Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 27/11/2013, a pag. 42, l'articolo di Farian Sabahi dal titolo "Il riavvicinamento tra Iran e Usa e le nuove alleanze in Medio Oriente".

Farian Sabahi
Farian Sabahi 'analizza' le conseguenze dell'accordo con l'Iran nucleare e scrive "A temere il riavvicinamento tra Iran e Usa sono — oltre alla destra israeliana perché darà modo ad Obama di passare alla questione palestinese — anche l’Arabia Saudita e le altre monarchie arabo-sunnite del Golfo Persico.". Israele, non solo la destra israeliana, teme l'accordo, ma perché una bomba atomica in mano agli ayatollah compoterebbe un conflitto.
Che cosa c'entra la questione palestinese? L'amministrazione Obama, nella persona di John Kerry, se ne sta ampiamente occupando facendo, tanto per cambiare, pressioni su Israele.
Seguendo il filo del suo discorso, Sabahi arriva a sostenere che " in un Medio Oriente in cui tante dispute sono spesso lette in chiave settaria e gli sciiti sono perseguitati, l’Iran si erge a protezione di questa minoranza.". Solo Sabahi poteva immaginare la teocrazia iraniana, che massacra quotidianamente gli oppositori, come protettrice dei diritti di qualcuno. Del resto l'Iran, che lapida le adultere, si era guadagnato un posto nel consiglio dei diritti umani Onu, quindi niente può più stupirci.
L'unica cosa che stupisce è che un quotidiano come il Corriere della Sera non abbia trovato niente di meglio di un' 'analisi' di Farian Sabahi per commentare l'accordo nucleare con l'Iran. C'entrerà la protekzia di qualcuno ?
Ecco il pezzo:
Se Teheran ha firmato l’accordo non è solo per un alleggerimento delle sanzioni ma per rivendicare il ruolo di potenza regionale. Contribuendo alla stabilità di Siria e Libano, Afghanistan e Iraq, nel contesto di un ridimensionamento della presenza americana nella regione. Come la Gran Bretagna nel 1971, anche Washington vuole tagliare sulle spese, è alla ricerca dell’indipendenza energetica e sembra non badare alle conseguenze sulla sicurezza di lungo periodo degli alleati arabi. A temere il riavvicinamento tra Iran e Usa sono — oltre alla destra israeliana perché darà modo ad Obama di passare alla questione palestinese — anche l’Arabia Saudita e le altre monarchie arabo-sunnite del Golfo Persico. Membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo, un’organizzazione voluta nel 1981 da Riad su spinta degli Stati Uniti in chiave anti-iraniana.
Il riavvicinamento tra Teheran e Washington potrebbe portare a una situazione simile al 1971: andandosene, gli inglesi lasciarono allo scià il ruolo di guardiano del Golfo. Fu allora che l’Iran prese possesso di tre isole, tuttora rivendicate dagli Emirati: «Una questione assai sentita tra le popolazioni locali», osserva Matteo Legrenzi di Ca’ Foscari. Un asse Washington-Teheran è percepito negativamente dagli arabi perché — continua lo studioso di paesi del Golfo — «danneggerebbe molte delle loro politiche, a cominciare dal sostegno ai ribelli siriani». Senza contare che, se non ci fossero tensioni sarebbe difficile contrastare l’egemonia iraniana nello stretto di Hormuz.
Infine, in un Medio Oriente in cui tante dispute sono spesso lette in chiave settaria e gli sciiti sono perseguitati, l’Iran si erge a protezione di questa minoranza. Pensiamo al Bahrein, dove una dinastia sunnita ha soffocato nel sangue (con l’aiuto dei sauditi) la primavera di una popolazione sì araba ma a maggioranza sciita. L’alleanza con Washington darebbe legittimità alle aspirazioni iraniane e dunque non possiamo escludere che Netanyahu e il principe saudita Bandar uniscano le forze per attaccare l’Iran come avanzato da Uzi Mahnaimi sul Sunday Times. Uno scenario devastante.
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