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Stefano Magni
USA
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Iran nucleare: Emma Bonino sempre più islamicamente corretta 30/11/2013

" Iran nucleare: Emma Bonino sempre più islamicamente corretta "
analisi di Stefano Magni


Stefano Magni
A destra, Mohammad Javad Zarif con Emma Bonino

Alla notizia dell’accordo sul programma nucleare con l’Iran, una sola voce si è levata per lanciare l’allarme: è quella di Benjamin Netanyahu, il leader dell’unica nazione seriamente minacciata dalla futura, sempre più possibile, sempre più vicina atomica di Teheran. Per il resto non si sono sentiti altro che applausi. Una voce non si è staccata dal coro di approvazione: quella di Emma Bonino, ministro degli Esteri dell’Italia. È normale e non dovremmo stupirci che il nostro Paese, da sempre “Mediterraneo”, filo-arabo e pronto a fare affari con i regimi dittatoriali di quella regione, non vedesse l’ora di un accordo con il regime teocratico dell’Iran, per sospendere le sanzioni e riaprire le porte alle imprese italiane anche di fronte al pericolo di una guerra. Un po’ meno normale è che, a farsi portavoce di questa Italia, sia proprio Emma Bonino. Proprio la stessa che, per anni e anni, ha ribadito la sua idea di difendere strenuamente Israele, fino alla proposta radicale di ammetterlo nell’Unione Europea.
Non eravamo abituati a vederla così. Anche ad agosto, incontrando i dissidenti iraniani, si era staccata dal coro, affermando che il problema vero non fosse tanto il nucleare in sé, ma la dittatura. Solo i neocon americani avevano avuto il coraggio di dirlo e la storia li ha dannati. Sì, ci saremmo attesi qualcosa di diverso anche in questa occasione degli accordi di Ginevra, in quello che potrebbe essere il nuovo Patto di Monaco (1938) degli anni 2000. Quello del ’38 fu l’anticamera della Seconda Guerra Mondiale. Questo di Ginevra potrebbe essere l’accordo che spiana la via alla Terza. Eppure, in una situazione così apocalittica, abbiamo sentito da Emma solo parole dettate dall’etichetta del politically correct: «Siamo di fronte a un’intesa preliminare, che dura sei mesi e comprende un monitoraggio costante: quindi mi sembra un accordo prudente. Ma dopo tanto tempo di gelo è sicuramente un primo passo importante, un risultato parziale ma significativo. Se continueremo tutti quanti a lavorare nella stessa direzione, potrà anche facilitare altri dossier della grande partita diplomatica in corso sul Medio Oriente. Con tutte le necessarie cautele del caso, la mia valutazione è assolutamente positiva». Chissà cosa potrebbe dire dopo il primo test nucleare iraniano. Che non sembra affatto un’ipotesi remota, considerando che (secondo le stime del think tank Isis) manca teoricamente solo un mese al primo ordigno.
«Dopo anni di freddo e di blocco della cooperazione internazionale – prosegue la Bonino nella sua intervista rilasciata al Corriere della Sera - Ginevra è il secondo segnale di una nuova fase dopo la risoluzione dell’Onu sulle armi chimiche. Il multilateralismo efficace ha una rara chance, che non dobbiamo lasciarci sfuggire. L’intesa apre una finestra di opportunità, che dobbiamo stare attenti a tenere aperta. Sulla Siria dobbiamo lavorare con forza e convinzione. Con Lavrov insisterò ovviamente sulla necessità di una soluzione politica, ma nell’immediato occorre un’azione umanitaria, di fronte a un dramma ormai insostenibile sia per chi è riuscito a fuggire, sia per chi è rimasto nel Paese. Anche gli iraniani hanno mostrato di voler dare una mano, come mi ha confermato il ministro Zarif qui a Roma». In effetti, è stata proprio lei, il nostro ministro degli Esteri, a condividere subito la questione siriana con il ministro Zarif, già durante la crisi di agosto e settembre, quando un intervento militare americano pareva inevitabile. L’intelligence israeliana aveva diffuso la notizia che la Siria avesse usato le armi chimiche, la Bonino aveva replicato seccata che Israele avrebbe dovuto esporre le proprie prove all’Onu e aveva condiviso le sue preoccupazioni proprio con il suo collega iraniano. «Ho passato al ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, lo stesso messaggio che avevo già passato al ministro degli Esteri russo Lavrov – dichiarava in un’intervista rilasciata a Il Foglio lo scorso 26 agosto - fare pressione sul governo siriano perché aprisse alle ispezioni della squadra dell’Onu, che è già sul posto, il luogo dell’attacco chimico. Il ministro Zarif mi ha detto di essere già in contatto con Damasco e di avere fatto la stessa raccomandazione. Ha chiesto e ribadito però che la comunità internazionale fosse pronta a prendere iniziative contro chiunque abbia usato le armi chimiche». Tutto normale, se non fosse per un “dettaglio”: l’Iran, rappresentato all’estero da Zarif, è proprio la potenza mediorientale che sta fornendo armi, uomini ed equipaggiamento al regime di Bashar al Assad. Si può chiedere a un piromane di fare da pompiere?
Questi rapporti confidenziali con l’Iran rivelano l’ormai evidente fiducia occidentale nell’uomo “nuovo” di Teheran, il presidente Hasan Rouhani. Il quale, lungi dal prendere le distanze dalle dichiarazioni del suo predecessore, si è subito affrettato a dire che Israele rappresenta “una ferita da mondare”. La Bonino è in prima fila in questa tendenza: «Siamo stati tra i primi a cogliere l’importanza dell’elezione del nuovo presidente Rouhani in maggio – dichiarava al Corriere lo scorso 13 novembre - Ricordo che ancora pochi mesi fa diversi colleghi europei mi guardavano storto quando dicevo che bisognava invitare l’Iran al tavolo con la Siria. A fine agosto, dopo la strage di civili con le armi chimiche, ho chiamato più volte il ministro degli Esteri iraniano Zarif perché convincesse Assad a dare via libera agli ispettori Onu. E il 26 settembre, all’assemblea delle Nazioni Unite, c’era la fila per parlare con Zarif e Rouhani. Bisognava staccare il biglietto, come se si fosse in coda per visitare il Moma».
Non c’è niente di strano, dunque, che il nostro ministro degli Esteri accetti con “cauto ottimismo” quegli accordi di Ginevra, rischiosi più che mai, possibile antipasto di un disastro epocale. Non c’è stato alcun “regime change” in Iran. Rouhani è pur sempre un uomo selezionato e scelto dal regime. Il comando reale sul programma nucleare e sulle operazioni all’estero è sempre nelle mani dello stesso ayatollah: Alì Khamenei. L’atomica (intesa come energia e probabilmente anche come bomba) è sempre la prima ambizione della Repubblica Islamica iraniana. E Israele è sempre il primo nemico di Teheran. Non è cambiato nulla. È cambiata solo l’idea che della questione se n’è fatta la Bonino, in buona compagnia con tutte o quasi le cancellerie occidentali. Israele se ne farà una ragione?


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