Siria: tutti gli errori di Usa e Occidente commenti di Gian Micalessin, Daniele Raineri
Testata:Il Giornale - Il Foglio Autore: Gian Micalessin - Daniele Raineri Titolo: «Dai gas ai profughi, quanti errori sulla Siria - In Siria Obama non ha più un interlocutore. Il più presentabile è in fuga»
Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 17/12/2013, a pag. 15, l'articolo di Gian Micalessin dal titolo " Dai gas ai profughi, quanti errori sulla Siria ". Dal FOGLIO, in prima pagina, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo " In Siria Obama non ha più un interlocutore. Il più presentabile è in fuga ". Ecco i due articoli:
Il GIORNALE - Gian Micalessin : " Dai gas ai profughi, quanti errori sulla Siria"
Gian Micalessin "Non disturbare"
Il fallimento dell’Occidente e la conseguente catastrofe siriana sono scritti nei numeri. I più terrificanti sono quelli di una stima Onu che ipotizza il raddoppio dei profughi destinati a passare, entro un anno, dagli attuali 2 milioni e mezzo ad oltre 4 milioni. Dietro l’inarrestabile tracimazione ci sono gli errori commessi da Washington, Parigi e Francia con l’appoggio interessato e complice di Turchia, Arabia Saudita e Qatar. Più l’orrore dilaga, più quegli errori appaiono evidenti. Così evidenti da non consentire vie di fuga. Prendiamo il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius. Fino all’inizio della scorsa estate era, con il presidente François Hollande e il premier inglese David Cameron, uno dei più convinti sostenitori della necessità di armare i ribelli e arrivare alla formazione di un governo provvisorio. Il disegno dell’asse franco-inglese puntava sulla caduta di Bashar Assad seguita da una veloce trattativa sull’assetto della Siria con gli oppositori. Fabius e alleati non avevano fatto i conti con la progressiva egemonizzazione dell’insurrezione da parte delle forze jihadiste o qaidiste di Al Nusra o dello «Stato Islamico dell’Iraq e del Levante». Così - a poco più di un mese dalla riapertura dei negoziati di Ginevra- Fabius deve ammettere di «nutrire molti dubbi» sulla trattativa. Dietro quei dubbi c’è una precisa consapevolezza. A Ginevra gli unici interlocutori saranno il governo di Damasco e, se mai accetteranno di partecipare, le forze jihadiste. Nell’esprimere quei dubbi il ministro francese si guarda bene però dal ricordare le proprie responsabilità. L’esecutivo di Parigi è stato- assieme a quelli di Londra e Washington- il principale artefice della decisione di lasciar mano libera a Qatar, Arabia Saudita e Turchia ovvero ai padrini, ai finanziatori e ai complici degli estremisti. Altri errori non meno drammatici emergono in queste ore. Uno è dissimulato tra le righe del rapporto sull’uso di armi chimiche presentato della commissione dell’Onu guidata dallo svedese Ake Sellstrom. Nell’esaminare l’attacco del 21 agosto scorso a Jobar, alla periferia di Damasco, che spinse la Casa Bianca a minacciare l’intervento armato, il rapporto cita prove «legate al probabile uso di armi chimiche… su scala relativamente ridotta contro i soldati». Il rapporto dunque non parla né di ribelli, né di civili, ma di «soldati». A Jobar, però, gli unici soldati erano quelli governativi. Tra le righe sembra dunque emergere una velata ammissione. L’attacco per cui Obama voleva scatenare una guerra non fu una malefatta del regime, ma una messa in scena organizzata dalle fazioni estremiste. Le stesse che minacciano il massacro dei 2000 cristiani intrappolati nella città di Kneye se non accetteranno di abbandonare le proprie case e convertirsi all’islam. «Temiamo – ricorda in queste ore il vescovo emerito di Aleppo, monsignor Giuseppe Nazzaro - che la popolazione sia costretta a fuggire o a convertirsi all'islam se non vuol essere trucidata. I qaidisti stranieri sono entrati nel villaggio e hanno impedito al parroco di suonare le campane per avvertire del pericolo. Poi hanno bloccato le strade e ordinato alla popolazione di adeguarsi alla legge cora-nica. Seunasoladonnaescesenzavelo, tutti gli abitanti rischiano di venir passati per le armi». La tragedia dei cristiani di Kneye è la stessa vissuta da gran parte delle popolazioni siriane. Tanto che il generale Salim Idriss, capo dell’Esercito Libero di Siria, la più moderata tra le formazioni armate ribelli, sta valutando la possibilità di tornarea combattere con il regime per bloccare l’avanzata delle formazioni estremiste. E a Washington l’ex capo della Cia Michael Hayden non ha esitazioni nel definire una vittoria di Assad «l’opzione migliore» rispetto ad una affermazione dei gruppi jihadisti o ad un caos senza vincitori.
Il FOGLIO - Daniele Raineri : "In Siria Obama non ha più un interlocutore. Il più presentabile è in fuga"
Daniele Raineri Barack Obama
Roma. A ottobre il Foglio ha chiesto al massimo esperto di Siria dell’Amministrazione Obama – Frederic Hof, ex consigliere speciale del presidente americano – se l’America si può fidare di un leader della ribellione. A chi potete credere ancora? A chi dareste aiuto e armi? “Al generale Selim Idriss”. La settimana scorsa però il generale è scappato dalla Siria perché il suo quartier generale è stato attaccato non dalle truppe del governo – si trova lontano dalla prima linea e vicino al confine – ma da un altro gruppo di ribelli, il Fronte islamico, che voleva impadronirsi delle armi e dell’equipaggiamento – in parte donato dagli americani. Idriss è fuggito prima in Turchia e poi domenica è volato in Qatar, due paesi che hanno sostenuto la ribellione contro il presidente Bashar el Assad (anche se secondo una versione successiva non era presente al momento dell’attacco, era già in Turchia, dove passa la maggior parte del tempo). Ci può essere un episodio che spiega meglio cosa sta succedendo? La Casa Bianca s’illude di avere ancora un interlocutore dentro l’opposizione in Siria e quello invece deve scappare via dal paese inseguito da altri ribelli. Negli ultimi otto mesi, stima per difetto, l’Amministrazione Obama ha scelto di dare la priorità alla diplomazia con gli iraniani e di congelare la questione siriana (il governo di Teheran è alleato di Assad, qualsiasi azione avrebbe potuto interrompere il filo dei negoziati). Così l’America non ha dato aiuti militari ai ribelli per il timore che finissero in mano ai gruppi jihadisti, ha ignorato fino a quando ha potuto l’uso delle armi chimiche da parte dell’esercito siriano e quando non ha più potuto fare finta di nulla – per la morte di 1.400 civili nel giro di poche ore – ha evitato l’intervento promesso contro Assad grazie a un accordo all’ultimo momento con i russi sulla distruzione completa dell’arsenale chimico siriano (per ora lo smantellamento è fermo alla fase uno: verifica dell’inventario). Washington insiste sull’idea di una Conferenza di pace – chiamata “Ginevra 2” – a cui far sedere il governo siriano e l’ala politica dell’Fsa. La data prevista è il 22 gennaio (in realtà l’inizio dei lavori era fissato per lo scorso giugno, poi la data ha cominciato a spostarsi in avanti e non è detto che non lo farà ancora). Il problema è che l’Fsa conta sempre meno: all’inizio dell’anno era in cima alla classifica dei gruppi più potenti dell’opposizione siriana, ora è scivolato sul fondo. Se anche gli esuli siriani invitati a Ginevra 2 prendessero delle decisioni, non è per nulla chiaro quanti ribelli si adeguerebbero dentro la Siria. Pochi: è la risposta più ottimistica. Per rimediare, l’Amministrazione sta tentando di rivolgersi al Fronte islamico, un grande rassemblement di sei gruppi ribelli guidato da un settimo gruppo, Ahrar al Sham. Più di quarantamila uomini, forse sessantamila. Il Wall Street Journal ha raccontato in un articolo che ci sarebbero dei contatti in corso e in effetti in questi giorni l’ambasciatore americano in Siria (che ora agisce da fuori) Robert Ford è in Turchia per provarci. Ma due giorni fa il comandante militare del gruppo ha smentito qualsiasi contatto e ha detto che non parlerà con gli americani, con un video annuncio trasmesso anche dal canale tv al Jazeera. Il legame con al Zawahiri Ahrar al Sham è davvero un piano B difficile da ingoiare per gli americani che vedono dissolversi la ribellione da loro favorita. Combatte in nome della sharia islamica, arruola combattenti stranieri, compie attacchi suicidi. Inoltre, secondo alcune fonti del Foglio nel jihad, il vero capo di Ahrar al Sham non è come tutti credono Abu Abdullah al Hamawi, ma Abu Khalid al Suri. Se la notizia fosse confermata sarebbe interessante. Chi è al Suri? A maggio c’è stato uno scontro tra i due gruppi di combattenti in Siria ritenuti più pericolosi, Jabhat al Nusra e lo Stato islamico (diverso dal Fronte islamico). Il capo di al Qaida, l’egiziano Ayman al Zawahiri, nominò un arbitro per regolare la lotta di potere e quell’uomo era Abu Khalid al Suri. Risultato: gli americani vorrebbero contattare un gruppo guidato occultamente da un fiduciario di Zawahiri. Quest’ultima notizia su al Suri è per ora impossibile da confermare, ma rende l’idea della giungla in cui l’Amministrazione si è persa. I ribelli del 2011 e 2012 sono in ritirata, fagocitati e rimpiazzati da altri gruppi (il principe Turki al Faisal, ex capo dei servizi sauditi, domenica ha rimproverato “la slealtà e la debolezza dell’America con gli alleati”). La guerra nel frattempo continua in condizioni abbrutenti, sotto la neve, e domenica i bombardamenti aerei del governo su Aleppo hanno ucciso più di settanta civili.
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