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La Stampa Rassegna Stampa
26.11.2013 Dopo la genuflessione all'Iran, Obama ora cerca una soluzione per la Siria
cronaca di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 26 novembre 2013
Pagina: 14
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Dopo l’Iran, la Siria: Obama ci prova»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 26/11/2013, a pag. 14, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Dopo l’Iran, la Siria: Obama ci prova ".


Maurizio Molinari

Dopo l’Iran, tocca alla Siria. Il Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon annuncia l’intesa sulla conferenza per porre fine alla guerra civile che si svolgerà a Ginevra a partire dal 22 gennaio come «un momento di speranza» grazie alla partecipazione di delegazioni del regime di Bashar Assad e dell’opposizione.
È il frutto delle mediazioni di Lakthar Brahimi, inviato Onu sulla Siria, ma anche della «nuova atmosfera creata in Medio Oriente dall’intesa ad interim sul nucleare iraniano» come osserva Tom Donilon, ex consigliere per la sicurezza della Casa Bianca. Dall’amministrazione Obama trapela la convinzione che il negoziato sul nucleare iraniano e quello sulla transizione in Siria siano due facce della stessa medaglia: la possibilità di risolvere le più gravi crisi esistenti grazie a intese fra Washington e Teheran. Per questo il presidente Barack Obama, da San Francisco, parla dell’«inizio di una nuova era di leadership americana nel mondo». L’ultimo ostacolo per la conferenza sul dopo-Assad riguarda tuttavia proprio la presenza iraniana attorno al tavolo: Mosca la chiede con forza ma Washington, per ora, continua a opporsi.
Tali resistenze Usa nascono dalla volontà di non incrinare ulteriormente i rapporti con l’Arabia Saudita, che ha posto il veto sulla presenza dell’Iran - suo rivale strategico - al tavolo siriano. Riad è già infuriata per l’accordo sul nucleare iraniano e con Nawaf Obaid, consigliere della famiglia reale, arriva a minacciare che «in futuro faremo da soli per fermare Teheran». «Gli americani ci hanno mentito, ci hanno nascosto il negoziato segreto condotto in Oman» aggiunge Obaid, facendo capire che il regno wahabita si sente tradito, offeso. E sulla Siria, Obaid rincara la dose: «Non consentiremo mai alle Guardie della rivoluzione di controllare una città come Homs, in Siria, difenderemo ogni centimetro di terra araba dagli iraniani».
L’irritazione saudita contro l’intesa sul nucleare iraniano stride con le posizioni del Qatar, che la giudica invece come un «passo verso la salvaguardia di pace e stabilità nella regione» rinnovando la rivalità fra gli sceicchi di Riad e Doha, che in Siria appoggiano fazioni diverse di ribelli sunniti anti-Assad.
L’altro fronte per Obama è quello di Israele. Il presidente americano in una telefonata di 30 minuti al premier Benjamin Netanyahu ha cercato di arginare le sue dure proteste, compiendo una mossa a sorpresa: l’invito a Washington di una delegazione israeliana per «discutere assieme come arrivare all’accordo definitivo con Teheran» entro i prossimi sei mesi. Sarà Yossi Cohen, consigliere per la sicurezza di Netanyahu, a trattare. L’intenzione di Obama è coinvolgere Gerusalemme nel negoziato anche per placare l’opposizione del Congresso: al Senato c’è una maggioranza bipartisan favorevole ad adottare nell’arco di poche settimane nuove sanzioni contro l’Iran nonostante la pressante richiesta della Casa Bianca di non farlo. Il ministro degli Esteri britannico William Hague teme invece un blitz militare: «Israele non faccia nulla che possa pregiudicare le trattative sul nucleare».
L’Unione Europea intanto si appresta a rivedere le sanzioni nei confronti di Teheran. «Potremmo farlo in dicembre o in gennaio» preannuncia il portavoce Michael Mann da Bruxelles, consentendo a molte imprese - soprattutto energetiche - di immaginare ritorni Iran. A Teheran intanto il presidente Hassan Rohani parla di «vittoria negoziale» per il riconoscimento ottenuto di «poter continuare ad arricchire l’uranio» mentre il ministro degli Esteri Javad Zarif esprime soddisfazione perché «l’impianto di Arak continuerà a operare e il nostro uranio arricchito non verrà trasferito all’estero». Il giornale conservatore «Kayhan», vicino alla Guida Suprema Alì Khamenei, ammonisce però Rohani a «non fidarsi troppo degli Stati Uniti».

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