Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 04/12/2013, a pag. 16, l'intervista di Anais Ginori a Suha Arafat dal titolo "La rabbia della vedova di Arafat: 'Verità sulla morte di mio marito' ".
Sullo stesso argomento, invitiamo a leggere la 'Cartolina da Eurabia' di Ugo Volli di oggi, pubblicata in altra pagina della rassegna
Suha Arafat con un ritratto del marito morto
Il risultato delle perizie sulla salma di Arafat è che quest'ultimo non è stato avvelenato.
Questo dovrebbe porre fine alla polemica alimentata, nel corso degli ultimi anni, dalla moglie e dagli ex collaboratori. Arafat è morto di cause naturali.
La risposta migliore alle illazioni prive di fondamento esposte da Suha Arafat nel corso dell'intervista è la titolazione del Corriere della Sera che riproduciamo qui sotto:
PARIGI — «Mio marito mi ha insegnato a battermi e andrò fino in fondo a questa storia». Nel giorno in cui i periti della procura di Nanterre consegnano un rapporto che smentisce in parte la tesi dell’avvelenamento di Yasser Arafat, la vedova Suha si mostra più determinata che mai. «Voglio la verità per poter finalmente chiudere una ferita aperta nel mio cuore e in quello di mia figlia» racconta, seduta nello studio legale dell’avvocato francese Pierre-Olivier Sur. E’ arrivata da Malta, dove vive, per seguire gli ultimi sviluppi legali di questo giallo internazionale che ha già portato a riesumare, un anno fa, la salma dell’ex leader palestinese.
Le conclusioni dei periti francesi l’hanno delusa?
«Le analisi rilevano la presenza di polonio 210 e di piombo 210 in dosi abnormi, ma la collegano a una contaminazione ambientale successiva alla morte».
Il rapporto degli esperti svizzeri, presentato qualche settimana fa, era più convincente?
«Concludeva che il polonio 210 presente nella salma di mio marito poteva effettivamente aver provocato la morte. Sono questioni tecniche, non ho gli strumenti per capire tutto. Mi sembra importante sottolineare che ci sono contraddizioni anche tra gli scienziati».
Esiste anche un terzo rapporto di esperti russi che converge però con le conclusioni francesi.
«Non ne ho notizia».
Non l’ha letto?
«E’ stato commissionato dall’Autorità nazionale palestinese e a me non è mai stato mostrato».
Crede che nel 2004 ci fu un complotto dentro alla Muqata?
«Per il momento non voglio accusare nessuno. Ho sporto denuncia contro ignoti. Ma so che in quel momento molti avevano interesse a togliere di mezzo mio marito».
Perché non ha chiesto un’autopsia subito dopo la morte?
«Non ne ho avuto il tempo. Per la religione musulmana il corpo deve essere subito inumato. Certo avevo già dei sospetti. I dottori francesi hanno detto che mio marito è morto di emorragia cerebrale in seguito a un’infezione intestinale. Eppure non aveva avuto febbre».
Ha visto la cartella clinica?
«Una parte è ancora classificata dalle autorità francesi. Ma i miei avvocati sono pronti, se necessario, a chiedere il dossier. E’ una vicenda che non riguarda solo la mia famiglia. Ci sono implicazioni politiche che non devono essere taciute».
Teme pressioni sui magistrati?
«Ho fiducia nella giustizia francese. I magistrati hanno ottenuto la riesumazione della salma e l’analisi dei prelievi. E gliene sono grata. Ora chiederemo un confronto tra esperti».
Come sarebbe avvenuto l’avvelenamento?
«Mio marito si è sentito male dopo cena. Possiamo solo fare ipotesi. Dovete ricordarvi che allora non si conosceva neppure l’esistenza dell’avvelenamento al polonio. E’ solo nel 2006, con l’assassinio di Alexandre Litvinenko, che si è scoperta questa tecnica micidiale».
Lei però ha aspettato fino al 2012 per presentare denuncia.
«Perché solo nel 2011 il giornalista di Al Jazeera, Clayton Swisher, mi ha fatto riflettere su alcune analogie con l’affaire Litvinenko. A lui ho consegnato alcuni degli effetti personali che mio marito aveva in ospedale. Sono stati esaminati da un laboratorio svizzero. Vedendo i risultati, ho capito che i miei sospetti erano fondati ».
Non potrebbe accettare che suo marito sia morto di cause naturali all’età di 75 anni, dopo una vita vissuta intensamente?
«Ci sono troppe stranezze. Anche per Napoleone è riapparsa la tesi dell’avvelenamento cento anni dopo la morte. Sono convinta che riuscirò a dimostrare che l’assassinio di mio marito è uno dei più grandi casi criminali del secolo».
Per inviare la propria opinione a Repubblica, cliccare sull'e-mail sottostante