Al Qaeda si riorganizza in Africa, gli Usa non se ne accorgono commento di Pio Pompa
Testata: Il Foglio Data: 18 dicembre 2013 Pagina: 3 Autore: Pio Pompa Titolo: «Al Qaida ritrova una strategia, l’America non se ne accorge»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 18/12/2013, a pag. 3, l'articolo di Pio Pompa dal titolo "Al Qaida ritrova una strategia, l’America non se ne accorge".
al Qaeda Barack Obama
Ancora il caos libico, ancora Bengasi divenuta, assieme a Sirte e Derna, la roccaforte delle milizie islamiste raccolte attorno al gruppo terrorista di Ansar al Sharia, guidato da Mohammed al Zawawi. A parlarne questa volta è stata la Welt am Sonntag (edizione domenicale della Welt) rivelando i contenuti dell’incontro segreto, svoltosi proprio a Bengasi nel settembre scorso, tra i delegati di alcune formazioni jihadiste libiche, maghrebine, egiziane e tunisine, e i rappresentanti algerini di al Qaida nel Maghreb islamico (Aqmi) e quelli siriani del gruppo filoqaidista, Jabhat al Nusra. Al centro dei colloqui, durati tre giorni, l’adozione di una nuova strategia operativa nella regione, a partire dal varo di un’offensiva contro il governo di Tunisi richiesta dal ramo tunisino di Ansar al Sharia tramite il suo leader, Abou Iyadh, presente all’incontro, e l’incremento dell’afflusso di combattenti jihadisti stranieri in Siria. Secondo una fonte d’intelligence araba sentita dal Foglio, la partecipazione al meeting di Jabhat al Nusra rientrerebbe nei piani di fidelizzazione delle organizzazioni filoqaidiste nordafricane predisposti dal numero due di al Qaida, Nasir al Wuhayshi (alias Abu Basir), sul modello di quanto avvenuto tra l’organizzazione di al Qaida nella penisola araba (Aqap) e gli Shabaab somali, culminato nell’attentato a Nairobi, in Kenya. “A Jabhat al Nusra – puntualizza la nostra fonte – è stato affidato il compito, forte dei rapporti stabiliti sul fronte siriano con i jihadisti affluiti dai paesi del nord Africa, di rendere organica e fattiva la presenza di al Qaida in quell’area. Una missione, questa, coerente con il riconoscimento, da parte di Ayman al Zawahiri, di Jabhat al Nusra quale unico riferimento di al Qaida in terra siriana, sconfessando la formazione concorrente dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante e il suo capo, Abu Bakr al Baghdadi. Il crogiolo jihadista del conflitto siriano si è trasformato, per al Qaida, in un’occasione irripetibile per stringere legami ed estendere la propria influenza sul continente africano rendendo ancora più grave la scelta americana di abbandonare al proprio destino il popolo e i ribelli siriani ormai schiacciati tra la morsa di Bashar el Assad e le milizie straniere dei vari gruppi jihadisti”. Appaiono lontane dalla realtà alcune affermazioni, avanzate la scorsa settimana nell’ambito della settima conferenza annuale sul terrorismo promossa dalla fondazione statunitense Jamestown, secondo cui le formazioni jihadiste africane sarebbero espressioni locali avulse da qualsiasi rapporto sostanziale con al Qaida e le sue strategie globali contro l’occidente e gli Stati Uniti. Eppure i fatti testimoniano il contrario: l’attentato al consolato americano di Bengasi, l’11 settembre del 2012, a opera di Ansar al Sharia, fu salutato dai vertici di Aqmi benedicendo i “fratelli” che lo avevano compiuto. E’ ancora Aqmi, assieme ad Aqap, a ordinare ai propri miliziani di continuare nell’uccisione di cittadini e diplomatici americani e israeliani. Sicché disorientano le analisi presentate da alcuni relatori della conferenza sul terrorismo, tra cui l’ex direttore della Cia Michael Hyden, in base alle quali il fenomeno jihadista africano appare sì minaccioso ma non tanto da richiedere un impegno severo come quello usato per combattere al Qaida. Persino al Zawahiri viene descritto come un leader ormai isolato, magari rinchiuso in qualche modesta abitazione, che tenta di millantare l’influenza e il controllo di al Qaida anche sulle formazioni jihadiste africane. “In realtà – ha dichiarato Peter Pham, direttore del dipartimento Africa del think tank del Consiglio atlantico – al Zawahiri controlla solo se stesso”. L’Africa dunque può attendere come la Siria con i suoi oltre 100 mila morti.
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