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Il Giornale - Corriere della Sera Rassegna Stampa
09.12.2013 Bibi Netanyahu: l'accordo con l'Iran nucleare affosa i negoziati coi palestinesi
Intanto Shimon peres tende la mano a Rohani. Commento di Fiamma Nirenstein, cronaca di Davide Frattini

Testata:Il Giornale - Corriere della Sera
Autore: Fiamma Nirenstein - Davide Frattini
Titolo: «La sfida di Peres: pronto a incontrare Rohani - Peres ottimista sull’Iran. Cosa sperano gli israeliani ?»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 09/12/2013, a pag. 13, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " La sfida di Peres: pronto a incontrare Rohani ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 15, l'articolo di Davide Frattini dal titolo " Peres ottimista sull’Iran. Cosa sperano gli israeliani ? ".
Ecco i pezzi:

Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " La sfida di Peres: pronto a incontrare Rohani "


Fiamma Nirenstein    Shimon Peres

Il Forum Saban, famoso miliardario americano pacifista, è un' ambitissima tribuna dove ciascuno deve fare al meglio i propri compiti. E anche stavolta è stato uno scintillio di menti. Obama, Peres, Netanyahu. Shimon Peres ha toccato il tasto più delicato: in un momento non facile fra l'amministrazione americana e il suo Paese, e dopo un intervento di Obama che metteva i puntini sulle i sia sull'accordo con l'Iran che sul processo di pace con i palestinesi, ha gettato il suo ponte di pace da vero wonderboy novantenne. Il Mandela israeliano, quando sente dire pace, non lo trattiene nessuno, neppure l'odio iraniano contro Israele che non ha mancato di esprimersi con grande vocalità (i sionisti sono come cani rabbiosi, il loro destino è segnato, ha detto il leader massimo Khamenei persino nel giorno dell'accordo).

"Sono pronto a incontrare il presidente Rouhani -ha detto Peres rispondendo alla domanda di un giornalista- io non ho nemici personali, la pace si fa fra popoli e quando si parla di politica si parla con i nemici sperando che diventino amici". Poi ha citato come cominciò a parlare con Arafat, esempio non felicissimo, poichè nel tempo Arafat ha dimostrato che non aveva nessuna intenzione di firmare la pace. Ma la mano tesa di Peres è stata un exploit di autore, una dimostrazione della buona volontà israeliana accompagnata tuttavia dalla richiesta di verifica dell'accordo. Agli occhi del pubblico si è trattato di un"good cop" Peres, di fronte al "bad cop" Netanyahu, che ha parlato ieri sera. Ma non è così anche se il secondo ha pronunciato la dura frase:"Se ci sarà un Iran atomico nessuna pace con i palestinesi sarà possibile".

E' un punto di vista che vuole segnare le differenze con gli USA e attivare il monitoraggio, ma Bibi l'ha accompagnata con una notizia: "La pace coi palestinesi è più vicina di quanto lo sia mai stata, abbiamo fatto dure rinunce, siamo pronti a rinunce ancora più dure". E ha aggiunto tuttavia che la comunità internazionale deve evitare che il più feroce di tutti i regimi divenga una superpotenza, altrimenti questo bloccherà qualsiasi processo di pace. Sia Peres che Bibi hanno invitato a monitorare a fondo i risultati dei prossimi sei mesi di accordo ad interim e ad evitare che l'Iran si nuclearizzi. Ma si capisce che si apre un periodo duro con gli USA, anche se sia Bibi che Obama di sono giurati in pubblico eterna amicizia.
Obama ha detto in maniera molto precisa e per la prima volta: gli USA non credono che alla fine dei sei mesi prescritti gli ayatollah decideranno di smantellare l'impianto nucleare. Sarebbe bello, ma non capiterà, ormai la tecnica è a loro disposizione. L'Iran seguiterà ad arricchire l'uranio, né può essere esclusa l'idea che la Repubblica islamica perseguirà l' arma nucleare. Il presidente americano ammette di non prevedere una happy end. In tono dimesso ha spiegato: nelle trattative eravamo meno forti di quello che immaginate, India, Giappone, Sud Corea e Russia lamentavano il danno economico delle sanzioni, e il popolo americano ha espresso più volte la sua opposizione alla guerra. Obama ha consegnato al Forum una strategia dell'azione debole.

Ma ha voluto aggiungere che tutte le opzioni sono ancora sul tavolo, anche quella militare, che gli USA sono opposti a un Iran nucleare e Israele resta il migliore amico. L'eventualità di una azione militare non era mai stata ripetuta da quando è stato firmato l'accordo. Ma è molto difficile immaginare che dunque adesso gli iraniani si agitino in preda all'ansia. Piuttosto, si ha la sensazione che Obama offra a Israele la carota che blocchi ogni piano di fermare l'Iran con la forza, e induca a un accordo con i palestinesi. Almeno qui, Obama vorrebbe un successo. Speranza piuttosto mal riposta.
www.fiammanirenstein.com

CORRIERE della SERA - Davide Frattini : " Peres ottimista sull’Iran. Cosa sperano gli israeliani ? "


Davide Frattini   Bibi Netanyahu

GERUSALEMME — Il comandante del sottomarino decide di risolvere da solo la crisi in Medio Oriente. Senza consultare il primo ministro o il capo di Stato Maggiore, sarà a lui a schiacciare quel bottone, a lanciare i primi missili nucleari contro l’Iran. È convinto di obbedire agli ordini o almeno di attuare la strategia del governo, che ogni giorno minaccia la guerra. Eppure non sembra aver voglia di farla, come suona il titolo della commedia satirica: Pffff, sospiro di sollievo, ce la siamo vista brutta. Pffff, come il ridicolo nome in codice di un’operazione che supera il punto di non ritorno.
Lo spettacolo è scritto da Aaron Levin, erede del mestiere dal padre Anoch: sbeffeggiare in teatro quelle che considera le smanie bellicose dei politici israeliani. Debutta fra una settimana a Tel Aviv, mentre sul palcoscenico diplomatico il premier Benjamin Netanyahu ripete le bordate contro l’accordo di Ginevra. In videoconferenza con il Saban Forum a Washington ieri ha avvertito: gli sforzi per raggiungere la pace con i palestinesi saranno inutili se Teheran dovesse produrre la bomba. Dallo stesso podio Barack Obama, il presidente americano, ha valutato 50/50 le possibilità che l’intesa preliminare con gli iraniani diventi definitiva. È la stima anche di Shimon Peres («i Guardiani della rivoluzione cercheranno di fermare le riforme») che però non rinuncia all’ottimismo: «Sono pronto a incontrare il presidente Hassan Rohani, non ho nemici».
Gli israeliani sono meno fiduciosi del loro capo dello Stato: un sondaggio pubblicato tre settimane fa dal quotidiano Yisrael Hayom, il cui editore Sheldon Adelson è un amico del premier, calcola che il 65,5 per cento è contrario all’accordo (allora in definizione). «Il problema è le voci controcorrente sono rimaste inascoltate — commenta l’analista Shlomi Eldar sulla rivista online Al Monitor —. I fatti che presentano un approccio differente non riescono a penetrare il bastione fortificato della linea ufficiale del governo».
Barak Ravid, corrispondente diplomatico del quotidiano liberal Haaretz, è convinto che la gente non sappia abbastanza. Durante i negoziati a Ginevra, intervistato dalla radio dell’esercito, ha implorato gli altri giornali (Haaretz e Al Monitor c’erano) di inviare i reporter in Svizzera: «Possono vedere con i loro occhi e raccontare che questo non è un circo. Gli americani non ci stanno fregando».
Chi in Israele ha letto i termini delineati dai mediatori alla fine di novembre, li giudica con parole meno apocalittiche di quelle pronunciate da un ministro come Naftali Bennett: «Se tra cinque o sei anni una valigetta atomica esplode a New York o Madrid, sarà colpa di questa intesa». Ehud Yaari, commentatore del Canale 2 , spiega: «Senza questo accordo, gli iraniani avrebbero potuto cominciare da domani a far funzionare tutte le loro 19 mila centrifughe per l’arricchimento dell’uranio». Il giornalista Arad Nir, stessa emittente, ricorda al pubblico che «anche il nostro amico François Hollande, il presidente francese, è contento».
Eppure Yuval Diskin, fino a due anni e mezzo fa capo dei servizi segreti interni, è stato scorticato dai portavoce del primo ministro per aver incitato Netanyahu a concentrarsi sui negoziati con i palestinesi: «Fallire sarebbe molto più pericoloso per il futuro di Israele che il programma atomico iraniano». Anche lo storico Zeev Sternhell definisce su Haaretz le trattative di Ginevra un modello da replicare: coinvolgere le stesse sei nazioni per tenere israeliani e palestinesi seduti al tavolo. «P5+1 può diventare la formula per la pace».

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