Francia: Alain Finkielkraut contro il multiculturalismo dilagante la denuncia nel suo pamphlet 'L’identité malheureuse'
Testata: Il Foglio Data: 26 novembre 2013 Pagina: 1 Autore: Redazione del Foglio Titolo: «L’identità infelice della Francia»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 26/11/2013, in prima pagina, l'articolo dal titolo "L’identità infelice della Francia".
Alain Finkielkraut, L’identité malheureuse
Roma. L’ultimo pamphlet del filosofo Alain Finkielkraut continua a dominare le classifiche di vendita francesi nel settore dei saggi. Subito dopo i romanzi, i fumetti, i libri di cucina e l’onnipresente porno per signore delle “Cinquanta sfumature”, è dunque “L’identité malheureuse” (Stock), l’identità infelice, che conquista l’attenzione del pubblico d’Oltralpe, a dispetto (o forse a causa) degli attacchi della gauche che continuano a colpire il suo autore. E si capisce perché: nel suo libro, il filosofo dice che l’ambiguo concetto di “assimilazione” degli immigrati si è sostituito a quello di “integrazione”, e che una sinistra perbenista e politicamente corretta fino all’autolesionismo tace colpevolmente sull’antisemitismo, la misoginia e la “francofobia” di quelli che Finkielkraut chiama “i territori perduti della Repubblica”, dove ormai l’islam detta legge. Abbastanza perché il figlio degenere della sinistra Finkielkraut, ex sessantottino, fosse accusato in coro, dal Monde a Libération, passando per i settimanali Inrocks e Nouvel Observateur, di “giocare con il fuoco”, di “scortare l’identità francese” come una specie di poliziotto anti multiculturalista, di “vomitare” sui tempi perché non riesce a comprenderli. In una lunga intervista al sito Atlantico.fr, il filosofo spiega che se nel 1793, durante il Terrore rivoluzionario, sarebbe stato trattato “da scellerato”, oggi i commentatori della sinistra lo hanno trasformato “in un sostenitore del fascismo risorgente”: “Ho subìto una variante di quella che Leo Strauss a suo tempo definiva ‘reductio ad hitlerum’”, dice, e parla di “gioco robespierrista” ai suoi danni. In questo clima, “se ‘L’identité malheureuse’ vende bene, è la prova che la Francia si chiude in se stessa e che i cervelli si lepenizzano. Ma la realtà è opposta: sono i vigilanti a vivere in una bolla e, come tutti possono constatare e sanno, il loro ‘no pasaran’ non passa più”. Nell’intervista, Finkielkraut parla della sua profonda amarezza. Ammette che se l’intento dei suoi detrattori era quello di ferirlo “ci sono riusciti”. Ma, citando Péguy, ripete che “bisogna sempre dire quel che si vede. Soprattutto, ed è la cosa più difficile, bisogna vedere quel che si vede”. Allo storico dell’educazione Emmanuel Debono – il quale ha scritto sul Monde del 19 novembre che il razzismo contro i bianchi di cui Finkielkraut parla nel suo pamphlet non è che un mito costruito dai militanti dell’estrema destra – il filosofo risponde che non sono invenzioni ‘l’antisemitismo delle banlieue, l’insulto ‘sporco francese’, le aggressioni di cui sono vittime gli insegnanti, ma anche i medici, i farmacisti, gli infermieri, i vigili del fuoco; e infine l’esistenza di ospedali ‘sensibili’ accanto ai collegi e ai licei ‘sensibili’. Tutto questo non ha precedenti. E per l’ideologia vigente è necessario che il presente possa essere interamente assorbito nei suoi precedenti, e che tutto quello che accade possa essere ricondotto alla xenofobia e a ciò che Bernard-Henri Lévy chiamava ‘l’ideologia francese’. La cattiva coscienza del politicamente corretto non tollera nessuna deviazione dalla perpetua espiazione”. Finkielkraut aggiunge che lui è “l’ultimo a protestare contro la pluralità di appartenenze. Ma la Francia ha una lingua, la Francia ha una cultura, la Francia ha usanze che è legittimo chiedere ai nuovi arrivati di rispettare”. Riguardo al futuro, è pessimista e non lo nasconde: “Lo scrittore Milan Kundera ha definito l’europeo come colui che ha nostalgia dell’Europa. Io, senza essere sciovinista o grettamente francese, devo dire che nel sentire corrompersi la lingua, nel vedere il mio paese deperire e l’élite rompere allegramente con la nostra eredità, ho nostalgia della Francia”.
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