascalzone con la Leica
Ecco il pezzo:
La copertina Il Muro d'Israele messo a nudo dal bianco-nero di Koudelka TI e grandi lettere nere dominano la copertina telata: WALL. Il nome dell'autore è in piccolo, sul lato destro, dall'alto al basso. Di dimensioni ampie (38 x 27 cm), nella quarta la spiega editoriale è un foglio incollato su bordo destro. Wall raccoglie le fotografie panoramiche scattate tra il 2008 e il 2012 da Josef Koudelka a Gerusalemme, Hebron, Ramallah, Betlemme e in vari insediamenti israeliani, lungo la strada della barriera che separa Israele dalla Palestina. Sono 54 immagini di grandi dimensioni (72 x 24 cm) che mostrano con uno sguardo ampio cosa c'è in quella zona calda del mondo, dove lo Stato di Israele ha innalzato un muro che separa palestinesi e israeliani, ma anche palestinesi da palestinesi. Un muro sorto dopo la caduta del Muro di Berlino. Foto in bianco e nero stampate in modo superbo (in Cina), impaginate da Daniele Papalini, che non si finisce d'osservare. Lo sguardo del fotografo, nato in Moravia settantacinque anni fa, è intenso, limpido, assoluto. Mostra ciò che c'è da vedere in questo spazio geografico che appartiene alla nostra storia antica, e insieme recente. Il muro voluto da Sharon, da lui imposto, studiato e strutturato, è una cicatrice di enormi dimensioni dentro quei luoghi. Koudelka non giudica. Arriva sul terreno: sopra una collina, davanti a un villaggio, dentro a una rovina, a fianco di una maceria, nei pressi di un uliveto; posiziona la macchina, apre l'obiettivo; scatta. Non c'è acredine, non c'è polemica, non c'è denuncia. La fotografia come occhio della storia. Il libro ha un'asciuttezza appena smentita dalla copertina telata: seppur «povera» lo impreziosisce. Ma è l'interno, la sequenza di pieni e vuoti, bianchi e neri, i corpi e il carattere bastone, a scandire quel desiderio di far vedere, prima ancora che giudicare, quanto è accaduto dall'agosto del 2002 a oggi. Il muro ha fermato i kamikaze, gli attentati suicidi che hanno insanguinato Israele, ma ha marchiato a fuoco quel territorio, che negli scatti di Koudelka appare martoriato da lastroni di cemento, reticolati, torrette, autostrade. Sembra un cantiere dove un ingegnere impazzito ha seminato colate di cemento, alla rinfusa, in netto contrasto con la forma del paesaggio, così dolce e insieme cosi secco. Una bruttura appaiono gli scatoloni degli insediamenti dei coloni, contrapposti agli agglomerati dei villaggi palestinesi. Un caos viario, costruttivo, che impressiona. Koudelka ha voluto essere là e guardare e farci guardare.
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