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Ugo Volli
Cartoline
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La resistenza e la luce 27/11/2013

La resistenza e la luce
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

Cari amici,

questa sera inizia la festa ebraica di Hanukkah, che dura otto giorni. Vale la pena di parlarne perché fa parte di quelle ricorrenze ebraiche che non sono state ripresedal cristianesimo e quindi sono poco note fuori dal mondo ebraico, ma anche perché il suo significato può dirci qualcosa sullo spirito di Israele. Il simbolismo di una religione/popolo com'è l'ebraismo ha sempre un senso che oggi si direbbe col gergo filosofico di moda “teologico-politico”, cioè non parla solo o tanto dell'identità divina ma fonda le ragioni umane per il culto, e giustifica con ragioni trascendenti un progetto umano.


Giuda Maccabeo

Ciò è particolarmente vero per le feste ebraiche, la grande maggioranza, che commemorano una ricorrenza storica nazionale. Hannukkah fa parte di queste in quanto commemora la rivolta dei Maccabei contro l'ellenizzazione forzata di Israele tentata nel II secolo prima della nostra era. Fu una guerra popolare contro Antioco IV Epifane che apparteneva alla potente dinastia seleucide, una delle famiglie greche che si spartirono l'impero di Alessandro dopo la sua morte. Fu una sorta di miracolo che un piccolo gruppo di contadini riuscisse a sconfiggere un regno potente e a guadagnare l'indipendenza. Ma non è questo successo che la festa ricorda, bensì un altro miracolo, ben più piccino, e cioè la durata inaspettata di una fiala di olio consacrato per il lume perenne del Tempio, che illuminò il sacrario per tutta la settimana in cui si preparava l'olio purissimo prescritto per quell'uso. Dopo una settimana di questa luce miracolosa fu possibile la riconsacrazione o nuova inaugurazione del Tempio: Hanukkah significa proprio questo: inaugurazione.

Che una festa in cui si celebrano nelle benedizioni esplicitamente “tutti i miracoli, i prodigi e le meraviglie che furono compiute in questi giorni in quel tempo”, colpisce che il miracolo ricordato sia questa piccola opera di illuminazione, che il simbolo della festa sia il lampadario che si accende ogni sera, prima con una candela (più una di servizio), poi con due, con tre, fino alla pienezza di luce dell'ultimo giorno”. Si può naturalmente rinviare a tutte le feste parallele della luce che illuminano l'inverno di molte religioni; o si può pensare che i “saggi” che fissarono le regole dell'ebraismo nei secoli successivi fossero poco propensi a celebrare i Maccabei, che ben presto si trasformarono a loro volta in una dinastia ellenizzante, quella degli Asmonei. O si può cercare una simbolica della coscienza che cresce, come la luce si moltiplica sconfiggendo le tenebre, o ancora ricordare altri aspetti di una festa che è ricca di senso e insieme molto sentita e popolare nell'ebraismo.

Io preferisco pensare alla resistenza, perfino all'ostinazione che spesso è stata attribuita all'ebraismo, anche dalle sue stesse Scritture (“popolo di dura cervice”). Spesso la vita ebraica è stata ridotta ai minimi termini, al limite della sopravvivenza. Questo è avvenuto soprattutto per l'azione successiva di due spinte: da un lato il genocidio, di cui la Shoà è solo l'ultimo esempio (ma iniziarono gli Egiziani, ci provarono i Babilonesi, i Persiani, i Romani e poi anche la Chiesa e l'Islam). Dall'altro l'assimilazione, la mossa di molti ebrei verso la fusione in culture che si volevano superiori, erano sprezzanti e dichiaravano antiquato, anzi morto Israele, e comunque erano immensamente più forti e sempre persecutorie, se non genocide. Israele ha resistito nei secoli grazie all'ostinazione di piccoli gruppi, che riuscivano a non farsi ammazzare senza pagare il prezzo di convertirsi, confondersi, gettare la propria identità. Pochi, dice la tradizione, fra gli ebrei prigionieri del Faraone uscirono dall'Egitto, pochi ritornarono da Babilonia, pochi non si fecero nei secoli Cristiani o Islamici, pochi non hanno rinunciato alla loro identità per fondersi e confondersi nella modernità apparentemente liberale (ma poi venne Hitler a ricordar loro chi erano). Pochi, pochissimi si impegnarono all'inizio nell'impresa di ridar vita allo stato di Israele... Ma come una candela che diventa due, tre, otto, così quei pochi hanno saputo sempre rigenerare il popolo di Israele, per lo scorno di quelli che pensavano a soluzioni non necessariamente genocide ma pur sempre finali, da Paolo di Tarso a Karl Marx.

Hanukkah parla di questo, della ricorrente inaugurazione o rinnovamento del vecchio ebraismo, della sua resistenza, della sua decisione a non lasciarsi espropriare di sé, del miracolo della sua esistenza, della determinazione a rinnovare questo miracolo, ribellandosi a tutte le oppressioni con le armi o col pensiero, con le luci e con le benedizioni, con la gioia e con la lotta. Finché continuerà il semplice gesto di accendere una candela e di esporla in pubblico perché tutti sappiano che il popolo di Israele vive, si rinnoverà il miracolo fondamentale dell'ebraismo, che è la sua fedeltà a se stesso e alla divinità in cui confida. E questa luce si espanderà fuori dal chiuso della casa, cercherà di donare agli altri popoli un senso che trabocca e si espande, si diffonde ma non si lascia appropriare, come tutto quello che gli ebrei hanno portato nella storia dell'umanità. A tutti i miei lettori, ebrei e non ebrei, auguro una felice festa di inaugurazione e una luce che da piccola si fa forte e traboccante.

Ugo Volli


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