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La Stampa Rassegna Stampa
26.11.2013 Zeev Jabotinsky e David Ben Gurion si incontrano nel nuovo dramma di A. B. Yehoshua
Ma il recensore non conosce la Storia

Testata: La Stampa
Data: 26 novembre 2013
Pagina: 38
Autore: Osvaldo Guerrieri
Titolo: «Quella frittata tra Jabotinsky e Ben Gurion»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 26/11/2013, a pag. 38, l'articolo di Osvaldo Guerrieri dal titolo " Quella frittata tra Jabotinsky e Ben Gurion".


A. B. Yehoshua, Camminano forse due uomini insieme ? (ed. Einaudi)

Nelle prime righe dell' articolo, Osvaldo Guerrieri definisce, a torto, 'mezzo fascista' Zeev Jabotinsky. 
Essere revisionisti non significa essere fascisti e la storia non è un testo teatrale con le sue licenze letterarie.
Ecco il pezzo:

Londra, ottobre 1934. In una camera d’albergo due uomini si trovano l’uno dinanzi all’altro senza che nessuno dei due abbia desiderato quell’incontro. Si chiamano Zeev Jabotinsky e David Ben Gurion. Il primo – un poeta – è il leader della destra revisionista sionista, l’altro è il capo del movimento laburista. Il primo è un mezzo fascista che vede nell’uso delle armi il più efficace strumento di autodifesa, l’altro è un mezzo comunista che riconosce l’alto valore costruttivo del sudore della fronte. I due si conoscono ma non si frequentano. Dovrebbero? A parte il sogno di creare lo Stato d’Israele, non hanno niente che li unisca, appaiono divisi su tutto, principalmente sugli strumenti della lotta politica. Eppure, in quella sera del 1934, mentre l’Europa comincia a scricchiolare sotto il passo di Hitler e delle sue camicie brune, i rivali Jabotinsky e Ben Gurion, quasi costretti dalle insistenze dell’industriale ebreo Pinchas Rutenberg, si incontrano, a fatica si stringono la mano e altrettanto faticosamente cominciano a discutere.

Si sviluppa da questo primo incontro il dramma di Abraham B. Yehoshua Camminano forse due uomini insieme? in uscita da Einaudi nella traduzione di Alessandra Shomroni. Più che sull’incontro tra due diversità, questa è un’opera imperniata sullo scontro tra due personalità forti e sul tema mai risolto dell’identità dello Stato ebraico distorta da millenni di diaspora. Pensando all’Inghilterra, Jabotinsky, vorrebbe un Israele-isola, un paese separato dalle terre contigue da un metaforico braccio di mare che ne renda più facile la difesa. Ben Gurion, futuro primo ministro dello Stato quando questo sarà costituito, crede invece nella convivenza e nell’integrazione.
Questi due modelli politici sono il terreno sul quale i due avversari si confrontano nel tentativo di giungere a un compromesso capace di tenere insieme revisionisti e laburisti. Non ci riusciranno, ma prima di lasciarsi impareranno a conoscersi, probabilmente arriveranno a stimarsi mentre l’uno tenta di cuocere una frittata da offrire all’altro, o mentre l’uno declama all’altro i versi del Corvo di Edgar Allan Poe. E noi lettori-spettatori conosceremo il terribile nichilismo che domina la vita di Jabotinsky, ascolteremo dalla sua bocca quel che lui, il poeta armato, prevede per se stesso: una morte in terra straniera con le ceneri disperse chissà dove, mentre l’altro, Ben Gurion, sogna per sé una tomba nel deserto, in una nuova città, e sulla lapide si troveranno scolpite tre date: quella della sua nascita, quella del giorno in cui è arrivato in Israele, quella della morte.
I destini dei due uomini sono obbligati a divergere perché, dice la Bibbia, due uomini non possono camminare insieme se prima non si sono accordati. E così, con questa vicenda che innesta nella realtà storica elementi inventati, Yehoshua non ci consegna soltanto un dramma strenuamente dialettico, serrato dalla prima all’ultima battuta nonostante gli slarghi ironici e «borghesi». Quel che gli preme è non lasciar cadere il dibattito sull’identità ebraica. Lo ha fatto con i romanzi e continua a farlo con il Teatro. Nell’opera che probabilmente è il suo capolavoro drammatico – Una notte di maggio – Yehoshua ci ha raccontato le lacerazioni di una famiglia chiusa in una villa mentre fuori sta per scoppiare la Guerra dei Sei giorni. Adesso, con Camminano forse due uomini insieme?, retrocede di trent’anni per dirci che, oggi come ieri, le questioni e le contraddizioni del popolo israeliano restano intatte, così come non riesce ad allentarsi il nodo cruciale del territorio. A questo proposito Yehoshua sembra avere le idee chiare. Fa dire a Ben Gurion: non importa se gli ebrei vivranno soltanto in una parte della Terra di Israele, «quella parte sarà per noi l’intera patria».

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