|
|
||
La quarta Italia Joseph Roth Quattro servizi raccontano l'Italia del 1928 tra censura e spie che non passano inosservate. Se c'è una cosa che caratterizza le dittature è la mancanza assoluta di senso del ridicolo. Tanto a che, a volte, anche i regimi peggiori, assumo tratti così umoristici da far sottovalutare la loro mostruosità. È l'autunno del 1928, quando Joseph Roth è in Italia. Deve raccontare l'Italia fascista. Missione non facilissima per uno straniero non interessato alle vestigia del passato ma al presente. È il tempo in cui Mussolini ha ormai consolidato il regime, modificando la legge elettorale e introducendo il plebiscito. Roth arriva in Italia e si accorge fin da subito dove è capitato. Gli basta scendere dal treno per capire che l'Italia fascista va bene «per sposini in viaggio di nozze ma non per giornalisti » e vedersi davanti «il primo fascista in camicia nera e improbabili calzoni che ricordavano ali di farfalla». E, al fianco, «una pistoletta». E che dire delle spie che sembrano provare «un piacere ingenuo per la loro vistosità»? Mica come in Russia dove «sapevano da tempo, ancor prima che io li notassi, chi ero e cosa volevo». I quattro reportage oscillano tra ironia e inquietudine. La penna di Roth punta il dito contro il culto della personalità del duce, la delazione onnipresente («quell'uomo mi può denunciare... ». «Perché?». «Si può forse sapere?»), l'asservimento della stampa («un'eco» del regime). Un Paese controllato dagli occhi indagatori dei portinai e dei portieri d'albergo. Questa era l'Italia del 1928. Dove la cosa più seria era l'olio di ricino. Matteo Tonelli |
Condividi sui social network: |
|
Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui |