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La Stampa Rassegna Stampa
21.12.2013 Il miglior libro di cucina dell'anno, firmato Ottolenghi/Tamimi
Si chiama JERUSALEM

Testata: La Stampa
Data: 21 dicembre 2013
Pagina: 25
Autore: Elena Loewenthal
Titolo: «Abbiamo unito Gerusalemme in cucina»

SullaSTAMPA di oggi, 21/07/2013, a pag.25, con il titolo Abbiamo unito Gerusalemme in cucina", Elena Loewenthal racconta il libro "Jerusalem" di Yotam Ottolenghi e Sami Tamimi, un libro di cucina in edizione italiana che sta ottenendo un successo internazionale.

Yotam Ottolenghi e Sami Tamimi sono due celebrità della cucina internazionale. «Jerusalem», che hanno scritto insieme (esce in questi giorni in italiano per Bompiani) è stato il libro di cucina più premiato e venduto nel 2013. Molto più di un ricettario: è un atto di amore e anche un po' di nostalgia per la città dove loro due sono nati e cresciuti, ma che hanno lasciato per approdare a Londra e aprire il loro primo ristorante, cui molti altri sono seguiti.

Elena Loewenthal   Yotam Ottolenghi & Sami Tamimi

Yotam è ebreo, di origine italiana per parte di padre. Sami è arabo palestinese. Sono entrambi  gay.
Yotam è eclettico: classe 1968, ha studiato filosofia, è stato giornalista, è istruttore di Pilates. La cucina sua e di Tamimi è sostanziosa, mediterranea e asiatica al tempo stesso, contemporanea, eppure ricca di tradizione, di profumi e colori. «Jerusalem» è un viaggio nella città più bella del mondo vista attraverso una prospettiva insolita: quella del suo cibo.
Passione e energia che Gerusalemme possiede in abbondanza danno luogo a una creatività culinaria e a piatti superlativi. «In questo marasma di città è impossibile scoprire chi abbia inventato una particolare squisitezza e chi ne abbia portata un'altra con sé, dalla sua terra d'origine».


Che significa per voi, Yotam e Sami, «ritrovarsi intorno alla tavola», preparare e inventare il cibo insieme? «Condividere un pasto non risolve i problemi del mondo ma è un buon modo per cominciare... Sauri ed io abbiamo palati simili e vogliamo la stessa cosa dal cibo che prepariamo e mangiamo. Se questo può fare da metafora per qualcosa di positivo fuori dalla cucina, ben venga». Ottolenghi, il suo cognome suona familiare in Italia e ancor più in Piemonte. Che importanza hanno queste radici? «Mio padre è italiano, ma purtroppo noi figli siamo cresciuti senza conoscere la lingua. Il cibo che mangio di più in casa è la pasta, evidentemente sta nel sangue. Il cibo che più mi ricorda l'infanzia è il pasticcio di pasta di mio padre: gli avanzi del giorni prima passati al grill con formaggio fuso. E quando ho voglia di qualcosa di squisito, confortante e perfetto, sempre di pasta si tratta». Le vostre ricette sono sostanzialmente mediterranee. Questo bacino non è soltanto una regione, è un universo storico, culturale e anche culinario.
Da Tel Aviv a Maiorca, da Istanbul a Tangori... Qual è la vostra idea di unità e diversità nel cibo mediterraneo? «Esiste un autentico localismo del cibo mediterraneo che coniuga unità e diversità. Quando è degno di tale nome, il cibo mediterraneo ha per comune denominatore ingredienti semplici - buon olio di oliva, pomodori dolci, melanzane viola scuro, erbe aromatiche fresche - mentre la sua varietà deriva dal modo in cui un'isola o una regione cucina i propri piatti.
Le ricette si tramandano di generazione in generazione, subiscono piccoli cambiamenti. Tale vicinanza alla fonte si sente in ogni piatto, cosa che a Londra, ad esempio, dove tutto è sempre reperibile, non si può riprodurre. Le mie ricette non sono solo mediterranee. Sugli scaffali della dispensa ho molti ingredienti asiatici».
Gerusalemme città «duale». Cielo e terra. Deserto e boschi. Santità e il suo opposto... Anche il cibo racconta una storia doppia secondo voi? «Adoriamo quando un piatto ottiene questo dualismo. Sami e io diciamo spesso che a noi piace il cibo quando riesce a sorprendere e confortare al tempo stesso: ricette tradizionali con un nuovo guizzo di sapore. Che spesso viene da cose come sommacco in polvere, berberitze (una bacca di origine iraniana), scorza di limone in conserva, pasta di tamarindo o melassa di melograno: ingredienti piccanti che regalano in bocca un pizzico di azione. Su uno sfondo melodioso, questo contrasto fra sapori rassicuranti e altri pungenti è capace di far davvero cantare un piatto: polpette di agnello con bacche agrodolci, uova brasate con agnello, crema di sesamo e sommacco. A Gerusalemme ci sono dei posti straordinari che hanno spiccato il volo dai menù tradizionali, come ad esempio Macheyehuda, nei pressi del meraviglioso mercato».


lettere@lastampa.it

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