La nuova Costituzione egiziana sarà pronta stasera, quando i 50 saggi incaricati di riscrivere il testo varato sotto l’ex presidente Morsi, termineranno di votarne i 246 articoli (il referendum sarà a gennaio). Linee guida e contraddizioni sono però già così chiare da aver infuocato le strade del Cairo dove martedì, preventivamente, il governo a interim ha licenziato una dura legge contro le proteste ritenute una minaccia per la sicurezza (due noti attivisti liberal sono già stati arrestati). L’articolo 2, intanto. Quello che definisce la Sharia «la preminente fonte del diritto» e che preoccupa l’occidente più degli egiziani laici. Nessun giro di vite islamista, dice il rivoluzionario Alfred Raouf. Anzi: «L’articolo 2 è da sempre nella nostra Costituzione e per quanto lo biasimi uno come me non è aggirabile. Oggi semmai progrediamo, perchè il preambolo precisa che l’ultima parola non tocca agli imam ma alla Corte Costituzionale e che la Sharia vale solo per diktat espliciti nel Corano come la possibilità della pena capitale per gli assassini. Chi cambia credo invece non rischia più la morte». Il costituente del partito salafita Nour si è battuto invano per gli articoli islamisti inseriti un anno fa dai Fratelli Musulmani: la via di mezzo è stata l’articolo 2. D’altro canto i partiti religiosi sono banditi e si garantiscono alle 3 confessioni monoteiste libertà di culto e diritto di edificare luoghi di preghiera. Più problematico è il ruolo delle forze armate, confermato dalla Costituzione. Un «privilegio» inattaccabile dai liberal, se un sondaggio Gallup assegna ai generali il 94% del consenso (la gente preferisce la sicurezza alla libertà). Un articolo prevede il tribunale militare per chi attacchi una postazione dell’esercito o un territorio da esso controllato e resta molto vago sulla definizione di «territorio». Un compromesso, ammette il costituente Moatamer Amin, ma bilanciato: «Il ministro della difesa è nominato dalle forze armate per 8 anni ma può essere cacciato dal presidente che guadagna peso sull’esercito». Già. Dipende dal presidente. Se fosse il generale el Sisi l’Egitto, per quanto rimpianga Nasser, si troverebbe punto e a capo. Con buona pace della democrazia.
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