Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 18/12/2013, a pag. 17, l'articolo di Davide Frattini dal titolo " Assad affama la sua gente, Al Qaeda addestra i bambini ".
Davide Frattini Bashar al Assad, Ayman al Zawairi
GERUSALEMME — Hanno smesso anche loro, i pochi automobilisti che osavano correre sul quel pezzo di strada e lanciare i pacchi con il cibo verso le case sotto assedio. Hanno smesso quando l’esercito siriano ha preso il controllo dopo l’estate e chi ci prova viene bersagliato dai cecchini. A Moadamiya, periferia di Damasco, non entra nulla da mangiare. Le truppe del regime assediano la zona, per loro quella è terra dei ribelli.
Moadamiya come altri quartieri attorno alla capitale sta a pochi chilometri dall’hotel dove le Nazioni Unite hanno installato il quartier generale: da lì ogni mattina sono partiti gli ispettori che hanno contabilizzato le armi chimiche immagazzinate nelle caserme. Avevano il permesso di muoversi, venivano scortati, per il presidente Bashar Assad in quel momento era importante dimostrare al mondo — e agli americani che minacciavano il bombardamento — di essere disposto a collaborare.
I movimenti per i convogli di aiuti sono invece complicati da pretesti burocratici, permessi respinti, procedure gestite dai ministeri. Diventano un’arma nella guerra che va avanti da 32 mesi. E’ quello che racconta Ben Parker, fino a febbraio alla guida della squadra di soccorso dell’Onu, in un lungo articolo per la rivista Humanitarian Exchange . «La posizione ufficiale è che le organizzazioni sono libere di andare ovunque. In realtà nelle aree sotto il controllo del governo, cosa, dove e a chi distribuire assistenza deve essere negoziato e qualche volta viene semplicemente imposto dal regime. La distribuzione avviene attraverso la Croce Rossa siriana, che al suo peggio, nel quartier generale di Damasco, è un intralcio e al suo meglio, con i volontari sul campo, una fonte di ispirazione».
Un rapporto interno delle Nazioni Unite — rivelato a fine novembre dall’agenzia Reuters — ammette le pressioni, fino al blocco dei visti per filtrare l’ingresso nel Paese dei funzionari stranieri. Eppure — critica Human Rights Watch — Valerie Amos, a capo delle operazioni umanitarie Onu, non avrebbe evidenziato in pubblico le responsabilità del regime.
Oltre 2,5 milioni e mezzo di civili sono intrappolati in aree «difficili da raggiungere», senza cibo, esposti al gelo e alla neve. Tra loro 330 mila non possono ricevere aiuti perché strangolati dal blocco intimato dai combattenti: 280 mila vivono in parti assediate dal regime, gli altri in zone dove spadroneggiano i miliziani estremisti. «Sono rimasti — continua Parker — perché fanno parte dell’opposizione, perché hanno paura di essere uccisi se dovessero andarsene o perché non sono riusciti a scappare. Possono essere visti come scudi umani o vittime di punizioni collettive. O tutt’e due».
I gruppi legati ad Al Qaeda cercano di estendere il loro dominio nel Paese. Impongono gli insegnamenti dell’Islam radicale nelle scuole delle città conquistate e nei campi di addestramento allevano quelli che chiamano «i cuccioli di Zarqawi», in memoria del comandante fondamentalista ucciso dagli americani in Iraq nel 2006. Il Washington Post ha analizzato un video comparso su YouTube il mese scorso, dove i piccoli combattenti appaiono con i passamontagna neri e imbracciano i fucili mitragliatori. Il filmato — spiega la voce fuori campo — sarebbe stato girato nelle campagne attorno a Damasco. I bambini siedono in cerchio sotto la bandiera dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante, ricevono istruzioni e indottrinamenti.
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