Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 27/11/2013, a pag. 19, l'articolo di Marjane Satrapi dal titolo "Satrapi: «L’accordo con l’Iran riaccende le speranze di libertà»".

Marjane Satrapi con uno dei suoi disegni
Non mettiamo in dubbio che l'accordo nucleare favorisca l'Iran e che la soddisfazione di Satrapi sia genuina e non dettata da ideologia anti occidentale, né che alla gente comune, in Iran, non interessino guerre e bombardamenti. In tutta risposta, però, facciamo notare che non è la gente comune a decidere, ma gli ayatollah. Le dichiarazioni di Rohani e Khamenei contro Israele unite al piano nucleare che, dopo l'accordo, procederà più spedito di prima, non lasciano spazio a interpretazioni positive.
Per Satrapi è molto semplice parlare dal suo rifugio sicuro in una democrazia occidentale. Ma crede che in Iran potrebbe fare tutte le dichiarazioni che vuole? Le dittature vanno combattute, quando sono una minaccia per gli Stati democratici e anche nell'interesse delle popolazioni sottomesse.
Ecco il pezzo:
Di solito le pesa parlare dell’Iran. Il Paese dove è nata e dove non può tornare da oltre 14 anni. Di solito rifugge dal cliché dell’esiliata nostalgica o rabbiosa, da domande e giudizi, preferibilmente critici, sul governo di Teheran, sulla bomba atomica, sugli ayatollah, sulle donne velate e sulla politica dei divieti. Stavolta no. Stavolta Marjane Satrapi non si sottrae. Per i suoi 44 anni, festeggiati venerdì scorso, i «Cinque più uno» le hanno inconsapevolmente fatto, da Ginevra, un regalo tanto atteso quanto insperato, almeno fino alle recenti elezioni presidenziali, che hanno chiuso l’era intransigente di Ahmadinejad: «Sono davvero molto contenta. Perché questi negoziati hanno aperto finalmente la strada a una soluzione diplomatica. La Storia dimostra che nessuna guerra ha mai migliorato la situazione di un Paese. Non è accaduto in Afghanistan, né in Iraq, né altrove. Non accadrebbe certamente neppure in Iran», osserva l’autrice di Persepolis , Il Pollo alle prugne e Taglia e cuci , la serie di libri a fumetti che l’hanno resa famosa e che — meglio di qualunque saggio — hanno saputo spiegare al mondo la vita quotidiana in Iran, vista dagli iraniani.
È contenta, e oggi ha finalmente voglia di parlarne: «Perché questo accordo rafforza la classe media iraniana che, a causa dell’embargo economico, stava per scomparire. E, nelle società contemporanee, è la classe media la garante della democrazia e, quindi, della libertà» riflette, da Parigi dove risiede, la scrittrice.
Perché soltanto la classe media? «I ricchi non vogliono i cambiamenti, vogliono soprattutto che tutto rimanga com’è. E i poveri hanno altre priorità, altre urgenze da risolvere, prima di preoccuparsi della democrazia. Le sanzioni economiche contro l’Iran stavano distruggendo il ceto medio, la fascia più attenta ai problemi della giustizia sociale e della libertà. Sparita questa, tutto diventerebbe molto più difficile».
In Italia, poche settimane fa, per ricevere il premio della Fondazione Masi, Marjane Satrapi aveva contestato le sentenze emesse contro intere nazioni: «Nessun popolo nasce per essere terrorista. Tutti gli esseri umani desiderano le stesse cose: vivere in pace, portare a spasso o al cinema i propri figli, divertirsi. Se non si comprende questo concetto, non si va da nessuna parte».
Da qualche anno rivendica questo diritto anche per se stessa: divertirsi, cambiare genere, sperimentare. Ci prova con i suoi strumenti e la sua immaginazione, dalla matita alla cinepresa, dalle storie iraniane alle commedie o ai thriller. «Sono affascinata da tutto ciò che è nuovo — dice — amo gli effetti speciali. E amo il cinema. Mica perché sono iraniana devo parlare solamente del velo o delle armi nucleari, no? Forse che gli italiani parlano soltanto di Berlusconi? Sono un essere umano anch’io, m’interessa l’amore. Faccio quello che mi dice il cuore». Ed è stata la saggezza cardiaca a suggerire a Marjane Satrapi di dirigere il suo primo film non d’animazione, Le voci . Quando le è arrivata la sceneggiatura di Michael R. Perry, la storia surreale di uno schizofrenico, operaio in una fabbrica di vasche da bagno, che ascolta i consigli di un cane e di un gatto parlanti, non ha esitato: «Non potevo credere che, per dirigerlo, i produttori volessero proprio me. Con tanti grandi registi che ci sono in giro».
La vita è piena di sorprese, per Marjane: anche quella di essere censurata, dopo l’Iran, negli Stati Uniti. «Mesi fa mi è arrivata l’email di un gruppo di studenti di un liceo di Chicago — racconta —. Mi dicevano che volevano leggere Persepolis , ma che la scuola intendeva proibirlo. Pensavo fosse uno scherzo. Essere tra gli autori proibiti, è emozionante, soprattutto se a metterti al bando è la più grande democrazia del mondo». Nella capitale dell’Illinois, un’insegnante aveva giudicato troppo violente le immagini delle torture subite in carcere dagli oppositori dello Scià: «Impressionanti i miei disegni? E allora nei videogiochi che circolano fra i quattordicenni c’è meno violenza? Mi piaceva l’idea che gli studenti manifestassero per avere il diritto di leggermi, ma non so come sia finita e non mi sono intromessa. La stupidità non merita risposta».
Tanto più che il proibizionismo giova alle vendite: «Al festival letterario di Dubai, veniva gente dal Kuwait a comprare Persepolis . In Iran ogni libro vietato viene letto dieci volte di più. Da adolescente andavo, come tanti altri, al mercato nero per comprare la musica censurata dei Clash. Chi l’avrebbe detto che un giorno sarei diventata altrettanto cool ?».
Era più facile immaginare che non sarebbe mai diventata una fifona: «La paura paralizza. La nostra società ha paura di tutto: del terrorismo, sì. Del nucleare, certo. Ma anche della mucca pazza e dell’influenza aviaria o del disastro ecologico. Un giorno a Parigi ero entrata in un panificio per comprare un sandwich di pollo: scherza?, mi ha risposto la panettiera, non ha sentito del virus che ha ucciso un pappagallo in Romania?».
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