Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 30/11/2013, a pag. 59, la risposta di Sergio Romano ad un lettore dal titolo " La sorte degli armeni, genocidio o pulizia etnica ".
Sergio Romano Genocidio armeno
E' possibile leggere la risposta a cui si riferisce il lettore cliccando sul link sottostante
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=2&sez=120&id=51134.
Contrariamente a quanto scrive Sergio Romano, quello degli armeni fu un genocidio, non pulizia etnica.
Si tratta di uno sterminio di un popolo. Certo, la Shoah ha una sua unicità, il genocidio degli armeni è venuto con modalità diverse, ma questo non cambia la realtà. Per quanto riguarda la giustificazione data dal governo turco (gli armeni sarebbero stati collaboratori dei russi) è ridicola. Un popolo non collabora con il governo di un altro Stato. Si trattò di un furto legalizzato di proprietà degli armeni. La soluzione più semplice per derubarli era ucciderli tutti. Ecco lettera e risposta:
Ho letto con interesse la sua risposta sulla questione del «genocidio» degli armeni nel 15-16. È vero che il Foreign Office incaricò Lord Bryce e il ventiseienne Arnold J. Toynbee di formulare in termini duri il famoso Bryce Report che fece il giro del mondo e poi il Blue Book. Lo stesso Toynbee poi ammise qualche esagerazione. Ma lo stesso Toynbee senza circonlocuzioni nelle sue memorie parlò poi di genocidio (Acquaintances Oxf. Press ‘67 p. 242). La testimonianza oculare del nostro console a Trebisonda G. Gorrini, per nulla dire di quella di Henry Morgenthau da Trebisonda qualche tempo dopo e da molte altre testimonianze, risulta che il metodo sistematico e «geografico» di quel massacro inesorabile mirava alla scomparsa del popolo armeno dalla faccia della terra e non solo degli armeni «traditori» transcaucasici che avevano collaborato con la Russia. Poiché questa tragedia è ancora oggetto di un’incessante disputa europea mi interesserebbe una sua ulteriore precisazione in merito.
Marco A. Patriarca
marco.patriarcha@gmail.com
Caro Patriarca,
La parola «genocidio» è relativamente recente. Secondo Yves Ternon, autore di un libro intitolato Lo Stato criminale. I genocidi del XX secolo (Corbaccio 1997), appare per la prima volta nel 1944 in un libro di Raphael Lemkin, docente di diritto internazionale all’Università di Yale, sull’Europa occupata dalle potenze dell’Asse dopo la disfatta della Francia. «Per genocidio, scrisse Lemkin, intendiamo la distruzione di una nazione o di un gruppo etnico (…). In senso generale, genocidio non significa necessariamente la distruzione immediata di una nazione, se non quando esso è realizzato mediante lo sterminio di tutti i suoi membri. Esso intende piuttosto designare un piano coordinato di differenti azioni miranti a distruggere i fondamenti essenziali della vita dei gruppi nazionali, per annientare questi gruppi stessi». Col passare del tempo la parola ha subito una sorta d’inflazione retorica e designa ormai quasi tutti i grandi massacri degli ultimi decenni. Ma una distinzione è necessaria. È certamente genocidio quello deciso dal regime nazista contro gli ebrei durante la conferenza di Wannsee nel 1942. Non è genocidio, invece, il grande massacro di Srebrenica, nel 1999, in cui circa 8.000 bosniaci musulmani vennero passati per le armi dalle truppe del generale Mladic. Come definire quindi il trattamento inflitto agli armeni nel 1915? Sappiamo che Bernard Lewis, storico dell’Impero Ottomano, non crede all’esistenza di una strategia genocida dello Stato turco e preferisce parlare di massacri. Altri invece sono convinti che l’annientamento della comunità armena fosse un obiettivo consapevolmente perseguito. Per quanto mi riguarda credo che questa affermazione sia certamente vera per Ittihad, il partito Unione e Progresso dei Giovani Turchi. I suoi maggiori esponenti (Enver Pascià, Mehmed Taalat) erano ferocemente nazionalisti e consideravano la comunità armena doppiamente pericolosa: perché sarebbe stata, nell’eventualità di una guerra, la quinta colonna dell’Impero russo in Turchia, e perché era all’origine di tutte le «ingerenze» umanitarie delle potenze europee negli anni precedenti. Non basta. Ittihad creò una organizzazione speciale che ebbe per molto tempo una funzione simile a quella degli einsatzgruppen tedeschi, formati dopo l’invasione dell’Urss per la eliminazione degli ebrei in Ucraina, in Bielorussia e nelle repubbliche del Baltico. Ma nei processi celebrati a Costantinopoli dopo la guerra la «pistola fumante» (un documento ufficiale sull’annientamento dell’intera comunità armena) non fu mai trovata. Sappiamo invece che anche dopo la fine del conflitto la presenza di una importante comunità armena fu considerata incompatibile con la concezione dello Stato turco di Kemal Atatürk. La nuova classe era pronta ad abbandonare le province arabe dell’Impero, ma non intendeva rinunciare all’Anatolia, patria dei turchi. Fu questa la ragione per cui la popolazione greca e armena di Smirne, alla fine del conflitto fra Grecia e Turchia, dovette abbandonare la città. Ma tutto questo rientra nella categoria della «pulizia etnica», piuttosto che in quella di «genocidio».
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