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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Naomi Ragen, L’amore violato 02/12/2013

L’amore violato                                              Naomi Ragen
Traduzione di Stefania Di Natale e Lucilla Rodinò
Newton Compton                                          euro 12,90

Il mondo ebraico ortodosso dipinto nelle mille sfumature che lo compongono è il tessuto narrativo nel quale si innestano le storie di Naomi Ragen.
Scrittrice americana di successo che da trent’anni vive a Gerusalemme, giornalista del Jerusalem Post, autrice di bestseller e di una pièce teatrale molto apprezzata, Ragen si occupa anche di questioni legate al mondo ebraico e di diritti umani tenendo conferenze in tutto il mondo.
In Italia la casa editrice Newton Compton ha pubblicato la sua trilogia “haredi”: il primo romanzo, “Una moglie a Gerusalemme”, è - come scrive l’autrice nella prefazione – “la storia più atipica” che ha come protagonista Batsheva Ha-Levi, una ricca ragazza americana che progetta di iscriversi all’università e, come tutte le sue coetanee, sogna un matrimonio d’amore. Ma il rispetto delle tradizioni religiose inducono la famiglia ultraortodossa a darla in sposa a un grande studioso del Talmud, un rabbino rispettato della comunità di Gerusalemme. L’incontro con un nuovo paese e la scoperta di avere sposato un uomo freddo e violento porterà Batsheva a rinunciare ai suoi sogni fino a quando non troverà il coraggio per ritornare alla libertà.
Con il secondo libro “L’amore proibito”, Naomi Ragen ha cercato “di fare il punto sugli ebrei haredi che vivono a Gerusalemme, fornendo degli spaccati della loro vita quotidiana” e attraverso le vicende di Dina, figlia devota del rabbino Reich, ci racconta una storia di lotta e sofferenza, di donne coraggiose e ostinate che sfidano l’autorità maschile per conciliare tradizione e libertà, fede e devozione.
Un vero inno alla libertà, oltre che una storia emozionante e potente, è l’ultimo romanzo della trilogia haredi che la casa editrice Newton Compton manda in libreria col titolo “L’amore violato”. Con quest’ultima opera l’autrice ha voluto penetrare le ossessioni della sua infanzia descrivendo un quartiere di New York, città dove è nata, che conosce bene per fare un confronto fra la vita delle donne haredi della Diaspora e quelle rimaste in Israele.
Negli anni cinquanta giovani famiglie ortodosse provenienti da East New York, Crown Heights e Brownsville si uniscono per dare vita a un piccolo mondo privato, governato dalle loro pratiche e credenze religiose, Orchard Park: una vera fortezza per chi resta fuori dai suoi confini ma un posto tranquillo e ospitale per chi vive al suo interno. Fra questi anche molti sopravvissuti alla Shoah, rifugiatisi in America per l’impossibilità di ritornare al loro paese ma con il cuore in Europa e l’anima nel piccolo Stato indipendente d’Israele.
In questa oasi di tranquillità a dicembre non compare nessun Babbo Natale ma solo file di Chanukah menorah accesi e in aprile nessuna vetrina mostra uova pasquali sostituite da  scatole di dolci tipici della Pasqua ebraica. E se a marzo il resto della nazione trascorre giorni privi d’allegria, Orchard Park si appresta a festeggiare con divertimenti e grandi bevute la ricorrenza di Purim.
Il senso di protezione che assicurano i vicoli tranquilli e i luoghi conosciuti di Orchard Park viene drammaticamente squarciato quando Tamar Finegold, giovane sposa del rabbino Josh, viene violentata da un uomo di colore che si è introdotto furtivamente nell’appartamento della sorella Rivkie. Lì Tamar si trova, un po’ a malincuore, per badare al nipotino ma ha fretta di recarsi al mikveh al rito di purificazione, come è tradizione delle donne haredi alla fine del ciclo mensile, per poter accogliere, una volta purificata, il marito al ritorno dalla Yeshivà.
Il destino, invece, le ha riservato un orrore che non avrebbe mai immaginato di dover subire. La paura delle conseguenze che questo atto di violenza potrebbe avere all’interno di una comunità governata da regole rigidissime, oltre che l’angoscia di perdere il marito, la inducono a tacere la violenza subita.
Alla sera, dopo il mikveh, si abbandona con un peso greve sul cuore fra le braccia del marito, sperando di dimenticare, con un autentico atto d’amore, quelle ore di terrore. Quando scopre di attendere un figlio, dopo averlo a lungo desiderato, invece di vivere con gioia questo momento unico nella vita di ogni donna, trascorre il resto della gravidanza con l’angoscia e la trepidazione che quel figlio possa nascere con la pelle nera.
Tamar si convince, almeno in apparenza, che le sue preghiere siano state esaudite e si lascia andare a un lungo pianto liberatore, dinanzi agli occhi stupefatti della sua famiglia, quando vede spuntare dalle fasce in cui è avvolto un visetto vispo e di carnagione bianca.
Gli anni trascorrono ritmati dalle incombenze che competono alla moglie di un rabbino e dagli impegni e doveri che ogni madre ebrea si trova ad affrontare nell’educazione dei figli. Al primo figlio Aaron, dalla pelle bianca, ma dai capelli ricci e neri che cresce seguendo le orme del “padre” rabbino, seguono due dolcissime bambine dagli occhi azzurri e dai capelli biondi.
Tamar, tuttavia, è consapevole che tutta la sua vita si basa sulla menzogna e ben prima di quanto potesse immaginare il passato torna a bussare alla porta dei Finegold: la giovane moglie del figlio Aaron partorisce un bimbo dalla pelle nera e lo scandalo investe come un tornado la tranquilla comunità religiosa di Orchard Park.
Ora tocca a Tamar decidere se rivelare il suo terribile segreto o lasciare che la nuora Gitta Chana, ragazza rispettosissima delle tradizioni religiose e parsimoniosa fino all’eccesso, subisca l’ostracismo di tutti i parenti e amici per ciò che è accaduto in un lontano passato e del quale lei non ha alcuna colpa.
Lasciando intatto il piacere di scoprire il finale di un libro rigoroso e appassionante, non possiamo esimerci dal consigliarne la lettura anche per la rara capacità dell’autrice di delineare un mondo complesso e variegato che, grazie alla sua perfetta conoscenza della halacha e delle tradizioni ebraiche, consente al lettore di cogliere le più sottili sfumature e contraddizioni che permeano la vita degli ebrei ultraortodossi offrendo un inedito punto di vista femminile.
La penna sapiente di Naomi Ragen ci regala il ritratto impietoso di una società dove si deve nascondere ciò che non è presentabile e dove il silenzio è preferibile all’imbarazzo che potrebbe derivare dalla pubblica denuncia dei mali sociali.
Indimenticabili le figure femminili che Ragen coglie con un’attenta analisi psicologica nella complessità e nelle mille contraddizioni della loro personalità: Hadassah Mandlebright, figlia del venerabile rebbe di Kovnitz, rifiuta categoricamente le tradizioni della famiglia ultraortodossa allontanandosene con grande dolore dei genitori; Jenny, orfana del padre ebreo, accede alla prestigiosa scuola femminile Ohel Sara, grazie alla lungimiranza della madre goy, ma fin dall’infanzia è consapevole che la sua strada sarà in salita e piena di ostacoli. La sua scelta di andare a vivere in Israele abbracciando una fede ortodossa senza pregiudizi o preconcetti avrà un impatto fortissimo su Tamar che trarrà proprio dall’amica d’infanzia la forza per dare una svolta definitiva alla sua esistenza.
Quello di Naomi Ragen è un romanzo che accomuna un raro talento narrativo e un garbo inconsueto nel trattare argomenti dall’interpretazione complessa a una freschezza espressiva capace di dar vita ad una scrittura che ti si insinua sotto la pelle e ti pervade sin dalle prime pagine. Il risultato è un libro che cattura il lettore con un desiderio crescente di arrivare alla fine per conoscere la verità, una verità che non delude.

Giorgia Greco


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