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La Repubblica Rassegna Stampa
11.12.2013 Israele: negli ospedali tutti curati al meglio, anche i 'nemici'
cronaca e intervista a David Grossman di Fabio Scuto

Testata: La Repubblica
Data: 11 dicembre 2013
Pagina: 32
Autore: Fabio Scuto
Titolo: «Tra i medici di Israele che curano anche i nemici - Lo scrittore Grossman: 'Questi dottori sono il nostro volto migliore'»

Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 11/12/2013, a pag. 32, l'articolo di Fabio Scuto dal titolo " Tra i medici di Israele che curano anche i nemici  ", la sua intervista a David Grossman dal titolo " Lo scrittore Grossman: 'Questi dottori sono il nostro volto migliore' ".
Ecco i pezzi:

" Tra i medici di Israele che curano anche i nemici  "

Aggrappata sui contrafforti dell’Alta Galilea, Safed spunta su una montagna coperta di verde, dove lo sguardo si può perdere fino al mare. L’ospedale di questa tranquilla e pittoresca città, avvolta dal misticismo e da un’atmosfera cabalistica, si è trasformato negli ultimi mesi in un presidio chirurgico di “prima linea”, dove feriti di guerra arrivano a ogni ora del giorno e della notte. Le cinque sale operatorie sono sempre piene, così come la terapia d’urgenza. Una presenza discreta di militari israeliani, nei parcheggi e nella struttura, rivela che nello Ziv Medical Hospital i feriti che arrivano scortati dall’esercito sono molto particolari: perché è qui che i medici israeliani curano i siriani, che hanno oltrepassato il confine con Israele in cerca di aiuto. «All’inizio erano solo uomini che militavano nella rivolta», racconta aRepubblica il dottor Calin Shapira, vicedirettore dell’ospedale, «adesso la maggior parte dei pazienti che riceviamo sono civili, donne, ragazzi », nell’ultimo mese sono nati anche due bambini. Sulle alture del Golan siriano attorno a Quneitra infuria la battaglia fra i ribelli e i fedeli di Assad che si contendono la zona di frontiera con Israele, e dallo scorso febbraio il capo di stato maggiore dell’esercito israeliano, il generale Benny Gantz, ha dato ordine alle pattuglie israeliane di aiutare e assistere tutti coloro riescono ad arrivare alle linee israeliane per chiedere aiuto. Una decisione che non ha precedenti; con la Siria, Israele è ancora formalmente in guerra. E da allora, oltre trecento siriani sono stati “prelevati” sul confine, caricati sulle jeep e sulle ambulanze dell’esercito con la Stella di Davide per essere curati in Israele; la maggior parte in questo ospedale specializzato nei traumi gravi e con una scuola ortopedica famosa anche in America, ma anche perché è uno dei più vicini alla linea del fronte con la Siria.
Negli ultimi otto mesi lo spa-ziosotrauma centerdella struttura — che ha poco più di 300 posti letto — ha ricevuto un flusso costante di vittime della guerra civile siriana. «I nostri chirurghi si trovano di fronte a ferite così gravi che nemmeno i veterani ospedalieri della guerra in Libano del 2006 avevano mai visto». «Arrivano con lesioni gravi causate da esplosioni, ferite ad alta energia e danni ingenti, hanno perso molto sangue», spiega il capo del dipartimento della terapia d’urgenza, «spesso hanno più ferite: sono pazienti difficili che necessitano spesso di due, tre interventi nell’arco di poche ore». Molti hanno solo i vestiti carbonizzati addosso e i medici devono lavorare senza informazioni di basesul paziente. Altri vengono lasciati sul confine su una barella improvvisata, con un foglio di carta insanguinato spillato sui vestiti, dove il medico di qualche ospedale da campo della rivolta in Siria ha annotato in inglese diagnosi e primi trattamenti. Una di queste note che ci mostrano recita: «Auguri collega chirurgo, questo ragazzo di 28 anni è stato ferito al petto da un proiettile che ha frantumato alcune costole e le schegge hanno investito fegato e diaframma. Vi prego di fare ciò che è necessario e vi ringrazio in anticipo».
I 250 medici dello Ziv si prodigano molto e con grande dispendio di risorse, protesi, trazioni mobili, sedie a rotelle elettriche. Nel giardino interno dell’ospedale, G., che ha 15 anni, spinge sulla carrozzina suo fratello di 13. Sono saltati su una mina mentre si spostavano con un trattore. È stato il padre a metterli in macchina e portarli fino al confine con Israele. I ragazzi non ricordano quasi nulla dell’accaduto se non il momento del risveglio e poi lo shock. Non è facile per molti superare l’impatto di risvegliarsi in un Paese straniero, considerato nemico per giunta, senza qualche arto e immobilizzati in ospedale. Per questo l’ospedale ha approntato un sostegno psicologico, con un team che parla arabo.
«Noi gli curiamo il corpo come possiamo, li rimettiamo in piedi, ma dobbiamo aiutarli anche a superare le ferite dell’anima», ci spiega sempre il dottor Shapira.
Ha un bel volto sorridente da attore, Fares L., l’assistente sociale che è un arabo-israeliano, e che ha preso in carico molti di questi “strani” pazienti, diventando per loro genitore, amico, traduttore. La nostalgia per la famiglia e la casa — racconta — sono più forti della paura di tornare, e forse di non trovare più nulla. Poi finita la convalescenza viene il momento del distacco che è straziante anche per il personale di questo piccolo ospedale e anche i bambini vengono riaccompagnati dalle pattuglie israeliane sul Golan, in attesa che dall’altra parte arrivichi si prodigherà di aiutarli nel raggiungere le loro case, se hanno la fortuna di averne una ancora. «È un dolore vederli andare via così, gli abbiamo salvato la vita, ma non sapremo più nulla di loro, se le ferite si rimargineranno, se l’arto artificiale funziona bene, se potranno essere assistiti. Vanno a stare peggio in un Paese sconvolto dalla guerra civile, con centinaia di migliaia di morti, quattro milioni di sfollati, 1 milione di feriti di guerra. Chi potrà occuparsi di loro in quella immensa tragedia?».
Ma chi sono questi siriani? Da dove arrivano? Da quale parte combattevano gli adulti feriti? «Noi non chiediamo nulla ai nostri pazienti, e fra loro ho notato anche qualche barba salafita, il nostro dovere è di aiutarli e basta. Non c’è tempo per le domande in terapia d’urgenza», ci spiega il dottor Calin Shapira mentre ci riaccompagna verso l’uscita, «siamo medici, prima di essere israeliani».

" Lo scrittore Grossman: 'Questi dottori sono il nostro volto migliore' "


David Grossman

«Nelle esperienze come quelle di Safed, Israele si rivela nella sua parte migliore, con la capacità di offrire sostegno non solo ai Paesi amici, come è successo ultimamente nelle Filippine, ma anche ai suoi peggiori nemici, senza fare conti economici». David Grossman, lo scrittore israeliano pacifista convinto, spesso critico con l’establishment e con le scelte dei governi di centrodestra, plaude alla decisione di aiutare i cittadini siriani che chiedono aiuto a Israele, al nemico. «Oltre all’atto morale e umano rappresentato dalla cura di persone che ne hanno bisogno senza tener conto di chi sono o del loro atteggiamento ostile nei confronti di Israele, ho sempre la speranza che fra le centinaia di feriti che assistiamo per almeno uno di loro l’incontro con un medico israeliano o un’infermiera o un vicino di letto, riesca a infrangere l’immagine stereotipatache hanno di Israele».
È stato sorpreso dall’ordine del generale Gantz di dare assistenza ai siriani?
«È il segno più evidente della disponibilità a superare lo stato di guerra esistente fra i due Paesi ed essere semplicementeumani».
I medici non chiedono nulla ai pazienti ma raccontano di aver curato anche adulti con la barba da salafita che probabilmente combattevano con i gruppi filo-qaedisti...
«Sì e magari questi promettono che dopo aver finito la guerra santa con Assad si “occuperanno” anche di Israele, ma nonostante ciò riconoscono che Israele è l’unico posto che può e vuole salvare la loro vita, l’unico luogo dove saranno trattati con umanità».
Un atteggiamento singolare...
«So che ciò che sto dicendo può sembrare realmente assurdo, che Israele si sforzi tanto in favore di gente che lo vede come la personificazione del male, ma forse è proprio qui, adesso, che c’è la possibilità di iniziare una forma di “tikkun” (parola ebraica che significa “riparazione di qualcosa di spezzato, strappato, rovinato”, ndr), di un’esperienza riparatrice col mondo che ci circonda».
Ha notato che nessuno dei feriti trasportati in Israele ha chiesto asilo politico, tutti hanno chiesto di tornare in Siria, verso l’ignoto, senza sapere cosa li aspetta?
«Bisogna tener conto del fatto che sono molto spaventati di trovarsi in Israele. Per tutto ciò che hanno sentito sono terrorizzati. È chiaro che in una situazione del genere si vuole star vicino ai propri cari. Inoltre c’è la possibilità che il fatto di essere stati curati in Israele si possa ripercuotere negativamente su di loro. Potrebbero subire delle rappresaglie per essersi fatti curare dal nemico».
I feriti siriani a Safed descrivono situazioni drammatiche appena oltre le colline del Golan...
«Una tragedia umanitaria di proporzioni disastrose che si ripercuoterà per generazioni in tutta la regione. I profughi specie in Libano e Giordania sono milioni, numeri che destabilizzano anche i Paesi che li ospitano».
I campi profughi sono pieni di donne e bambini...
«È già la prima generazione perduta, questi ragazzi da quasi tre anni non vanno a scuola. Sono buttati lì in campi sparsi in Turchia, Libano e Giordania. Dobbiamo mettere in piedi una grande operazione internazionale per dare loro un insegnamento scolastico, altrimenti li avremmo persi».

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